13.8.17

Umanisti italiani. Restaurare la parola per inventare il futuro (Ernesto Ferrero)

Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni. Ghirlandaio: "Annunciazione di Zaccaria" (part.)
Da sinistra Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Angelo Poliziano e Demetrios Chalkondyles
Tra le preoccupazioni che Italo Calvino si portava dietro negli ultimi tempi e che trovano un puntuale riscontro nelle Lezioni americane, c’è quella per la deriva del linguaggio, anzi, per la peste che sembra averlo colpito. Un uso del linguaggio sciatto, impreciso, banale, in definitiva furbesco, truffaldino e corruttore, specchio fedele di una crisi di civiltà. Le patologie del linguaggio sono spia delle malattie morali che svuotano dall’interno le società. Scienza troppo austera e rigorosa, la filologia non è mai stata popolare da noi, e fa impressione ritrovarla come chiave di volta della corposa antologia dedicata dai «Millenni» Einaudi agli Umanisti italiani per le cure impeccabili di Raphael Ebgi. L’intenso, ipnotico saggio introduttivo di Massimo Cacciari è un libro nel libro, dal titolo perentorio: Ripensare l’Umanesimo, non come un armonioso Eden di grandi spiriti, ma come dibattito tormentato che affronta di petto i tempi drammatici in cui vive per guardare oltre, utilizzando la classicità per pensare un nuovo modello di società civile.

Filologia creativa
Filologia non come arida pedanteria incapace di intendere la bellezza artistica, ma amore per ogni forma di Logos, per la parola limpida, concreta, pragmatica che è tipica del latino, capace di significare con precisione e di parlare a tutti. La primazia che l’Umanesimo riserva alla filologia non è comodo rifugio in un passato estinto, ma il fondamento di un preciso progetto politico, prima ancora che culturale. Per Lorenzo Valla la pietas per il passato, il delicato lavoro di restauro della parola che fonda la vera conoscenza è un sentimento vuoto se non orientato su un futuro da inventare proprio perché si presenta drammatico. La filologia deve nutrire l’immaginazione, diventare forza creativa.
Le lettere, i trattatelli, i dialoghi di Petrarca, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla, Leon Battista Alberti, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Leonardo, Savonarola, Machiavelli vivono della tensione tra presagi apocalittici, aspirazione all’armonia e alla bellezza e una teologia che non spenga la sete di conoscenza, ma anzi faccia sua la forza rabdomantica con cui scienza, arte e poesia interrogano il mistero, sfidano l’indicibile.
La prima sezione dell’antologia si intitola Umanesimo tragico e documenta una consapevolezza della fragilità umana mai così acuta e angosciosa. Accanto ai pericoli delle malattie, Alberti cataloga la fatica di crescere, il sadismo dei pedagoghi, l’instabilità creata dalle emozioni, i capricci della Fortuna, le nostre stesse smanie di possesso, spesso distruttive. Lupi gli uni agli altri, frastornati dai ciarlatani, gli uomini non possono trovar balsami per le proprie ferite, ma sono obbligati a conoscerle. Il sapere che nasce dalla sofferenza segna il più alto grado di virtù, e produce anche la sana voluttà d’ogni attività di ricerca.

I nuovi antichi
Per diventare incisiva, la speculazione filosofica deve dunque fondarsi sul rigore della parola. Figure distinte, filologia, filosofia e teologia sono chiamate a integrarsi, a dialogare, a progettare una nuova pedagogia civile, nemica dell’astrazione, tutta volta ad arrivare al cuore delle cose. Il nesso profondo che le unisce è già in Dante, ma vale anche per l’architettura e per le scienze applicate. Le opere degli antichi, dice Alberti, non devono essere oggetto di ammirazione sentimentale, ma studiate accuratamente in ogni dettaglio. Non sono un modello statico da imitare, osservare Roma significa capire come i romani risolvevano i loro problemi, cavarne un metodo per risolvere i nostri, essere capaci di elaborare forme nuove che a loro volta possano fondare una tradizione. A salvarci non basta l’autorità dei classici. Occorre praticare l'osservazione instancabile della realtà e dei suoi prodigi. Leonardo non condivideva gli slanci metafisici dei neoplatonici fiorentini, ma restava contagiato dalla loro ammirazione per le meraviglie del creato, per il numinoso che in quelle è cifrato.

Pensiero e azione
Bisogna elaborare un mix coerente di pensiero e azione. I nodi da sciogliere sono molti: il rapporto tra Aristotele, Platone e la rivelazione, tra libero arbitrio e volontà divina, tra vita contemplativa e vita attiva; il ruolo del sapiente alle prese con una creazione perpetuamente in progress; il problema della traducibilità delle tante lingue in cui le civiltà si esprimono; la liberazione spirituale che si può attuare attraverso la conoscenza, come prescrivevano i fascinosi testi ermetici tradotti da Marsilio Ficino. Non sono discorsi riservati agli specialisti o agli storici. Il rapporto con la tradizione, la necessità di basare ogni progetto di rifondazione su una rivisitazione del canone, sono uno di quei passaggi che ogni generazione è chiamata ad affrontare, se vuole restare padrona del proprio destino. Nessuno lo ha interpretato meglio degli umanisti italiani.

“La Stampa”, 20 novembre 2016

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