Verso la fine della sua
carriera, Agatha Clarissa Miller Christie scrisse una ponderosa
autobiografia (An Autobiography, post. 1977; tr. it, La mia
vita, Milano 1979). Niente di strano: lo fanno molti scrittori,
non rivelando, solitamente, più di quanto i lettori non conoscano
già. Più curioso, se mai, è il fatto che la “regina del crimine”
ci abbia lasciato una specie di autobiografica alternativa, una
storia ipotetica della vita che non ha vissuto. Possiamo considerare
in questi termini i quattro romanzi (The Secret Adversary –
Avversario segreto – 1922; N or M? – Quinta colonna –
1961; By the Prickling of My Thumbs – In due s’indaga meglio
o Sento i pollici che prudono – 1968; Postern of Fate –
Le porte di Damasco – 1979) e la raccolta di racconti (Partners
in Crime – Tommy e Tuppence: in due s’indaga meglio – 1929)
dedicati alle avventure e alle indagini di tali Tuppence e Tommy, che
si incontrano, giovanissima infermiera di guerra lei, giovane pilota
della RAF lui, subito dopo la prima guerra mondiale, si innamorano,
si sposano e vivranno felici e contenti per almeno sei decenni. Gli
eroi dei romanzi seriali di solito non invecchiano, ma a questi due
suoi prediletti, e solo a loro, l’autrice ha concesso il privilegio
di vivere il mutare dei tempi, di avere figli e nipoti, di godere,
insomma, di una vita (abbastanza) normale. Proprio quella che alla
scrittrice non era toccata e che, evidentemente, non smise mai di
rimpiangere.
Secondogenita di una
ricca famiglia anglo-americana del Devonshire, poi segnata da qualche
rovescio finanziario (perché “debuttasse” in società, come
allora si usava, dovettero farla temporaneamente emigrare in Egitto),
la giovane Agatha si era effettivamente arruolata, all’inizio del
conflitto, nei servizi ausiliari della Croce Rossa. E aveva sposato
un giovane ufficiale di artiglieria, Archibald Christie, che presto
sarebbe entrato nella neonata aviazione britannica. Ma era durata
poco: il tempo di approfittare dell’esperienza acquisita in
ambulatorio per scrivere il primo romanzo (The Mysterious Affair
at Styles – Poirot a Styles Court – 1920) e di muovere
qualche passo nella carriera letteraria e già Archie si innamora di
un’altra – la sua segretaria! – e se ne va. La crisi che ne
seguì rappresenta l’unico episodio sensazionale della vita della
scrittrice, che si permise il lusso di scomparire e farsi cercare in
tutto il paese, per essere ritrovata in una oscura località termale,
registrata sotto il nome della rivale. Cosa sia esattamente successo,
in realtà, non si sa: lei certo non lo raccontò a nessuno, né
nell’autobiografia né altrove.
Si sa esattamente,
invece, che cosa fece in seguito. Si mise a scrivere, con serietà
implacabile e impressionante regolarità. Un romanzo, due all’anno,
e quanti più racconti poteva aggiungerci. Si sarebbe risposata,
certo, nel 1930, con un professore di archeologia di quattordici anni
più giovane di lei, Max Mallowan, e lo avrebbe seguito nelle sue
campagne di scavi in Mesopotamia, ma non avrebbe mai rallentato il
ritmo del suo lavoro. Nel loro appartamento di Londra, nella grande
villa di Torquay, nella casa che per un certo tempo ebbe a Baghdad,
persino nella tenda in cui trascorreva, con il marito, buona parte
della stagione degli scavi, in pace e in guerra, in viaggio di
piacere o sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, non
avrebbe mancato di applicarsi alla macchina da scrivere.
Agatha Christie (che, per
mantenere i lettori acquisiti, non poteva rinunciare in copertina al
cognome del primo marito), non scrisse solo gialli. Pubblicò due
libri di poesie, uno di viaggi, parecchie commedie e, sotto lo
pseudonimo di Mary Westmacott, sei romanzi rosa. Poco, rispetto
all’ottantina dimysteries che ci ha lasciato. Storie con
Hercule Poirot, soprattutto: il piccolo ex funzionario della polizia
belga approdato come profugo in Inghilterra nel 1914 e che, nato come
imitazione a contrario di Sherlock Holmes si sarebbe conquistato, con
gli anni, una straordinaria orginalità narrativa o investigativa,
sia che operasse sugli sfondi urbani e cittadini del suo paese di
adozione (The Murder of Roger Ackroyd – Dalle nove alle dieci
– 1931; Hercule’s Poirot Christmas – Il Natale di Poirot –
1939 e così via, fino a Elephants Can Remember – Gli elefanti
hanno buona memoria – del 1972), sia che seguisse i percorsi
esotici che l’autrice batteva nei suoi viaggi (Murder on the
Orient Express – Assassinio sull’Orient Espress – 1934;
Murder in Mesopotamia – Non c’è più scampo – 1938;
Death on the Nile – Poirot sul Nilo – 1938). Altro
personaggio di spicco è Miss Marple, l’anziana zitella capace di
applicare ai casi criminali la propria conoscenza del male nascosto
nella vita quotidiana, un po’ come il Padre Brown di Chesterton;
diversamente da questi, la Christie non attinge alla pratica della
confessione, ma a quella del pettegolezzo (The Murder at the
Vicarage – La morte nel villaggio – 1930; The Body in the
Library – C’è un cadavere in biblioteca – 1942). E poi
gialli sentimentali, storie di avventura e spionaggio, gialli di puro
intrigo senza personaggio fisso, come il celeberrimo Ten little
Niggers o And Then There Were None (Dieci piccoli
indiani … e poi non rimase nessuno – 1940), insuperato
esempio di abilità nell’organizzazione della trama. E,
naturalmente, storie con Tommy e Tuppence, con l’ultima delle quali
l’autrice chiuse, forse in tono minore, la propria carriera.
Agatha Christie è
considerata, in genere, l’esponente più classica del giallo
d’indagine “all’inglese”, contrapposto al noir e
all’hard boiled di origini americane. In realtà, nella sua
opera le convenzioni messe a punto, sul modello di E.A. Poe, da sir
Arthur Conan Doyle e dagli altri classici del sottogenere sono
sistematicamente stravolte, a un punto tale da non permettere al
lettore alcuna anticipazione risolutiva. Molte delle sue trame fecero
(e fanno tuttora) scandalo, anche se è proprio la loro anomalia a
garantire attualità e godibilità ai suoi romanzi. Lo stravolgimento
del genere, costante, pur se abilmente dissimulato, serve all’autrice
per andare oltre la superficie della rispettabile società borghese
che ci descrive. Forse, sotto la maschera dell’abile
confezionatrice di prodotti di intrattenimento, si nasconde una
insospettata capacità di critica e analisi culturale, anche se
Agatha non ha mai avanzato pretese di particolare dignità letteraria
e parlava della propria produzione come della sua “fabbrica di
salsicce”. Ma di chi, di mestiere, ha escogitato tanti delitti e
tanti inganni non è certo il caso di fidarsi alla cieca.
Dal sito “enciclopedia
delle donne”
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