18.9.17

Psicanalisi. Metti sul lettino il libro nero (Luciano Mecacci)

L'autore della recensione per il controverso Libro Nero è stato a lungo Professore di Psicologia Generale all'Università di Firenze. Ha scritto, fra l’altro, una Storia della Psicologia del Novecento, Laterza, 1995, e Il caso Marylin M. e altri disastri della psicanalisi, Laterza, 2002. (S.L.L.)

«Ironizzare su Freud non è gradito agli adepti. Né fare insinuazioni sul fatto che il suo pensiero sia lontano dal metodo scientifico»
Le risentite reazioni degli psicoanalisti al Libro Nero della psicoanalisi, uscito in Francia nel settembre 2005, erano prevedibili. Tanto più dopo il tempestivo contrattacco su «L’Express» dell’autorevole psicoanalista Élizabeth Roudinesco, che ne aveva riassunto così il contenuto: «Freud vi è trattato come un bugiardo, falsario, plagiario, dissimulatore, propagandista, padre incestuoso. Viene presentato come una sorta di dittatore che ha ingannato il mondo intero con una dottrina falsa. La maggior parte delle grandi figure della psicoanalisi, Melanie Klein, Anna Freud, Jaques Lacan, Bruno Bettelheim, Françoise Dolto, è sbeffeggiata in un linguaggio povero e volgare e a colpi di affermazioni false e senza fondamento. Tutti i movimenti psicoanalitici sono denunciati come luoghi di corruzione e gli analisti sono accusati di essere dei criminali». Poiché nel giro di ore e di pochissimi giorni su Internet e sui giornali francesi si scatenò un frenetico botta e risposta - «Pour ou contre le Livre noir?» - c’è da chiedersi come questi interlocutori avessero trovato il tempo per leggersi le centinaia di pagine e discuterne a ragion veduta. Si ha l’impressione che lo psicoanalista, di fronte alle critiche di questo tipo, si fermi alla superficie dell’esposizione, prenda a pretesto le battute e le parodie e sposti la discussione a quel livello, rifiutando di affrontare la sostanza dell’argomentazione. Prendiamo Lacan, di cui si dice nel libro che «ha fatto proseliti a migliaia, ricevendo, in un’epoca di sedute sempre più brevi e sempre più care, i giornalisti e gli artisti più noti. Guru, mito, impostore, genio …». Probabilmente una frase del genere fa irritare sia i tanti uditori estasiati dei suoi “seminari”, sia chi ha sborsato migliaia di franchi per un’analisi con lui. Però Mikkel Borch-Jacobsen, nel suo capitolo, mostra come le tesi lacaniane siano imbevute del pensiero di noti filosofi del Novecento. Quindi si potrebbe discutere di questa demitizzazione di Lacan: se, al di là della forte influenza di tali filosofie, rimanga un nucleo legato alla pratica psicoterapeutica lacaniana. Certo, la frase finale di Borch-Jacobsen non incoraggia una discussione pacata: «Ecco che cosa lascia perplessi: non che Lacan sia stato un filosofo, ma che l’abbia negato, ammantando con l’autorevolezza di una “pratica analitica” completamente mitica gli ultimi concetti in voga. Gli intellettuali francesi avrebbero pagato così tanto per cercare la verità del loro desiderio sul suo divano se avessero saputo che potevano trovare la stessa saggezza nelle edizioni tascabili di Kojève, di Heidegger o di Blanchot?».
Proprio questo tipo di affermazioni ironiche non è gradito, come non sono bene accolte quelle lapidarie alla Frank J. Sulloway, che qui parla di «Freud, tra criptobiologia e pseudoscienza» e conclude scrivendo: «Il vero fallimento della psicoanalisi deriva dal palese rifiuto del metodo scientifico. Una disciplina incapace di autocritica è destinata a passare continuamente da un sistema di credenze pseudoscientifiche ad un altro. Questa è, a mio avviso, la più tragica eredità che Freud ci ha lasciato».
Vediamo quale sarà la sorte del Libro nero (Fazi 2006, a cura di C. Mayer) in casa nostra. Sarà controsbeffeggiato oppure se ne discuteranno almeno due o tre punti cruciali (storici, come la manipolazione di famosi casi clinici; teorico-metodologici, come il rapporto con le altre forme di psicoterapia)? Forse sarà messa in atto la congiura del silenzio, la stessa che toccò a Sebastiano Timpanaro quando osò, lui, un filologo, scrivere sul Lapsus freudiano, nel 1974 (e del quale vedi ora la bella raccolta curata da Alessandro Pagnini: La “fobìa romana” e altri scritti su Freud e Meringer, ETS, Pisa).


“Il Sole 24Ore Domenica”, 18 marzo 2007

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