L'articolo qui postato,
che risale a più di un anno fa, merita qualche aggiornamento
sull'attività legislativa e governativa in materia, ma – a quanto
ho potuto appurare – la sostanza dei problemi, le paure e le
opportunità sono sempre quelli e per farsi un'idea dello stato
dell'arte resta utile. (S.L.L.)
Nella foto sulla lapide
il celebre domatore è abbracciato a una tigre, mentre la tomba del
grande cavallerizzo è a forma di ferro di cavallo. Ci sono tutti i
grandi nomi circensi nella cripta sotterranea del cimitero di
Bussolengo (Verona), si può dire anzi che lì riposi tutta l’epoca
d’oro del circo italiano, quella tra Ottocento e Novecento. Un
tempo in cui le star del circo erano tra gli artisti più pagati al
mondo, apprezzati dagli intellettuali e venerati dagli spettatori,
tanto che quando arrivava il circo in città chiudevano le scuole e
gli uffici, per consentire a tutti di andare ad applaudire i fenomeni
della pista.
Dal 1968, anno della
cosiddetta “legge circo”, gli interventi pubblici per il mondo
dello spettacolo viaggiante sono stati molto pochi, fino a questi
ultimi mesi quando due importanti novità hanno determinato un deciso
cambio di passo. La prima notizia è il riconoscimento alla spinta
innovatrice della nuova generazione del circo contemporaneo, la
seconda è la scelta di intervenire a favore della tutela degli
animali, un problema che interessa principalmente le imprese circensi
tradizionali.
Per quanto riguarda
l’innovazione, la novità arriva dal Fondo Unico per lo Spettacolo,
il FUS, che per la prima volta nel 2015 ha assegnato un contributo
economico non solo ai circhi tradizionali ma anche a due compagnie di
circo contemporaneo. Un riconoscimento che vuole colmare un ritardo
quasi trentennale rispetto al resto del mondo, ma che non trova un
riscontro concreto sul piano economico: l’anno scorso il FUS ha
destinato al circo e allo spettacolo viaggiante (giostre e luna park)
solo l’1,30% dei finanziamenti, meno di 4 milioni e mezzo di euro,
per un settore che impiega a pieno regime oltre cinquemila lavoratori
e che nel 2014 ha registrato un fatturato tra i 25 e i 30 milioni di
euro, a fronte di circa tre milioni di biglietti venduti. Un
contributo davvero minimo per le imprese tradizionali: basti pensare
che l’American Circus della famiglia Togni, che ha ottenuto un
contributo di 174 mila euro, ne spende, solo di trasporto, intorno ai
70 mila a tratta, o che uno spettacolo del circo di Moira Orfei costa
di produzione tra i 10 mila e i 15 mila euro a replica. Al circo
contemporaneo il FUS ha destinato circa 80 mila euro, una somma che,
per quanto sia assegnata a compagnie piccole e con costi di
produzione molto contenuti, risulta anche in questo caso del tutto
inadeguata.
Antonio Buccioni,
Presidente dell’Ente Nazionale Circhi, commenta la situazione con
una battuta: «Il circo vive grazie al pubblico pagante, è per
eccellenza lo spettacolo del popolo. Se un domani il FUS fosse
abolito, il circo sopravvivrebbe. Non so se le altri arti
dell’intrattenimento che prendono la maggior parte dei
finanziamenti (lirica, cinema, teatro, musica e danza) potrebbero
dire lo stesso».
Il segnale che arriva dal
FUS però è inequivocabile: anche in Italia c’è spazio per un
nuovo modo di fare circo ed è necessario aprirsi e sostenere gli
artisti che scelgono l’innovazione.
Ma cosa si intende per
circo contemporaneo? C’è chi preferisce chiamarlo “nuovo circo”,
chi invece lo classifica come “teatro-circo” o usando il francese
“autre cirque”, insomma già dal nome emerge una delle
caratteristiche peculiari di questa forma d’arte: l’irriducibile
volontà a non chiudersi in un genere o in un unico tipo di
rappresentazione. La caratteristica che più colpisce è
probabilmente la fusione di vari linguaggi scenici: nel circo
contemporaneo si trova la danza, il teatro, le arti marziali, il
teatro di oggetti, il cabaret, ma tutto è sempre declinato nel
linguaggio circense, caratterizzato dal gesto o dall’oggetto,
magari reinventato. Se, come molti sostengono, il suo fascino risiede
nell’essere uno spazio dove accadono eventi straordinari, lontani
dalla normalità, il circo contemporaneo mantiene intatta questa
caratteristica, in una forma a volte più teatrale e narrativa.
Leonardo Angelini, studioso del circo e membro della commissione del
Ministero che ha finanziato le compagnie di contemporaneo, sottolinea
alcuni aspetti peculiari: «Rispetto a quello classico, il circo
contemporaneo non ha canoni predefiniti, come la sequenza di numeri
intervallati da stacchi musicali o sketch di clownerie, e nemmeno
un’estetica fissa. Ogni spettacolo è costruito invece secondo una
drammaturgia originale, senza uno schema precostituito, ed ogni
compagnia ha estetiche diverse e ben riconoscibili. Cambia anche il
ruolo dell’artista», continua Angelini, «che è creatore/autore
del personaggio e del numero; nel circo classico, invece, ogni
artista è potenzialmente sostituibile con un altro, purché soddisfi
determinati requisiti».
«Una differenza
importante sta anche nello spazio di rappresentazione», nota
Alessandro Serena, professore di Storia dello Spettacolo Circense
all’Università di Milano e nipote di Moira Orfei. «Il circo
contemporaneo torna in quelli che erano i luoghi che per secoli hanno
caratterizzato l’attività circense: il teatro e la strada. L’idea
che lo spettacolo viaggiante si collochi principalmente sotto il
tendone deriva da una consuetudine che ha preso piede solo negli
ultimi decenni. I diversi spazi caratterizzano anche il pubblico e il
tipo di show: in un teatro sarà possibile proporre un allestimento
più sofisticato mentre nell’arte di strada viene fuori l’anima
più popolare. Spesso si pensa che circo contemporaneo e circo
classico costituiscano due mondi distinti», puntualizza Serena, «io
credo invece che siano due realtà che si rispettino enormemente,
l’una arricchisce l’altra».
Il successo del circo
contemporaneo italiano, uno dei pochi linguaggi d’innovazione che
riesce a mettere d’accordo consenso di pubblico e apprezzamento
critico, ha prodotto come conseguenza diretta l’esplosione di corsi
per amatori e scuole, dove si insegna e si pratica la giocoleria,
l’acrobatica, la clowneria.
Quinta Parete,
progetto nazionale che si concentra sul pubblico come campo
d’indagine nello spettacolo contemporaneo dal vivo, ha appena
concluso il primo censimento di questo fenomeno che conta quasi 14
mila persone, soprattutto nel Nord Italia. «Oltre ai raduni per
amatori e professionisti», racconta Adolfo Rossomando, direttore di
“Juggling Magazine”, «assistiamo a un vero boom del circo
educativo, il “piccolo circo”, un’attività che stimola la
creatività e le abilità atletiche senza la pressione agonistica o
della performance. In Italia si contano circa settanta scuole,
trecento insegnanti e tra i 30 mila e i 50 mila allievi. Sempre
secondo Rossomando «un altro settore in crescita è quello del circo
sociale, quando cioè le arti circensi sono messe a servizio di
progetti di solidarietà e integrazione; a oggi sono attivi circa
venticinque progetti che coinvolgono vari tipi di utenza, dai
disabili fino ai migranti, per un totale di quasi quattromila
persone».
L’altra grande novità
che rivoluziona il mondo del circo è contenuta nella bozza di legge
diffusa dal ministro dei Beni e delle Attività Culturali
Franceschini lo scorso 28 gennaio, dove si parla esplicitamente di
«revisione delle disposizioni in tema di attività circensi,
specificatamente finalizzate alla graduale eliminazione dell’utilizzo
degli animali». Per il mondo del circo è una notizia bomba: il
disegno di legge accoglie le proteste delle associazioni che da tempo
denunciano l’impiego di quasi 2000 animali negli spettacoli, tra
cui molti provenienti da specie protette come elefanti, tigri e
leoni, e dichiara dunque in via di estinzione tutta una parte
dell’attività circense tradizionale.
Le reazioni non si sono
fatte attendere, a partire da quella di Flavio Togni, l’artista più
premiato del festival di Montecarlo e considerato il più grande
addestratore in attività: «Vivo a stretto contatto con gli animali
da quando ero bambino, per me sono parte della famiglia, non potrei
mai maltrattarli. Per addestrare gli animali è necessario stabilire
con loro un rapporto di complicità e rispetto reciproco; e invece in
Italia non esiste nemmeno una certificazione per fare l’addestratore,
su questo bisognerebbe intervenire! A volte mi chiedo il perché di
questo accanimento contro di noi quando nell’allevamento intensivo,
nei maneggi e nello sport le condizioni di vita degli animali sono
decisamente peggiori che in un circo. Di sicuro non ci arrenderemo
senza combattere, la battaglia è appena cominciata».
Saranno la graduale
eliminazione degli animali e il nuovo impulso artistico del
contemporaneo le strade che porteranno a una rinascita del circo? Lo
Stato deciderà di riportare lo spettacolo viaggiante ai fasti di un
tempo, magari incrementando i contributi? È troppo presto per dirlo,
ma forse dopo tanti anni adesso si può iniziare a guardare il futuro
con ottimismo. «Io ho solo una paura», confessa Giacomo Costantini,
fondatore del Circo El Grito (una delle due compagnie di circo
contemporaneo ad aver ottenuto il contributo FUS), «ed è che al
mondo del circo accada quel che è successo ad altri settori dello
spettacolo dal vivo, dove enti e fondazioni hanno assorbito la
maggior parte dei finanziamenti sottraendoli agli artisti e hanno
allontanato il pubblico, rendendo alcune forme d’arte elitarie ed
autoreferenziali. Finché il circo si sosterrà principalmente con il
pubblico pagante, rimarremo poveri, ma liberi di creare e di
divertire gli spettatori».
“Pagina 99”, aprile
2016
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