16.3.17

Anni Sessanta del Novecento. Al Circolo si parla di cannoli (S.L.L.)

I cannoli migliori del mio paese - Campobello di Licata - erano, a detta dei più, quelli della "zia Rosa", che cresceva due figli molto milanisti e aveva bar e pasticceria in piazza, proprio accanto al circolo di cultura.
Sui migliori in assoluto della Sicilia ci si divideva.
Pochissimi optavano per produzioni palermitane (Caflish o Dagnino) e quasi nessuno per quelle dell'Oriente isolano. I preferiti risultavano i cannoli di Lercara Friddi, della pasticceria a cui ci si accostava nei viaggi avventurosi e lunghi verso Palermo, quando ancora non c'erano le circonvallazioni e si passava da tutti i paesi. A Lercara, non lontano dallo strategico bivio Manganaro, ci si fermava all'andata, per gustare il cannolo con il caffè, con il marsala o con il vermouth, e ci si fermava al ritorno per portare a casa una guantiera di paste, tra le quali il cannolo aveva sempre un posto d'onore.
A contendere il primato a quelli lercaresi c'erano i cannoli nisseni di Romano, il rinomato e signorile caffè del centro cittadino, di fronte al municipio e al circolo dei "civili", non lontano dalla libreria Sciascia. Io li ricordo come squisiti: ad essi davo la mia preferenza. 
Credo che sia nel caso di Lercara che in quello di Caltanissetta, la straordinaria qualità non dipendesse soprattutto dalla fattura delle "scorze" ("scorci" in dialetto), ottime anche nei cannoli palermitani, in quelli di Canicattì o in quelli della zia Rosa, ma dal gusto e dalla lavorazione della ricotta di pecora.

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