Le «vite» contano. Ogni
epoca ha le sue biografie «tipo» da spacciare, i suoi santi da
mettere sugli altari. Eroi, generali, poeti, imperatori, divi e
divine, campioni: l’inventario degli uomini con qualità (che
piacciono tanto agli uomini senza qualità) è vasto, infinito. Che
cosa cerchiamo, in una biografia? L’informazione, certo, ma anche
il «modello». Ogni epoca, senza neppure volerlo, riscrive se stessa
nelle biografie degli uomini che le appartengono o di quelli che
sceglie dal passato perché «altamente rappresentativi». L’etica
del capitalismo ha inventato la biografia del povero che diventa, con
i suoi mezzi, milionario (dall’ago al milione); l’etica del
divismo esige biografie scritte a puntate — attraverso i mass-media
— che assecondino o creino i gusti del pubblico. La maggior parte
delle biografie di consumo scritte oggi sono, di fatto, semplici
sceneggiature, o, se si preferisce, romanzi popolari che hanno per
tema fisso «un eroe del nostro tempo».
Genere basso nella sua
forma attuale più svaccata, la biografia può vantare antenati
illustri e soprattutto una continuità significativa, dai tempi
antichi ad oggi. Nel biografo, è vero, dorme spesso l’agiografo:
ma il ritratto del grande non è necessariamente adulatorio. Ogni
riga della breve biografia riassuntiva che Tacito dedica a Tiberio
sul finire del sesto libro degli Annali è un esempio illustre
di quanto la biografia possa essere spietata o maligna.
Con l'autobiografia il
discorso è diverso. Scegliere di essere il biografo di se stesso è
impresa riservata a pochi, poiché dietro il suo eroe il biografo si
nasconde, ma nell’autobiografia l’uomo raccontato sei proprio tu,
e allora bisogna pure che tu pensi: ho qualcosa di veramente grande
da raccontare.
Gerolamo Cardano, uomo
del Rinascimento, medico illustre e pensatore, di cui ora si
ripubblica il libro Della mia vita (a cura di Alfonso Ingegno,
Serra e Riva) aveva senza dubbio un altissimo concetto di se stesso.
Né questa apologia del proprio vivere e operare, stesa in tarda età,
oltre i settant’anni, tra il settembre 1575 e il maggio 1576, nasce
senza precise intenzioni. Ma c’è un momento in cui un libro o
riesce a sopravvivere all’occasione per cui è nato, o muore con
essa. Se sopravvive, non ha più bisogno — per essere letto — che
l’intenzione sia messa in evidenza. Lasciamola lì, per adesso.
Direi che il motivo per cui il libro del Cardano merita oggi di
essere letto sta, prima ancora che nei suoi contenuti, nel suo
«impianto». Finalmente, verrebbe voglia di dire, un libro che non
si legge come un romanzo, ma piuttosto come un catalogo ragionato.
Giocatore di
scacchi
Cardano ha infatti
ripercorso la propria vita, ha descritto il proprio corpo, ha
enumerato le sue glorie, i suoi dispiaceri, le sue virtù e debolezze
inventariandole per temi: sicché in cinquantaquattro capitoletti o
«voci», senza essere costretto a tener dietro ad un «filo», il
lettore può ritrovare il suo uomo. A brani o a «brandelli». Come
se leggesse un piccolo trattato enciclopedico su un unico tema. Il
lettore può dunque correre in su o in giù, per dritto o rovescio:
il libro è in questo senso docile; non oppone resistenze. Può
cominciare da argomenti pettegoli: «Calunnie, diffamazioni, insidie
di accusatori»; può far conoscenza con particolari fisici («Modo
di camminare e riflessione») o con curiosità («Vestiario»). C’è
da chiedersi: ma da dove si comincia a «conoscere» un uomo? Da
dentro (per esempio, come recita il capitoletto XXII, dai «Sentimenti
religiosi e pietà») o da fuori («Statura e aspetto fisico»), dai
suoi rapporti con gli altri («I miei rapporti con gli altri uomini»)
o da quanto altri hanno detto su di lui?
Un uomo è ciò che
mangia, dirà qualcuno molto più tardi. Nel dire rapidamente delle
sue «abitudini di vita» Cardano riepiloga meticolosamente i modi
quotidiani del suo agire, quante ore di sonno gli servono in salute o
in malattia, quali cibi ama mangiare e come li ha variati e cucinati
nel corso del tempo, gli esercizi per mantenersi in forza. Agli
esercizi in particolare è poi dedicato un altro paragrafo. Ma se
desideri sapere altro, non hai che da chiedere: Cardano; non avrà
esitazione a denigrare la sua scarsa resistenza alle tentazioni del
gioco: dadi e scacchi in prima fila. «Mi sono dedicato per parecchi
anni ad entrambi i giochi: agli scacchi per più di quaranta, ai dadi
per circa venticinque e in tanti anni ho giocato, mi vergogno a
dirlo, ogni giorno». Tuttavia agli scacchi Cardano (lo ricorda
subito dopo aver ammesso con con vergogna la sua debolezza) ha
dedicato un libro nel quale «ho scoperto parecchi problemi
notevoli».
Possiamo indugiare
intorno all’uomo Cardano, entrare nelle varie case da lui abitate,
sapere quali vestiti si mette addosso, quali malattie ha avuto e come
è guarito da esse. Ma Cardano ovviamente non è tutto qui. E allora
dovremo seguirlo per altre strade, sino a scoprire in tutte le sue
luci e le sue ombre questo singolare protagonista.
Quando Cardano scrive
queste pagine ha superato — come ricordavamo — i settant’anni.
Ha guarito re e dignitari, ha viaggiato, ha insegnato e disputato in
celebri università. L’elenco dei libri scritti da lui è piuttosto
lungo, quello dei libri che parlano di lui (in ambedue i casi
puntigliosamente annotati) ancora di più. È arrivato molto in alto,
nella professione soprattutto, ma si è distinto anche nelle
matematiche, dando del filo da torcere a Tartaglia, e in altri campi
non meno difficoltosi. È in buona sostanza un misantropo, o forse lo
è divenuto col passare del tempo e l’accumularsi delle disgrazie
sul suo cammino. I corpi sono sgradevoli, puzzano, sono invasi dai
pidocchi, recita Cardano dandoci di scorcio una lezioncina
sull’igiene dell’epoca. «Se poi guardo all’anima, quale
animale è più malvagio, ingannatore, infido dell’uomo?». Un
figlio gli è morto in maniera particolarmente dolorosa: giustiziato
per aver commesso uxoricidio. E di questo Cardano non sa darsi pace.
Vede ovunque congiure di nemici. Cammina a testa bassa. Qui
incontriamo un elemento prezioso: una pietra.
Questa pietra è in grado
di dirci moltissime cose su Gerolamo Cardano. Ascoltiamolo: «Nel
1560, di maggio, in seguito al dolore per la morte di mio figlio,
avevo perduto a poco a poco il sonno (...) Pregai allora Dio di avere
misericordia di me: in effetti correvo il rischio che quel non
dormire senza interruzioni mi portasse alla morte o alla pazzia (...)
Lo pregai allora di farmi morire, cosa che è concessa a tutti gli
uomini, ed andai a distendermi sul letto».
Il ronzio
nell'orecchio
Preso da un sonno
improvviso, Cardano sente una voce che gli parla e gli raccomanda di
portare alla bocca lo smeraldo che teneva appeso al collo. Così
facendo, e per tutto il tempo che avesse tenuto la pietra vicino alla
bocca, il ricordo del figlio, il dolore e tutto quanto sarebbe stato
dimenticato. La faccenda durò un anno e mezzo. «Nel frattempo,
quando mangiavo o facevo lezione e non potevo usufruire dell’ausilio
dello smeraldo, mi torcevo dal dolore sino a sudare mortalmente».
Predestinazione e magia.
Per tutta la vita Cardano sa (o crede di sapere) d’essere destinato
a cose grandi. D’essere assistito da uno spirito particolare. È
vero ch’egli sbaglia clamorosamente il proprio oroscopo (secondo le
sue previsioni doveva morire poco dopo i quarant’anni), ma le
«assistenze» straordinarie non gli mancheranno.
Come imparò il latino?
Ascoltiamolo di nuovo. «Mi chiedo chi fu colui che mi vendette un
Apuleio latino quando avevo già, se non sbaglio, vent’anni e
scomparve. Fino a quel giorno non ero stato a scuola che una volta,
non avevo nessuna conoscenza della lingua e avevo comprato il volume
come uno sciocco perché era dorato: l’indomani leggevo il latino
come adesso e la stessa cosa si verificò, quasi contemporaneamente,
con il greco, lo spagnolo e il francese».
Un particolare ronzio
nell'orecchio lo avvertiva se qualcuno tramava contro di lui e gli
indicava persino la provenienza e l’esito dei discorsi. Miracoli,
capacità di prevedere le cose, sogni premonitori: Cardano non
tralascia una sola tappa del suo viaggio nel meraviglioso, del suo
essere, nel bene e nel male, un uomo d’eccezione.
«Un’altra mia
caratteristica naturale è che la mia carne talvolta odora di zolfo,
d’incenso e di altre sostanze. Zolfo e incenso: era dunque Cardano
un diavolo o un angelo? Dicendo dei suoi successi non sa bene nemmeno
lui a che cosa deve di più, se all’intelligenza o a Dio, alla
magia o alla scienza, che con la magia in tanti modi egli rimescola.
Ma ascoltiamolo ancora: «Tra gli eventi naturali di cui sono stato
testimone, il primo e il più eccezionale è stato quello di essere
nato in questa nostra età, nella quale per la prima volta si è
conosciuto tutto il mondo».
L’elogio del proprio
tempo è comune agli uomini del Rinascimento, così come
l’intrecciarsi di scienza e magia e le discussioni infinite su
quale magia fosse positiva e quale negativa. Cardano non fa eccezione
in questo senso: egli sente d’essere un uomo eccezionale in un
tempo eccezionale. Questo innanzitutto lo spinge a scrivere di sé,
anche se l’apologia di se stesso doveva anche metterlo al riparo da
altre e penose accuse da lui sopportate in vecchiaia. Cardano fu
infatti incarcerato per motivi religiosi e costretto poi ad una
abiura. L'apologia, nelle sue intenzioni, doveva porlo al riparo da
ogni altra accusa, da ogni sospetto di eresia. Ma a noi questo, oggi,
non interessa più di tanto. Il libro, come ho detto, è andato al di
là dell’intenzione. È diventato un magnifico ritratto dal vero di
un uomo del Rinascimento. Un magnifico ritratto del Rinascimento
attraverso uno dei suoi uomini. E non è un caso. Roy Pascal ha
scritto che l’autobiografia è un genere squisitamente europeo,
sconosciuto in Oriente. Una ragione ci deve essere: è una
affermazione che fa meditare. «Un’età dinamica, grande e
significativa», ha scritto Àgnes Heller, «delle personalità
dinamiche, grandi e significative: è questo il terreno di per se
stesso fertile per l’autobiografia». Ed è per questo, aggiunge,
che due vite così diverse, come quelle di Cardano e di Cellini, ci
parlano dello stesso mondo.
Un mondo che non del
tutto a torto si compiaceva di se stesso. «Non ci resta ormai»,
aveva scritto Cardano, dopo aver detto delle meraviglie delle
scoperte geografiche, della polvere da sparo e della stampa, «che
conquistare il cielo». Ma poco sopra aveva scritto: «Non c'è
quindi dubbio, che per conservare la giusta proporzione nelle cose
umane, avranno luogo in futuro grandi calamità». E ancora: «Ma
sarebbe follia dell’uomo dimenticare la vanità del tutto e la
nostra ignoranza dei primi princìpi, seppure sarebbe superbia non
ammirare queste scoperte».
Gerolamo Cardano terminò
il libro Della mia vita nel maggio del 1576. Il 20 settembre
dello stesso anno moriva a Roma.
“la Repubblica”,
ritaglio senza data, ma 1982
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