Ludwig Boltzmann |
FERMO — Per tre giorni,
una folla di giovani ha ascoltato un gruppo di professori riuniti in
questa cittadina marchigiana da Ruggiero Romano, direttore
dell’Enciclopedia Einaudi. Tema dell’incontro, il tempo: il tempo
nella storia, nella scienza, nell’etica. Un tema affascinante,
svolto dai relatori con grande competenza ma senza l’impegno
divulgativo che il rivolgersi a un pubblico non specializzato avrebbe
richiesto. Eppure il pubblico, attento e assiduo oltre
l’immaginazione, ha ascoltato, preso appunti, applaudito.
Messaggio cifrato
Che cosa abbiano capito i
giovani di Fermo dell’esplorazione kantiana di Jean Petitot, della
modellistica matematica di René Thom, dell’excursus
geometrico-biologico di Antoine Danchin è difficile dire.
L'epistemologo Marco Mondadori — cui spetta, tra gli oratori della
sezione dedicata alle scienze, la palma dell’ermetismo —
riconosce di aver parlato difficile, ma ritiene che il messaggio
scientifico giovi sempre al pubblico, anche se cifrato. Forse ha
ragione. I ragazzi di Fermo, gli insegnanti, gli studenti affluiti
dal circondario avranno capito poco, è vero; ma per tre giorni hanno
respirato l’aria delle grandi scuole di pensiero, dove si crea
sapere, hanno assaporato il mistero di sentirsi parte, seppure
transitoriamente, di quell’empireo della scienza a cui appartenne
il favoloso Einstein; hanno, se non spento, quantomeno attenuato
quella sete di certezza che fuori, nella banalità violenta delle
piazze, non riescono a soddisfare.
Tra le varie relazioni,
ci soffermeremo su quella del professor Giulio Giorello, ordinario di
filosofia della scienza all’università di Milano.
Il tempo non è
quell’entità assoluta e oggettiva che noi istintivamente pensiamo.
Per l’uomo, il tempo si misura sulla durata della vita. Ma se
passiamo dalla biologia ai costituenti primi della materia, tempi
brevissimi, dell’ordine del miliardesimo di secondo, segnano
l’intera vicenda di una particella; mentre su scala cosmica gli
eventi sono scanditi da tempi inconcepibilmente lunghi: l’esplosione
di una supernova rischiara il cielo per mesi; il Sole, nato una
quindicina di miliardi di anni fa, arriverà alla vecchiaia tra
cinque miliardi di anni... Interrogarsi sul tempo, sulla sua
esistenza o inesistenza al di fuori di noi, è stato sempre un tema
di speculazione caro ai filosofi. Aristotele dava del tempo una
definizione che tradiva il rammarico per il suo ineluttabile
trascorrere: il tempo è causa di corruzione, diceva. Per Aristotele,
come per ogni comune mortale, il tempo scorre dunque in una direzione
e non può tornare indietro. Ma non si tratta forse di mera
apparenza?
La fisica di Galileo e di
Newton ha mostrato che certi fenomeni — per esempio la caduta di un
'grave' lungo un piano inclinato — possono essere ripetuti in senso
inverso, come un film che scorra. All’incontrario, se al tempo, che
assume valori crescenti durante lo svolgersi del fenomeno, si danno
valori decrescenti. Alcuni fenomeni della fisica sono reversibili
mentre altri — il dissolversi del fumo di una vaporiera — sono
irreversibili: in essi c'è una notevole asimmetria tra il passato e
il futuro. Nel secolo scorso, ha detto Giorello, una 'strana'
scienza, la termodinamica, ha mostrato che certi scambi energetici
vanno in una sola direzione: se impieghiamo un certo lavoro per
elevare la temperatura di un corpo, non possiamo, invertendo il
ciclo, ritornare precisamente allo stadio iniziale del processo: per
quanto perfetta sia la macchina che impieghiamo, non otterremo mai
dall’abbassamento del livello termico la stessa quantità di lavoro
che abbiamo impiegata. Rimarrà sempre una parte dell'energia termica
che non si trasforma in lavoro: una sorta di energia degradata.
Perché c’è questa degradazione? La risposta, densa di
implicazioni anche per l’uomo e la sua storia, occupò per anni una
delle menti matematiche più alte e tormentate del secolo scorso:
Ludwig Boltzmann, nato a Vienna nel 1844 e morto suicida a Duino,
vicino a Trieste, nel 1906.
La nostra idea di tempo,
del suo irreversibile trascorrere, trova dunque conferma nel secondo
principio della termodinamica, secondo il quale nelle trasformazioni
di calore in lavoro, solo una parte di calore è trasformabile; il
resto si ritrova sotto forma di calore a una temperatura più bassa.
Questa legge — che possiamo chiamare di ‘accrescimento
dell’entropia, cioè della degradazione. del disordine
dell’universo — suggerisce una differenza qualitativa tra eventi
passati ed eventi futuri, cioè un flusso direzionale e irreversibile
del tempo. Essa è valida però a livello dei processi macroscopici,
cioè relativi all’universo nel suo complesso, mentre è
contraddetta a livello delle leggi elementari microscopiche del moto
che sono, come si diceva a proposito della fisica galileiana,
temporalmente reversibili.
Applicatosi dunque allo
studio di questa contraddizione, il matematico austriaco elaborò il
'teorema H', con il quale ritenne di aver dato una spiegazione
meccanica dei fenomeni dell'irreversibilità e della crescita
dell’entropia. Il teorema H fu però oggetto di temibili attacchi
da parte di u Loschmidt prima e di Zermelo poi. Boltzmann dovette
fare appello a tutte le sue risorse di _ matematico e di filosofo per
I smontare le critiche, e uscì I dallo scontro visibilmente provato.
La spiegazione del dilemma, secondo Boltzmann, è che mentre lo
sconfinato u-niverso dal tempo immensamente lungo «è
complessivamente in equilibrio termico, e quindi morto», particolari
‘mondi', come la nostra galassia, fluttuano al di qua e al di là
di tale stato di equilibrio, per tempi che a noi paiono luoghi ma che
sono trascurabili su scala cosmica. «Per l’universo», continua
Boltzmann, «le due direzioni del tempo sono indistinguibili, come
nello spazio non c’è un 'sopra' e un 'sotto'. Tuttavia, come in
una particolare regione della superficie terrestre chiamiamo 'basso'
la direzione verso il centro della terra, così un essere vivente in
un particolare intervallo di tempo di un particolare 'mondo'
distinguerà la direzione del tempo verso stati meno probabili dalla
direzione opposta: la prima è il passato, la seconda il futuro...».
La
sconfitta di Boltzmann
Le battaglie di Boltzmann
non erano però finite, anzi lai più dura doveva ancora svolgersi. A
Lubecca, in un convegno del 1895, il matematico dovette tener testa
ai promotori dell’energetica, Ostwald e Mach. Ostwald, influente
scienziato dell’epoca, dichiarò che gli ultimi sviluppi della
fisica e della chimica avevano portato alla sconfitta dell'idea che
il mondo sia costituito di atomi e molecole. Dietro la condanna
dell’atomismo — e di Boltzmann, convinto atomista — c'era un
rigurgito di irrazionalismo, non diverso (ha fatto notare lo storico
della scienza Enrico Bellone) da quello che in tempi più recenti ha
percorso la cultura occidentale, sulle ali del Sessantotto.
Sulla questione atomica,
come prima sulla questione del tempo, Boltzmann esortò i colleghi a
guardarsi dalle apparenze, che si fanno più ingannevoli a mano a
mano che la scienza progredisce. Ma dallo scontro uscì sconfitto, e
fisicamente stremato. Era il 1895. L’anno successivo, l’uomo che
più drammaticamente aveva vissuto il paradosso del tempo, mise fine
ai suoi giorni.
“la Repubblica”,
ritaglio senza data, ma 1979
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