27.3.17

Agatha Christie (1890 – 1976). Profilo biografico a cura di Carlo Oliva

Verso la fine della sua carriera, Agatha Clarissa Miller Christie scrisse una ponderosa autobiografia (An Autobiography, post. 1977; tr. it, La mia vita, Milano 1979). Niente di strano: lo fanno molti scrittori, non rivelando, solitamente, più di quanto i lettori non conoscano già. Più curioso, se mai, è il fatto che la “regina del crimine” ci abbia lasciato una specie di autobiografica alternativa, una storia ipotetica della vita che non ha vissuto. Possiamo considerare in questi termini i quattro romanzi (The Secret Adversary – Avversario segreto – 1922; N or M? – Quinta colonna – 1961; By the Prickling of My Thumbs – In due s’indaga meglio o Sento i pollici che prudono – 1968; Postern of Fate – Le porte di Damasco – 1979) e la raccolta di racconti (Partners in Crime – Tommy e Tuppence: in due s’indaga meglio – 1929) dedicati alle avventure e alle indagini di tali Tuppence e Tommy, che si incontrano, giovanissima infermiera di guerra lei, giovane pilota della RAF lui, subito dopo la prima guerra mondiale, si innamorano, si sposano e vivranno felici e contenti per almeno sei decenni. Gli eroi dei romanzi seriali di solito non invecchiano, ma a questi due suoi prediletti, e solo a loro, l’autrice ha concesso il privilegio di vivere il mutare dei tempi, di avere figli e nipoti, di godere, insomma, di una vita (abbastanza) normale. Proprio quella che alla scrittrice non era toccata e che, evidentemente, non smise mai di rimpiangere.
Secondogenita di una ricca famiglia anglo-americana del Devonshire, poi segnata da qualche rovescio finanziario (perché “debuttasse” in società, come allora si usava, dovettero farla temporaneamente emigrare in Egitto), la giovane Agatha si era effettivamente arruolata, all’inizio del conflitto, nei servizi ausiliari della Croce Rossa. E aveva sposato un giovane ufficiale di artiglieria, Archibald Christie, che presto sarebbe entrato nella neonata aviazione britannica. Ma era durata poco: il tempo di approfittare dell’esperienza acquisita in ambulatorio per scrivere il primo romanzo (The Mysterious Affair at Styles – Poirot a Styles Court – 1920) e di muovere qualche passo nella carriera letteraria e già Archie si innamora di un’altra – la sua segretaria! – e se ne va. La crisi che ne seguì rappresenta l’unico episodio sensazionale della vita della scrittrice, che si permise il lusso di scomparire e farsi cercare in tutto il paese, per essere ritrovata in una oscura località termale, registrata sotto il nome della rivale. Cosa sia esattamente successo, in realtà, non si sa: lei certo non lo raccontò a nessuno, né nell’autobiografia né altrove.
Si sa esattamente, invece, che cosa fece in seguito. Si mise a scrivere, con serietà implacabile e impressionante regolarità. Un romanzo, due all’anno, e quanti più racconti poteva aggiungerci. Si sarebbe risposata, certo, nel 1930, con un professore di archeologia di quattordici anni più giovane di lei, Max Mallowan, e lo avrebbe seguito nelle sue campagne di scavi in Mesopotamia, ma non avrebbe mai rallentato il ritmo del suo lavoro. Nel loro appartamento di Londra, nella grande villa di Torquay, nella casa che per un certo tempo ebbe a Baghdad, persino nella tenda in cui trascorreva, con il marito, buona parte della stagione degli scavi, in pace e in guerra, in viaggio di piacere o sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, non avrebbe mancato di applicarsi alla macchina da scrivere.
Agatha Christie (che, per mantenere i lettori acquisiti, non poteva rinunciare in copertina al cognome del primo marito), non scrisse solo gialli. Pubblicò due libri di poesie, uno di viaggi, parecchie commedie e, sotto lo pseudonimo di Mary Westmacott, sei romanzi rosa. Poco, rispetto all’ottantina dimysteries che ci ha lasciato. Storie con Hercule Poirot, soprattutto: il piccolo ex funzionario della polizia belga approdato come profugo in Inghilterra nel 1914 e che, nato come imitazione a contrario di Sherlock Holmes si sarebbe conquistato, con gli anni, una straordinaria orginalità narrativa o investigativa, sia che operasse sugli sfondi urbani e cittadini del suo paese di adozione (The Murder of Roger Ackroyd – Dalle nove alle dieci – 1931; Hercule’s Poirot Christmas – Il Natale di Poirot – 1939 e così via, fino a Elephants Can Remember – Gli elefanti hanno buona memoria – del 1972), sia che seguisse i percorsi esotici che l’autrice batteva nei suoi viaggi (Murder on the Orient Express – Assassinio sull’Orient Espress – 1934; Murder in Mesopotamia – Non c’è più scampo – 1938; Death on the Nile – Poirot sul Nilo – 1938). Altro personaggio di spicco è Miss Marple, l’anziana zitella capace di applicare ai casi criminali la propria conoscenza del male nascosto nella vita quotidiana, un po’ come il Padre Brown di Chesterton; diversamente da questi, la Christie non attinge alla pratica della confessione, ma a quella del pettegolezzo (The Murder at the Vicarage – La morte nel villaggio – 1930; The Body in the Library – C’è un cadavere in biblioteca – 1942). E poi gialli sentimentali, storie di avventura e spionaggio, gialli di puro intrigo senza personaggio fisso, come il celeberrimo Ten little Niggers o And Then There Were None (Dieci piccoli indiani … e poi non rimase nessuno – 1940), insuperato esempio di abilità nell’organizzazione della trama. E, naturalmente, storie con Tommy e Tuppence, con l’ultima delle quali l’autrice chiuse, forse in tono minore, la propria carriera.
Agatha Christie è considerata, in genere, l’esponente più classica del giallo d’indagine “all’inglese”, contrapposto al noir e all’hard boiled di origini americane. In realtà, nella sua opera le convenzioni messe a punto, sul modello di E.A. Poe, da sir Arthur Conan Doyle e dagli altri classici del sottogenere sono sistematicamente stravolte, a un punto tale da non permettere al lettore alcuna anticipazione risolutiva. Molte delle sue trame fecero (e fanno tuttora) scandalo, anche se è proprio la loro anomalia a garantire attualità e godibilità ai suoi romanzi. Lo stravolgimento del genere, costante, pur se abilmente dissimulato, serve all’autrice per andare oltre la superficie della rispettabile società borghese che ci descrive. Forse, sotto la maschera dell’abile confezionatrice di prodotti di intrattenimento, si nasconde una insospettata capacità di critica e analisi culturale, anche se Agatha non ha mai avanzato pretese di particolare dignità letteraria e parlava della propria produzione come della sua “fabbrica di salsicce”. Ma di chi, di mestiere, ha escogitato tanti delitti e tanti inganni non è certo il caso di fidarsi alla cieca.


Dal sito “enciclopedia delle donne”

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