12.10.17

La Cina confuciana e l'Occidente cristiano. Quattro secoli di incomprensioni (Renata Pisu)

L'immagine tradizionale di Confucio
Che incontro straordinario avrebbe potuto essere quello tra Gesù, il quale colloquia con il Padre, e Confucio che lapidariamente sostiene "il Cielo non parla". Un continuo malinteso - scusa, cosa hai detto? Non ti sento bene - che ancora oggi ci perseguita, se la vogliamo vedere unicamente dal punto di vista religioso, non da quello della storia di due civiltà, dove ce n'è una, la nostra, che si presenta come "fondamentalista" - i cinesi interpretarono infatti il cristianesimo come un Islam influenzato dal Buddismo - mentre l'altra, pragmaticamente, sta a guardare, riflette, e si domanda che cosa mai si vuole da loro.
Invece, mai ci è stato incontro, sempre scontro, tra noi, i visitatori religiosi, e loro agnostici, laici, di certo afflitti da un complesso di superiorità ma, comunque, sulle prime curiosi. All'inizio, da parte loro, c'è stata una certa condiscendente simpatia, poi è venuta l'ostilità. Purtroppo, a nulla è valso l'impegno di Matteo Ricci, il gesuita che morì a Pechino nel 1610, di adattarsi alla Cina, imparare la lingua, entrare in relazione con la classe colta dei mandarini, tentare di sedurli mostrando loro le meraviglie della scienza e della tecnica occidentali. Un famoso letterato cinese, Li Zhi, ha lasciato questa testimonianza su Matteo Ricci: «E' un uomo di qualità superiore ma non riesco a capire cosa sia venuto a fare qui. Penso che forse voglia sostituire i suoi insegnamenti a quelli di Confucio, ma la cosa mi pare troppo stupida». Vana è stata anche l'opera di proselitismo tramite la traduzione in cinese, opera dei missionari colti europei, soprattutto italiani, di opere scientifiche occidentali che sempre esordivano con un elogio del cristianesimo, perché la maggior parte di coloro che le leggevano erano interessati a ciò che i missionari offrivano nel campo delle arti e delle tecniche, non di certo alle storie bibliche, per loro un guazzabuglio di leggende incomprensibili e, spesso, immorali.
Il mondo cinese non era facile presa per una religione che implicava l'esistenza di un assoluto e di un atto di creazione, eppure vi furono alcuni eminenti convertiti tra i letterati e, forse, l'evangelizzazione della Cina non sarebbe stata un totale fallimento se non fosse scoppiata la Questione dei Riti: potevano o non potevano i cristiani cinesi celebrare cerimonie in onore dei loro Antenati e di Confucio, funzioni laiche che riassumevano ciò che c' era di più sacro nella famiglia, nel clan, nello Stato? Per i gesuiti sì, per i missionari domenicani e francescani assolutamente no. Su questa questione si ebbero polemiche a non finire, viaggi a Roma per perorare in Vaticano la propria causa e, alla fine, il Papato si dichiarò favorevole alle tesi dei domenicani e dei francescani che sembravano fatte apposta per offendere i cinesi, e questa ingerenza finì per irritare l'Imperatore Kangxi. Così ebbe termine il grande esperimento ideato da Matteo Ricci, minato da rivalità meschine tra ordini religiosi, da oziose diatribe sulla terminologia da adottare in cinese per esprimere Dio, cosa di certo non facile. Diciamo, impossibile.
È anche per queste "dispute teologiche" che oggi il Papa chiede perdono alla Cina. Ma fosse soltanto questo, purtroppo c'è di peggio nella storia del perenne malinteso tra Cina e Cristianesimo, tra Cina e Occidente: nel 1853, pochi anni dopo la prima Guerra dell'Oppio, un contadino cinese convertito al cristianesimo di nome Hong Xiuquan, dichiarò di essere il "Fratello Minore di Gesù Cristo" e mise a ferro e fuoco tutta la Cina centrale stabilendo a Nanchino la capitale del suo Celeste Impero della Grande Pace. L'Occidente cristiano lo aiuto? No, praticava il battesimo non con l'acqua - i cinesi hanno un'avversione per l'acqua, specie se fredda - ma applicando pannolini bagnati sull'addome di adulti e infanti. Così noi sostenemmo la decrepita e corrotta dinastia Qing, rifornendo le sue truppe con i modernissimi fucili Enfield. E il povero profeta armato ma che, tutto sommato, esprimeva un anelito di rinnovamento, fu sconfitto.
Chi, oggi, osa domandarsi se il ripudio da parte occidentale del cristianesimo "cinesizzato" del Fratello minore di Gesù, non abbia per caso spezzato ogni legame possibile tra dottrina cristiana e masse cinesi? Forse il Papa anche su questo ha riflettuto, sta riflettendo. La storia del malinteso prosegue: nell'Ottocento i missionari in Cina sono per lo più protestanti, anglosassoni, gente dedita al sacrificio e che non frequenta la Corte imperiale come i gesuiti, ma fa proseliti nelle campagne. Si comportano come maestri di scuola verso i bambini che devono essere educati per diventare adulti. Logico che i cinesi si sentano offesi. Finì il secolo, il diciannovesimo, e nel 1900 scoppiò in Cina la rivolta dei Boxer, movimento xenofobo, certo, ma soprattutto antireligioso, anti una religione protetta da armi tanto potenti. Il massacro di cinesi convertiti fu immane, morirono ammazzati anche molti occidentali.
Un funzionario imperiale scrisse nel suo rapporto: «Abusando del loro prestigio, i cristiani opprimono i non cristiani, il popolo non ci capisce niente e l' odio cresce». Cresce, ha continuato a crescere per tutto il secolo Ventesimo, in Cina, l' odio non per una religione ma per una civiltà che, con la religione, è sempre stata sospettata di andare a braccetto. Così in Cina, oggi, si distingue tra Chiesa patriottica e chiesa clandestina, che sarebbe quella che obbedisce a Roma. E che, da domani, potrebbero unificarsi, se il "mea culpa" di Giovanni Paolo II ottiene il perdono da cinesi pragmatici e, fondamentalmente, sanamente, atei che mai direbbero "Got mit uns". Gli viene da ridere. Loro sanno che "Il cielo non parla".


“la Repubblica”, 25 ottobre 2001

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