12.1.18

"Ho comprato i salamini". Slittamenti e sublimi idiozie dell'attor comico (Ettore Petrolini)

Gli artisti sanno la straordinaria efficacia di un luogo comune, di una buffoneria risentita infinite volte; quando queste cose arrivano a tempo, riassumono una situazione, sono un mezzo d’espressione, danno un calcio alla logica, al senso comune, all’opera stessa e formano la vera e propria soluzione teatrale. L’attore che dispone di questi mezzi, risolve da attore una situazione che nessun altro mezzo letterario avrebbe potuto risolvere con tanta efficacia; dà vigorosamente uno scappellotto alla storia e alla tragedia, piomba sugli spettatori e li prende nel pugno, tradisce la loro attenzione e li accaparra per qualche tempo; apre, nel dramma, lui stesso, quello spazio vuoto; ed egli stesso lo colma con un’insuperabile bravura, fino a quando non intervengono le risorse del letterato.
Un caso particolarissimo e spesso interessante di quelle improvvisazioni con cui si riempie lo spazio vuoto è quello che io chiamo «slittamento» (l’uscire dalle dimensioni della finzione scenica passando per un momento in quelle della realtà). Per esempio, si può parlare col suggeritore, ammonire un rumoroso ritardatario: insomma, trarre profitto di tutto, dal rumore del seggiolino della poltrona lasciato cadere sbadatamente, all’immancabile pianto del bambino nelle rappresentazioni diurne.
Naturalmente, bisogna essere tempisti, e cogliere il momento sia di uscire, sia di rientrare nello spazio scenico.
Lavorando su questo terreno per molti anni, mi sono accorto che non esiste commedia impossibile da recitare. Molti critici dicono, ed io lo riconosco senza difficoltà che il mio repertorio è pieno di cose idiote che non sarebbero degne di stare accanto alle cose intelligenti che vi si trovano. Per me è lo stesso. Io considero la commedia come un buon pretesto e null’altro. Ho recitato nella mia vita delle cose stupidissime che avevano soltanto il torto di non essere a quel punto di imbecillità che desideravo e che, alla fine, per ottenerlo, dovetti inventare da me.
Nel periodo di musoneria italiana in cui un buon attore non era considerato tale se non si prestava alle parti lacrimose, io passai come un buffone distinto. Mi venivano a sentire per esclamare: «Quanto è scemo!». Io, in quel tempo, inventai il mio motto: «più stupidi di così si muore»; creai due cose che amo soprattutto: I salamini e Fortunello, e che consideravo il principio di quel modo di recitare che perfezionai attraverso parecchi anni di lavoro.
Molti critici mi proclamarono l’interprete della idiozia sublime, di quella idiozia che è la sola fuga possibile da questo mondo troppo logico, dove esistono troppe cose insolubili e troppe domande senza risposta; e dove esiste un’arte che la sola logica non può avviare alle soluzioni estreme.
Basterà che ricordi come divenne grido trionfale e addirittura una formula il primo verso dei «Salamini»: «Ho comprato i salamini e me ne vanto» e tutto il formulario delle risposte che risolvevano per me molti problemi: «Perché la terra gira? Perché sì. — Perché gli uomini sono fatti di carne e d’ossa anziché di acciaio? Perché sì». E via dicendo con domande quasi angosciose miste ad altre soltanto pettegole, sino alla conclusione illogica ma riassuntiva: «Ho comprato i salamini e me ne vanto».

da Modestia a parte, Ed. L'Unità, 1993

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