10.11.17

Cuore. Vietato ai minori di 18 anni (Francesca Lazzarato)

Su Cuore di Edmondo De Amicis, ormai più che centenario, non si è mai smesso di scrivere e di discutere, e tra esegesi, parodie ed esplorazioni storico-letterarie, la mole di scritti accumulata è inferiore solo a quella che riguarda l’altro grande classico per l’infanzia italiano, Pinocchio.
Difficile, quindi, dire ancora qualcosa su questo libro assai amato e odiato, ma soprattutto deriso, almeno da quando comparve, sul Caffè, l’elogio di Franti pronunciato da Umberto Eco. Eppure Domenico Starnone, nella sua introduzione al Cuore appena pubblicato dalla Universale economica Feltrinelli, è decisamente riuscito a dire la sua: pur preso tra due «Cuori» fin troppo diversi (quello di Michele Serra, che usa il marchio deamicisiano nel modo più irriverente possibile, e quello conosciuto nell’infanzia, tra emozione e sgomento) ha trovato modo di dimostrarci, una volta di più, che certi libri per bambini andrebbero letti soprattutto da adulti.
Come ricavarne, altrimenti, succhi inediti da mettere a confronto con le antiche, indelebili impressioni infantili che non cessano di accompagnarci? Così allo Starnone di nove/dieci anni, che affronta Cuore nei vapori della febbre alta, scoprendovi con un certo gusto una quantità di gente ammalata e povera, di grugni lombrosiani, di racconti mensili pieni di emozioni ed effettacci, e perfino di sessualità appena accennata (quante trecce di bambine brutalmente tirate, quanti uomini e ragazzi che in un libro così al maschile vivono in funzione delle lacrime o delle gioie delle loro mamme, compresa quella super-mamma che è la Patria, immaginata come una dama discinta in camicione...), si sovrappone lo Starnone che rivede, nel libro di De Amicis, una scuola nella sostanza immutata.
E’ in questa luce che Cuore - gran serbatoio di notizie ed immagini su un’Italia neocnata, sulla classe che la governava, sulla sua ideologia e sul suo fosco immaginario pedagogico - ci appare, forse, più inquietante che mai: perché, dice Starnone, sono ancora reali e palpabili la frustrazione e il senso d’abbandono di certi insegnanti e la loro sostanziale subalternità alle gerarchie sociali ed economiche, nonché l’uso del Garrone di turno in funzione di sgherro e il «succube innamoramento» nei confronti del primo della classe.
Né è scomparso il Franti che un tempo terrorizzava il piccolo lettore, e che all’occhio dell’adulto appare, adesso, esattamente per quello che è, una creatura incompiuta, molesta, che «una volta porta la maschera di Bresci, un’altra quella della violenza proletaria, un’altra quella neonazista, un’altra ancora quella anti-terrone o xenofoba o da killer miserabile che ti aspetta sotto casa».
Ed è soprattutto per questo che dovremmo rileggerci (da grandi!) il libro Cuore, per le promesse che abbiamo fatto a Franti senza mai mantenerle, o per quelle che non siamo stati capaci di fargli, perché troppo ci turba la sua tremenda incollocabilità, il suo irrimediabile essere fuori...


“la talpa libri il manifesto”, 22 aprile 1993

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