30.1.18

La strega Lindgren. Parla l'autrice di Pippi Calzelunghe, bambina senza padroni (Francesca Lazzarato)

Astrid Lindgren
Invitata dalla Rai (che da settembre manderà in onda, su Rete 1, quindici film tratti dalle sue opere) e dall’Assessorato alla cultura della Provincia di Roma, in occasione di una mostra dedicata alle protagoniste bambine nei libri per l’infanzia, la scrittrice svedese è un po’ perplessa. «Interviste? D’accordo, ma io ho così poco da dire. Quello che penso e quello che mi piace è già tutto nei miei libri».
E anche sul suo viso, viene da aggiungere a chi la guarda: un viso ,scavato, rugoso e vivacissimo, con occhi a punta di spillo e una bocca sottile e sarcastica. Un viso vecchio, da strega buona e dispettosa, che ha molti segreti ma è disposta a rivelarli in un solo modo: raccontando storie, e chi vuole intendere intenda. Nei suoi ottantanni di vita (è nata nel 1907, in un paesino della Svezia meridionale) Astrid Lindgren non ha mai smesso di raccontare. Da piccola la chiamavano la Selma Lagerlof di Villerby per le sue capacità di narratrice, ereditata forse da un padre contadino, capace di tirar fuori una storia da tutto ciò che toccava, come il protagonista di una fiaba di Andersen. E da grande la sua meravigliosa capacità di «parlare in fiaba» si è trasformata in libri per bambini (tren-tasei, per la precisione) oggi famosissimi, a cominciare da quel Pippi Calzelunghe che le ha fruttato una popolarità intemazionale ed un premio Andersen (che è poi il Nobel degli scrittori per ragazzi).
In Svezia, paese attentissimo all’infanzia e ai suoi bisogni, la considerano quasi un monumento nazionale (per il suo ottantesimo compleanno è stata perfino emessa una serie di speciali francobolli) e certe espressioni, certi personaggi dei suoi libri sono entrati nel linguaggio comune, mentre l’ultimo romanzo che ha scritto, pubblicato nel 1985, è amatissimo dai giovani «verdi», che si sono riconosciuti nel personaggio di Ronja Rovardotter, figlia di briganti in perfetta comunione con l'immensa foresta in cui vive.
Ma che la Lindgren non si sente affatto un monumento lo si capisce subito dall’ironia e dallo spirito di contraddizione che la animano, e dal modo sospettoso in cui il suo naso a punta sembra fiutare il pur minimo odore di retorica e di ufficialità. Perché questa piccola signora pallida, oramai bisnonna, è una donna decisa ed anticonformista che è riuscita a suo tempo ad irrompere nel mondo un po’ chiuso dei libri per l’infanzia, proponendo (si era nel 1945) un personaggio come Pippi Calzelunghe.
La bambina dalle calze scompagnate aveva tutti i numeri per scandalizzare genitori e maestri, abituati a testi ben più prudenti. Perchè Pippi viveva da, sola, in una grande casa tutta sua e con un’intera cassa di monete d’oro a disposizione, e poi era così forte da sollevare un cavallo, da compiere incredibili acrobazie, da mangiarsi due torte in una sola volta, da rubare una mongolfiera. Ma soprattutto sapeva mettere alla berlina tutte le convenzioni del mondo piccolo-borghese che la circondava, e resistere ad ogni tentativo di normalizzazione da parte degli adulti, di cui non è disposta a riconoscere l’autorità ed il potere, se non per farsene beffe.
Ed è appunto il problema del potere che la Lindgren affronta in tutti i suoi libri: un potere che l’adulto tenta costantemente di esercitare sul bambino (la cui identità e sopravvivenza dipendono dal fatto di appartenere a qualcuno, si tratti di una famiglia o di una istituzione). Ma anche un potere cui il bambino tenta comunque di sfuggire, o con rivolte ilari e fantasiose come quelle di Pippi e di Emil (altro famoso personaggio della Lindgren) o con più drammatiche ribellioni, come quella di Ronja che si oppone duramente al padre e sceglie la vita della foresta, a quella di Briciola, protagonista dei Fratelli cuor di leone (la Lindgren lo scrisse nel ’76), che muore gettandosi da un’altissima rupe (ed è questo, uno dei pochissimi libri per l’infanzia - se non l'unico - in cui si affronti il tema del suicidio di un bambino). Se solo si tenta di interrogarla sui suoi libri, però, Astrid Lindgren prende l’aria annoiata di chi non ne può più di essere messa sotto la lente di ingrandimento.
«Non mi piace teorizzare, e non riesco a capire come facciano i critici a scoprire tanti significati nei miei libri, che in fondo sono molto semplici». Questa è la risposta con cui usa gelare l’interlocutore troppo curioso. Ma poi, come tutte le streghe buone, alla fine si lascia convincere: se non a dire tutto, almeno ad indicare la strada. Così, seduta compostamente con le mani in grembo, finalmente risponde con una meravigliosa voce giovanile, e sommessa, in un misterioso svedese che fa somigliare ogni sua frase ad una formula magica. «Come ho cominciato a scrivere? Per caso, naturalmente: succede sempre così. Il primo libro l’ho scritto nel '44 per partecipare ad un concorso bandito da una casa editrice che cercava teisti nuovi per le lettrici adolescenti. Era intitolato Britt Maj, e credo si possa definirlo un romanzo rosa, o quasi. In seguito ne ho scritti altri due dello stesso genere, Rati in Italia e Rati a Parigi, che hanno avuto un discreto successo. Comunque si tratta di storie sentimentali solo fino a un certo punto. Si parla d’amore, è vero, ma le mie protagoniste ci arrivano dopo aver provato anche a vivere per conto proprio, in perfetta autonomia. E quando si sposano la loro è una scelta, non un destino inevitabile. Oggi, in Svezia, i romanzi di questo tipo sono molto diffusi, e mi dicono che è così in tutto il mondo. Trovo che alle bambine non faccia per niente male leggerli, purché non leggano solo quelli. Sarebbe come rimpinzare un bambino di dolci, senza mai fargli assaggiare il pane o la verdura».
E Pippi? «Pippi l’ha inventata mia figlia. Era ammalata e voleva che le raccontassi una storia di un personaggio al quale aveva trovato un nome buffo, per l’appunto Pippi Calzelunghe. Così, a poco a poco, ho cominciato a costruirle intorno una casa, un paese, e a popolarli di altri personaggi. Poi ho scritto la storia e per diversi anni non mi è riuscito di pubblicarla. Dicevano che era un libro troppo audace. Forse ai bambini piace proprio per questo. Ormai l’hanno tradotto in tutto il mondo, ne hanno ricavato fumetti e film, ma non credo che Pippi si sia montata la testa».
Pippi però non è la sola bambina forte e intraprendente che Astrid Landgren ha creato: ci sono anche Ronja, Martina, Britta, Ida, Lotta... Come mai questa prevalenza di personaggi femminili diversi, nati per di più quando di femminismo non si sentiva ancora parlare?
«Me lo hanno fatto notare in parecchi. È vero: le mie bambine sono sempre forti, energiche, coraggiose. Il fatto è che mi vengono così, non le potrei immaginare in altro modo. Sono stata una bambina di campagna che si arrampicava sugli alberi, saltavo giù dal tetto della legnaia, correvo insieme ai maschi. E le donne adulte che mi circondavano erano così: forti ed energiche, non avevano paura di nulla, non si sottomettevano agli uomini ma tenevano loro testa. Qualcuno ha scritto, del resto, che se nelle mie storie c’è qualcuno da compatire sono i maschi, le mie bambine sono incapaci di commiserarsi e di farsi commiserare».
Nei suoi libri, molto spesso i bambini vivono da soli, in completa indipendenza dal mondo degli adulti ai quali giocano dei tiri mancini. Cosa vuol dire: che i più piccoli possono fare a meno dei grandi? «Certo che no. Credo che ogni bambino abbia bisogno di un robusto appoggio familiare o comunque di adulti che provvedano a loro e che garantiscano una sicurezza materiale e psicologica. Solo che ai bambini, a tutti i bambini, piace sognare così: liberi, capaci di far da sé. E poi è inutile far finta di niente: educare un bambino significa sempre esercitare un potere preciso su un altro individuo, e nel rapporto bisogna mantenere un equilibrio, delicatissimo, tra autorità e rispetto. Ma anche quando ci si riesce bisogna fare i conti con rivolte sotterranee, con risentimenti, con fantasie di fuga. Pippi le esprime gioiosamente, in positivo».
Pippi Calzelunghe risultò, secondo un’inchiesta degli anni ’70, il libro che tutte le studentesse dei colleges americani più impegnate politicamente avevano prediletto da piccole. «La cosa mi è nuova e francamente mi diverte. Vuol davvero dire che ognuno trova nei libri quel che gli serve, nel momento in cui gli serve». Astrid Lindgren si arruffa lentamente la frangetta di capelli bianchi che le incornicia il viso. E' pentita di aver parlato troppo? Con un cenno della mano avverte che l’intervista è finita, e si alza piano piano.


“il manifesto”, ritaglio senza data, ma 1987

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