14.11.17

Icone bulgare. E il patriarca gridò "Non ci provate!" (Moni Ovadia)

Crocifisso "corona" sopra l'iconostasi
L'arte delle icone l'ho incontrata diverse volte, nel corso dei miei vagabondaggi, e, in qualche misura, mi sono riconosciuto nelle figure ritratte in quei dipinti essenziali della devozione cristiano orientale. Una volta una poetessa russa mi disse che i miei tratti somatici avevano una singolare affinità con i santi ritratti nelle icone. La sua percezione, vera o falsa che fosse, non era priva di un'allusiva coerenza.
Sono nato in Bulgaria e credo che per ragioni enigmatiche l'anima di un luogo, talora segni la geografia somatica di qualche sembiante. La lunga frequentazione con la Grecia mi ha ulteriormente familiarizzato con la presenza delle icone che sono una dominante, sia nei luoghi di culto, che nelle case contadine e popolari di quel paese. Ma è stato grazie all' amico Paolo Rumiz, penetrante e caparbio viaggiatore delle periferie spirituali d' Europa, che ho avuto modo di accedere più da vicino all' intensa e asciutta bellezza di un'arte popolare e nobile, remota eppure così vicina alla libertà della pittura contemporanea. Ho condiviso con Rumiz un tratto di viaggio che ci ha portato nel monastero ortodosso di Deciani, in Kossovo, oggi un' isola di pace governata da monaci e protetta dalle truppe italiane del UKFOR.
Nei tempi tragici del conflitto quel luogo è stato rifugio per tutte le genti del posto senza differenze per la loro origine "etnica". In quel mondo appartato, con i ritmi cadenzati dai tempi delle preghiere e degli esercizi spirituali, alcuni giovani monaci praticano ancora l'arte delle icone che vengono create per essere mandate in ogni angolo del mondo. A Deciani ho osservato uno di quei giovani monaci artisti, dal volto di ascetica bellezza e dai modi dimessi e amichevoli, stendere l'oro sulla tavola dell'icona con meticolosa pazienza. È singolare come quell'oro non evochi l'idea di ricchezza ma piuttosto uno splendore intimo generato per accogliere figure senza alcuna vocazione al volume o alla prospettiva; per questo i volti di quei santi sono evocatori di una santità modesta, non esibita. Forse è anche per questa ragione che quelle immagini stilizzate che non indulgono all' estetismo non feriscono in un ebreo come me la mia suscettibilità iconoclasta.
Oggi, grazie ad una straordinaria iniziativa della Pinacoteca Ambrosiana, possiamo godere di una commovente mostra di icone e manoscritti provenienti dalla Galleria d' Arte Nazionale di Sofia e dall'Istituto Ecclesiastico Storico Archivistico presso il Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Bulgara. Vale la pena di godere dell'emozione emanante da ogni suo reperto. Io sono stato specialmente colpito da tre immagini. La prima è un' icona che ritrae San Nicola, venerato dagli ortodossi, ma anche nel mondo cattolico: le spoglie di San Nicola, protettore di Bari e vicino ai più umili, si trovano nel duomo della capitale pugliese. Il santo è posto al centro del dipinto e tutto intorno alla sua figura sono ritratte, come sul cartellone di un cantastorie siciliano, scene della sua vita e i miracoli più famosi che ha operato a favore dei bisognosi. La seconda icona ha un tratto di singolarità perché non propone un santo cristiano, bensì il profeta Elia - fra i profeti dell' Antico Testamento, il più venerato; gli sono attribuiti i poteri di Giove, il dominio sui tuoni e sulle folgori. Il pittore lo ha ritratto con caratteristiche singolari: i lunghi capelli scomposti che si stagliano sull'aureola d'oro, la barba folta, spessa, lunga, a ciocche sovrapposte; la libertà quasi hippy del pelo e la rozza veste di pelle di cammello contrastano con la sontuosa e ricca eleganza del magnifico mantello blu fermato sul petto con una spilla a forma di fiore. Da ultimo mi ha incantato il "crocefisso sopra l'iconostasi", d'insolita intensità.
Il metropolita di Sofia Stefan III
Mi permetto di suggerire di non perdere questa mostra, le ragioni per visitarla sono molte e importanti. La piccola gloriosa Bulgaria ha fatto il suo ingresso nell'Europa Comunitaria e in questi giorni ci viene incontro con uno degli aspetti più significativi e mirabili della sua arte religiosa intessuta nelle fibre della sua identità. Ho avuto la fortuna e il privilegio di nascere in Bulgaria, la sua lingua slava dalla profonda e vibrante nervatura è la prima che ho ascoltato. È un paese con una grande storia e una ricca cultura. Ma soprattutto, la gente di Bulgaria risplende della luce dell'accoglienza e del rispetto delle minoranze vissute nel suo seno. I bulgari sono insieme ai danesi gli unici che hanno avuto la forza ed il coraggio di opporsi ai nazisti e di salvare tutti i cittadini ebrei che vivevano sotto la diretta sovranità del loro governo. Io di questa generosità sono testimone vivente, la mia famiglia deve la sua salvezza ai bulgari, io devo loro il dono della mia nascita. Davanti all'icona del profeta Elia, non ho potuto fare a meno di pensare al metropolita Stefan, primate della chiesa ortodossa bulgara all'epoca del secondo conflitto mondiale e che insieme a Dimitar Peshev, vicepresidente del Parlamento, fu il principale artefice della salvezza dei 48.000 ebrei bulgari dell'interno. Il metropolita Stefan, in occasione della festa nazionale bulgara dedicata ai santi Cirillo e Metodio, pronunciò, sul sagrato della cattedrale Alexander Nevskji a Sofia, un discorso tuonante rivolto all'indirizzo dell'esercito nazista che terminava con parole durissime ed inequivocabili: «Non osate toccare i nostri cittadini ebrei, non ci provate!».
I visitatori della mostra, anche se non sono credenti potrebbero prendere l'occasione per fare un voto: bandire subito dal proprio orizzonte concettuale l'uso calunnioso del termine "bulgaro" associandolo ai concetti di servilismo e unanimismo totalitario. È indecente fare classifiche morali dei popoli, ma se qualcuno vuole proprio lasciarsi andare ad un simile esercizio, allora si prenda la cura di mettere il popolo bulgaro in cima alla classifica, fra i giusti.


“la Repubblica”, 3 maggio 2007  

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