24.8.17

Billy Collins, il Virgilio delle piccole cose (Paolo Mastrolilli)

Billy Collins
Immaginate un poeta che finisce sulle pagine del “New York Times”, perché due case editrici se lo contendono a colpi di contratti a sei cifre. Immaginatelo che fa una quarantina di letture all’anno, davanti a sale piene di fans adoranti, guadagnando migliaia di dollari a serata. Immaginate la sua voce che diventa un refrain della radio nazionale, dove declama regolarmente i suoi versi, e il Congresso che lo nomina «Poet Laureate of the United States», cioè poeta ufficiale di stato, come Virgilio che con la corona d’alloro magnificava le origini nobili dell’impero romano. Non ve lo potete immaginare, soprattutto in Italia. Perché l’idea che un poeta oggi possa diventare una celebrità, inseguito dal pubblico e dal successo, è estranea alla nostra testa. Questa, però, è la storia di Billy Collins, di cui arriva Balistica (Fazi). Uno che ama il golf, il poker, il pianoforte, il suo cane Jeannine, forse la moglie correttrice Diane, i sigari e il whisky, e fino a quarant’anni non aveva mandato alle stampe neppure un libro vero.
Adesso potrebbe sembrare un predestinato, visto che è nato 70 anni fa da una famiglia di Lowell, Massachusetts, già nota come patria di Jack Kerouac: «Se mio padre fosse salito in macchina con Neal Cassidy - scherza lui - gli avrebbe chiesto di scendere al primo semaforo». Si invaghisce della poesia da bambino leggendo “Poetry”, la rivista che il padre gli riporta dall’ufficio, dove arrivava per caso. Si fa coraggio, spedisce i suoi versi a “Poetry”, ma l’editore Henry Pago gli risponde: «Non ti azzardare più a mandarmi poesie però continua a scrivere». E lui obbedisce. Si laurea in lettere dai gesuiti, comincia ad insegnare al Lehman College del Bronx e non invia più nulla a “Poetry”, per 25 anni. E si accontenta di pubblicare i suoi versi su “Rolling Stone”, per 35 dollari a poesia. Siccome la perseveranza paga, nel 1988 si fa coraggio e manda una nuova collezione alla University of Arkansas Press. Il direttore gli accetta 17 poesie, gliene fa riscrivere una trentina. Esce The Apple That Astonished Paris, che fa di Collins un autore a 47 anni. Non è un successo travolgente, ma basta per farlo notare da un’altra casa editrice universitaria, la University of Pittsburgh Press, che nel 1998 pubblica Picnic, Lightning. Collins vende 50.000 copie, la radio pubblica Npr lo intervista e gli fa leggere i suoi versi. Nasce un fenomeno, e la potente Random House lo ruba alla piccola editoria universitaria, con un contratto che forse non beccherebbero neppure Paul Auster o Philip Roth. È scandalo nel mondo letterario, ma Billy diventa una celebrità. Come è possibile?
Innanzitutto perché scrive poesie che cercano di farsi capire: «Il titolo è come il tappetino di benvenuto al lettore. Cerco di essere ospitale. Ma passare dal titolo al primo verso è come salire su una canoa: ci sono un sacco di cose che possono andare storte». Poi perché usa tutta la libertà concessa dai versi: «Quando comincio a scrivere non so mai dove vado a finire. La penna è uno
strumento di scoperta, piuttosto che di registrazione». Infine perché non si vergogna di usare l’ironia: «Le commedie del più grande poeta in lingua inglese, Shakespeare, non si chiamano commedie per caso».


“La Stampa Tuttolibri”, 22 ottobre 2011

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