Serge Latouche si
irrigidisce un po' quando gli si chiede della "decrescita",
il concetto che lo ha reso famoso. "Non concetto, uno slogan,
perché in quest'epoca funzionano solo le semplificazioni",
precisa subito. Slogan che in politica si traduce nell'emanciparsi
dall'ossessione per la crescita del Pil e preoccuparsi anche di
ambiente e uguaglianza.
In questi giorni esce in
Italia L'invenzione dell'economia (Rollati Boringhieri, 258
pp., 18 euro), un lavoro di storia del pensiero economico di Latouche
che ha un obiettivo ambizioso: dimostrare che l'economia non esiste.
Al "Fatto" Latouehe dice: "Non si riflette più sul
funzionamento del mondo. Si considera l'economia come qualcosa di
eterno, e l'unica riflessione è su come gestirla. La prova è nel
fatto che le università di economia si stanno trasformando tutte in
business school". Invece, secondo l'economista e filosofo
parigino, l'unico modo per occuparsi seriamente di economia è fare
storia del pensiero economico o riflettere sui grandi interrogativi
che occupavano Adam Smith o David Ricardo, i padri dell'economia
politica.
"Tutto il mio libro
vuole far capire che la realtà economica non è una realtà
naturale, ma una costruzione storica in cui non ci sono leggi
assolute come quelle della fisica, ma tutto è relativo",
sostiene Latouehe e si capisce perché Bollati ha deciso di tradurre
oggi un libro che in Francia è uscito nel 2005. Quella di Latouehe è
una critica radicale dell'atteggiamento teorico che più ha
contribuito alla crisi, l'abuso di econometria e statistica (nelle
università e nella finanza) dovuto all'ambizione (hybris,
direbbero i filosofi) di arrivare a conclusioni oggettive, a verità
incontrovertibili. Che si tratti di sostenere la necessità di
privatizzare i servizi pubblici o di costruire un derivato sul
petrolio. Un approccio quantitativo che trasforma tutto in modelli e
formule e che secondo Latouehe trascura un'osservazione banale:
"Soltanto la nostra società occidentale ha inventato l'economia
così come la intendiamo".
Il rapporto tra
"l'economia" intesa come fenomeno oggetto di studio e
"l'economia" intesa come scienza economica è complesso:
"Perché credere nell'homo oeconomicus perfettamente
razionale, che compie le sue scelte di investimento e consumo
esclusivamente su basi di convenienza, è un errore teorico che
finisce però per trasformare la realtà. E la crisi, in questo
senso, è un momento di verità che rende evidenti i limiti delle
costruzioni teoriche". Il panico che spinge tutti gli
investitori a vendere anche quando non sarebbe opportuno, le bolle
speculative, la corsa agli sportelli che fa fallire le banche
dimostrano che l'uomo in economia non è razionale. Molti economisti
cercano di reagire a questa presa di coscienza integrando i modelli
matematici con la
psicologia o la
neurobiologia.
Latouche è più
distruttivo. Secondo lui siamo "al crepuscolo dell'economia",
perchè "le parole nascono, vivono e muoiono come gli uomini e
le civiltà che le anno create". Quindi il pensatore francese
sostiene che potrebbe arrivare una nuova "epoca dei profeti, "il
volo della civetta di Minerva che annuncia un mondo della
posteconomia e del doposviluppo". Per intanto, nell'attesa che
si formi un nuovo sistema culturale per raccontare quella che oggi
chiamiamo economia, Latouehe si augura "l'emancipazione dalla
religione della crescita" e il perseguimento dell'uguaglianza. E
dovrebbe essere soprattutto la sinistra a riflettere su questo, visto
che è caduta "nella trappola della torta". Convinta che
fosse sufficiente far crescere la torta, cioè il Pil, perché tutti
avessero fette più grandi, "la sinistra non si è accorta che
la torta era avvelenata". E che nei decenni del blairismo e del
"liberismo di sinistra" non si stava preparando un nuovo
egualitarismo ma la crisi della finanza. Almeno ha imparato la
lezione? "Quasi per niente", risponde Latouche. Unico
segnale incoraggiante: il partito francese "Europa ed ecologia",
che ha preso più del 16 per cento alle europee diventando una
fusione vincente tra i vecchi partiti "verdi" e una
sinistra socialista che non riesce più a ottenere consensi. Alchimia
vincente (nelle urne) di tensione all'uguaglianza e battaglia per la
conservazione dell'ambiente.
“Il fatto quotidiano”,
Martedì 2 febbraio 2010
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