2.8.17

Climate change. E Trump «spegne» la missione Galileo (Patrizia Caraveo)


Quando si guarda qualcosa per la prima volta succede spesso di avere delle sorprese. È quello che successe a Cari Sagan quando esaminò le immagini delle Terra trasmesse dalla missione Galileo. Era il 1993 e la missione Galileo stava descrivendo la sua complicata orbita che l’avrebbe portata fino a Giove sfruttando il calcio gravitazione prima di Venere e poi della Terra, per due volte. È un modo economico di accelerare una sonda a spese del campo gravitazione di un pianeta. Il viaggio si allunga ma la manovra rende possibili viaggi interplanetari senza richiedere enormi spinte alla partenza.
Sagan pensò di sfruttare il secondo passaggio ravvicinato della Terra per provare il funzionamento degli strumenti di bordo. La missione Galileo andava a studiare le lune galileiane cercando possibili segni di vita: cosa meglio che provare gli strumenti su un pianeta che la vita la ospita davvero? Nacque così una fantastico articolo intitolato Searchfor life on Earth from the Galileo spacecraft dove Sagan dimostrò che la prova più convincente dell’esistenza di vita sulla Terra è la quantità altissima di metano nell’atmosfera insieme all’esistenza di segnali radio non riconducibili a fenomeni naturali.
Come bonus, la sonda, quando era a circa 2 milioni d ikm dalla Terra, in rotta verso Giove, aveva anche scattato diverse foto del nostra pianeta visibile nella sua interezza. Montando in sequenza le foto era anche possibile vedere la rotazione.
L’occhio esperto di Sagan aveva però notato di strani puntini luminosi. Dal momento che i bagliori apparivano sopra gli oceani, pensò si trattasse di riflessione della luce del sole su porzioni sufficientemente tranquille delle distese d’acqua che venivano colpite dal solo con un angolo (rispetto alla verticale) pari a quello del satellite (sempre rispetto alla verticale).
Combinazione geometrica e specchio d’acqua sembravano poter spiegare i bagliori delle Terra che vennero rapidamente dimenticati, per essere riscoperti nei dati inviati quotidianamente dalla missione DSCOVR (per Deep Space Climate Observatory) che si trova tra la Terra ed il Sole in un punto privilegiato (a circa 1,5 milioni di km da noi) dove l’attrazione gravitazione dei due corpi si bilancia. DSCOVR vede sempre la parte della Terra illuminata e ne fa una foto ad alta risoluzione grossomodo ogni ora. In effetti, lo strumento EPIC fa esposizioni con diversi filtri che poi vengono combinate per produrre immagini in colori «veri».
La Terra è bellissima e molto luminosa: una sinfonia di bianco (delle nubi e dei ghiacci) e di blu (degli oceani), ai quali si aggiungono il marrone ed il verde dei continenti Per godersi lo spettacolo non c’è bisogno di scomodarsi, basta visitare il sito https://epic.gsfc.nasa.gov/
Tra un’immagine e la successiva passa un’ora e la Terra è ruotata, quindi, combinando le immagini prodotte nel corso della giornata vediamo la Terra che gira. È un movimento a scatti ma, con un po’ di interpolazione, la App http://app.blue-turn.earth/ corregge l’effetto saltellante e permette di godersi lo spettacolo maestoso della rotazione del nostro pianeta.
L’unico a non essere sedotto dalla bellezza della Terra è il Presidente Trump e la sua amministrazione che, nella stesura del budget proposto per il prossimo anno, ha esplicitamente chiesto alla NASA di spegnere lo strumento EPIC a bordo della missione DSCOVR che continuerà lo studio del clima spaziale, cioè l’influenza del comportamento del Sole sulla Terra. Il risparmio sarebbe irrisorio, ma è il principio che conta per il presidente che non crede nel cambiamento climatico e vuole evitare che altri lo possano studiare.
Per fortuna, DSCOVR ha un grande impatto mediatico e può contare su un consistente numero di sostenitori nel congresso USA ed è auspicabile che la missione possa continuare a raccogliere immagini per permetterci di ammirare lo spettacolo del nostro pianeta, così bello, così fragile e così pieno di sorprese.
Ispezionando migliaia di immagini raccolte da DSCOVR è stata notata la presenza di centinaia di macchie luminose (presenti in un’immagine ma non nella precedente o nella successiva). Le hanno chiamate glint per luccichio. All’inizio, i glint si vedevano solo sopra gli oceani, proprio come per le immagini della Galileo. Poi, però, un’analisi più accurata ha rivelato la presenza di glint anche sopra la terra, creando la necessità di trovare un’altra superficie riflettente. Le nubi in alta quota, con i loro aghetti di ghiaccio tutti allineati, sono in grado di spiegare il luccichio che colpisce gli esperti per la sua luminosità.

Il Sole 24 Ore 11 giugno 2017

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