2.2.17

Le migrazioni di massa in Europa non possono essere fermate (Gideon Rachman)

Nel 18° e 19° secolo l’Europa ha popolato il mondo. Oggi il mondo sta popolando l’Europa. Al di là delle tensioni scatenate dall’arrivo nel 2015 in Germania di oltre un milione di rifugiati, si impone la realtà delle grandi tendenze demografiche. L’attuale crisi migratoria è alimentata dalle guerre nel Medio Oriente, ma altre dinamiche ancor più rilevanti fanno sì che l’immigrazione verso l’Europa continuerà a rappresentare una questione controversa ben oltre la fine della guerra in Siria.
Migranti nigeriani a Palermo
L’Europa è un continente ricco che sta invecchiando e la cui popolazione è stagnante. Al contrario, l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia del Sud, aree più giovani e povere, crescono velocemente. Al culmine dell’età imperiale, nel 1900, i Paesi europei vantavano il 25% della popolazione mondiale. Oggi, gli europei sono circa 500 milioni e rappresentano attorno al 7% degli abitanti del pianeta. In Africa, al contrario, ci sono ora più di un miliardo di persone e, secondo l’Onu, diventeranno 2,5 miliardi nel 2050. La popolazione dell’Egitto è raddoppiata dal 1975, raggiungendo gli oltre 80 milioni di oggi. La Nigeria aveva 50 milioni di abitanti nel 1960, che ora sono cresciuti a 180 milioni e nel 2050 saranno oltre 400.
Le migrazioni in Europa di africani, arabi e asiatici segnano il capovolgimento di una tendenza storica. Nell’era coloniale, l’Europa praticò una sorta di imperialismo demografico, con le sue popolazioni bianche che emigravano ai quattro angoli del mondo. Nel Nord America e in Australia gli indigeni furono sottomessi, spesso uccisi, e interi continenti furono trasformati in propaggini dell’Europa. I Paesi europei, inoltre, crearono colonie ovunque e vi insediarono i propri emigranti, mentre allo stesso tempo diversi milioni di persone furono costretti a emigrare con la forza, come schiavi, dall’Africa verso il Nuovo Mondo.
Quando gli europei popolavano il mondo, spesso lo facevano attraverso una “migrazione a catena”. Dapprima, il membro di una famiglia si insediava in un nuovo Paese come l’Argentina o gli Usa; poi, notizie e denaro arrivavano a casa e, infine, non molto tempo dopo, altri emigranti seguivano le orme dei primi. Ora, la catena si muove nella direzione opposta: dalla Siria alla Germania, dal Marocco ai Paesi Bassi, dal Pakistan alla Gran Bretagna. Tuttavia, di questi tempi non è più questione di una lettera giunta a casa e seguita da un lungo viaggio per mare. Nell’era di Facebook e degli smartphone, l’Europa appare vicina anche se vi trovate a Karachi o a Lagos.
Negli ultimi quarant’anni, Paesi come il Regno Unito, la Francia e l’Olanda sono diventati molto più multirazziali. E i Governi che si impegnano a imporre un giro di vite all’immigrazione, come l’attuale esecutivo inglese, si sono accorti che è poi molto difficile mantenere le promesse.
La posizione dell’Unione europea è che, mentre i rifugiati politici possono chiedere asilo in Europa, i “migranti economici” clandestini devono tornare a casa. Per varie ragioni, tuttavia, è improbabile che questo approccio riesca ad arginare i flussi di popolazione.
Innanzitutto, il numero dei Paesi che sono tormentati dalla guerra o dal collasso degli Stati potrebbe realmente aumentare; ad esempio, stanno crescendo le preoccupazioni per la stabilità dell’Algeria.
In secondo luogo, la maggior parte di quelli che sono considerati “migranti economici” non lasciano mai effettivamente l’Europa: in Germania solo il 30% dei richiedenti asilo respinti abbandonano il Paese volontariamente o sono deportati. Infine, una volta insediate grandi comunità di immigrati, il diritto alla ricongiunzione familiare garantirà un flusso ininterrotto. In questo modo, è probabile che l’Europa rimanga una destinazione attraente e raggiungibile per le popolazioni povere di tutto il mondo che aspirano a una vita migliore.
Una possibile reazione è quella di accettare l’immigrazione dal resto del mondo come inevitabile, e di abbracciarla con tutto il cuore.
Le economie piene di debiti dell’Europa richiedono un’iniezione di gioventù e di dinamismo. Chi potrà mai lavorare nelle case per anziani e nei cantieri se non gli immigranti provenienti da tutto il mondo?
Tuttavia, persino gli europei favorevoli alla causa dell’immigrazione tendono a sostenere che i nuovi arrivati nel continente, naturalmente, devono tutti quanti accettare “i valori europei”. Una pretesa che potrebbe risultare non realistica, in parte perché molti di questi valori sono di epoca relativamente recente. Negli ultimi decenni, il femminismo ha compiuto infatti passi da gigante in Europa e gli atteggiamenti nei confronti dei diritti dei gay sono stati trasformati. Molti immigranti dal Medio Oriente e dall’Africa portano con sé mentalità molto più conservatrici e sessiste. Non basterà, certo, qualche lezione civica per cambiare questa situazione.
Gli europei sono profondamente confusi su come rispondere a queste nuove sfide. Nell’età dell’imperialismo, giustificavano gli insediamenti in terre straniere con la convinzione fiduciosa che stavano esportando i benefici della civiltà nelle aree più arretrate del mondo. Ma l’Europa post-imperialista e post-Olocausto è molto più prudente nell’asserire la superiorità della propria cultura. Ha rimpiazzato la fede nella sua missione di civilizzazione e nella Bibbia con un’enfasi sui valori universali, sui diritti individuali e sui trattati internazionali.
La grande domanda nei prossimi decenni è come la fede dell’Europa nei valori liberali universali possa resistere all’impatto con l’immigrazione di massa. Una battaglia tra “nativisti” e liberali sta iniziando a plasmare la politica. A lungo termine mi aspetto che i “nativisti” perdano, non perché le loro istanze non siano popolari, ma perché inapplicabili. Potrebbe essere possibile per le nazioni-isole circondate dall’Oceano Pacifico, come il Giappone e l’Australia, mantenere controlli rigorosi sull’immigrazione. Sarà quasi impossibile per la Ue che è parte del continente Euroasiatico ed è separata dall’Africa solo da brevi tratti di mare nel Mediterraneo.(Traduzione di Marco Mariani)



Il Sole 24 ore, 13 gennaio 2016 da The Financial Times 2016

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