2.1.18

Medicina di precisione. Dimmi chi sei e ti darò la cura (Roberta Villa)

Per arrivare a trattare ogni singolo individuo nel modo migliore, occorre alzare lo sguardo e considerarne milioni. Ogni essere umano infatti è unico e irripetibile, frutto della somma dei suoi geni e dell’ambiente che, fin dal grembo materno, influenza e regola la loro attività. Oggi riusciamo a conoscere molti di questi elementi. Quel che ancora non sappiamo fare, a parte rare eccezioni, è unire i puntini, capire cioè quali geni predispongono e quali proteggono dalle diverse malattie, quali possono essere presi di mira per trovare nuove cure, e così via.
«Per associare ciascuna di queste caratteristiche individuali con la presenza di una malattia, la sua evoluzione, la risposta a un trattamento o a un intervento di prevenzione, occorre raccogliere ed elaborare un’enorme mole di dati su un gran numero di persone: solo così possiamo pensare che il legame sia significativo e non casuale», spiega Pier Giuseppe Pelicci, a capo della ricerca presso l’Istituto europeo di oncologia di Milano.
Possiamo in alcuni casi prevedere dall’analisi dei loro geni quali pazienti risponderanno meglio a un medicinale o rischiano di più un effetto indesiderato: ma test di questo tipo esistono solo per circa 150 farmaci, contro le migliaia disponibili sul mercato. Se sapremo caratterizzare meglio i pazienti da inserire nei grandi studi clinici, potremo riconoscere su quali sottogruppi un farmaco funziona e su quali no, con quali effetti indesiderati. Potremo anche trovare mutazioni più frequenti in persone affette da particolari malattie, ma anche scoprire che accanto a queste ce ne sono altre che neutralizzano l’effetto delle prime, guidando lo sviluppo di nuovi farmaci. Si potrà tranquillizzare chi, per esempio, è portatore di un marcatore genetico che predispone all’Alzheimer, ma ne ha anche un altro che lo protegge. O ancora, scovare i tratti genetici tipici di chi resiste all’infezione da Hiv o non si ammala di cancro pur essendo un forte fumatore, oppure in famiglia eredita salute e longevità, per rubarne il segreto ed estenderlo a tutti. La posta in gioco quindi è alta, e ai piani alti lo si comincia a capire.
I grandi investimenti pubblici sulla medicina di precisione sono cominciati qualche anno fa, quando il governo britannico di David Cameron diede il via a un progetto finalizzato a raccogliere e analizzare 100 mila genomi, da mettere in relazione ai dati clinici raccolti dal Sistema sanitario nazionale. Poi, l’anno scorso, il grande annuncio di Barack Obama, nel solenne contesto del discorso sullo Stato dell’Unione: lo stanziamento di 215 milioni di dollari (di cui 70 dedicati specificamente alla ricerca sul cancro) per raccogliere informazioni genetiche da un milione di volontari, da correlare alle loro condizioni di salute, ai loro stili di vita, e così via, per favorire lo sviluppo di una nuova medicina che tenga sempre più conto delle differenze individuali. E infine, in questi giorni, la notizia diffusa dalla rivista scientifica Nature, secondo cui la Cina si prepara a investire sulla medicina di precisione addirittura 9,2 miliardi di dollari, in un programma della durata di 15 anni, che coinvolgerà centinaia di centri di ricerca, per raccogliere dati su milioni e milioni di persone. La popolazione è una risorsa che certamente non manca nel Paese più popoloso del mondo, e che consentirà di far emergere un numero di casi significativi anche per condizioni patologiche o mutazioni genetiche mediamente rare nella popolazione generale.
«Finalmente la genomica è entrata nell’agenda dei governi», commenta Pelicci, che è anche docente di patologia generale e patologia clinica all’Università degli Studi di Milano. «La politica comincia a capire l’impatto che un nuovo approccio potrebbe avere sulla salute delle persone: solo il suo coinvolgimento può da un lato garantire gli investimenti necessari per la ricerca, dall’altro governare la spinosa questione della sostenibilità economica delle nuove cure».
Non è un caso che tutte queste iniziative si mettano in moto proprio adesso. Le cose sono cambiate molto da quella che, all’inizio degli anni 2000, sulla scia del Progetto genoma, sembrava una grande impresa: la mappatura da parte di deCode Genetics, azienda con base a Reykjavik, del Dna dei 270 mila abitanti dell’Islanda, una popolazione omogenea, perché rimasta isolata per secoli. Oggi la lettura di un genoma, che a cavallo del nuovo millennio richiese una dozzina di anni e 2 miliardi di dollari, si può effettuare in pochi giorni, con costi 10 milioni di volte inferiori. Altre tecnologie consentono di analizzare con grande rapidità e semplicità molti altri tipi di marcatori nel sangue. Si è scoperto come il microbioma, cioè la flora batterica con cui convive ogni organismo umano, può modificarsi e influire sulla salute. I dati clinici di milioni di persone sono raccolti nelle cartelle cliniche elettroniche, dove sono disponibili per anni. Altre grandi banche dati raccolgono le caratteristiche dei campioni biologici, ma anche di altri tipi di informazioni che possono essere incrociate tra loro per fornire indicazioni utili. I dispositivi mobili, i cosiddetti wearables, portati addosso dall’individuo, forniscono dati continui e precisi sui suoi, personalissimi, parametri vitali: applicazioni utilissime per personalizzare in tempo reale la cura per esempio di diabetici cronici o ipertesi. I social media facilitano l’incontro e gli scambi di informazioni, anche tra ricercatori, medici e pazienti. L’informatica è infine in grado oggi di raccogliere tutta questa enorme mole di dati ed elaborarli, traendone informazioni che potranno cambiare l’approccio della medicina nei prossimi decenni.
«È la ricerca sul cancro, in particolare con la genomica, che ha fatto e fa da apripista alla medicina di precisione», prosegue il ricercatore. «Pensiamo all’imatinib, uno dei primi farmaci a bersaglio molecolare introdotti in clinica all’inizio degli anni 2000: ha completamente trasformato la prognosi dei malati di leucemia mieloide cronica e di altre leucemie caratterizzate da un marcatore chiamato cromosoma Philadelphia».
«Altre terapie, purtroppo, per ora riescono a strappare in media solo poche settimane, o nel migliore dei casi, mesi di vita», interviene Roberto Labianca, direttore del Dipartimento interaziendale oncologico della Provincia di Bergamo. «Per questo è importante riuscire a riconoscere in anticipo i pazienti su cui avranno maggiori probabilità di successo, in modo da ridurre effetti collaterali inutili e controllare i costi, che altrimenti renderebbero queste cure insostenibili per tutti».
Anche a questo servono i cosiddetti basket studies: ricerche in cui il farmaco non viene più assegnato in base all’organo in cui si è sviluppato un tumore, ma mettendo insieme, nel “cestino”, appunto, pazienti con tumori di diversa origine, accomunati solo dalle loro caratteristiche molecolari.
«Un altro esempio di medicina di precisione in oncologia è l’introduzione dei cosiddetti vaccini anticancro, terapie immunologiche in cui cellule del paziente vengono “addestrate” in laboratorio a rispondere in maniera efficace e specifica al tumore che lo ha colpito», aggiunge Labianca.
«Finora, tuttavia, le terapie mirate sono state per lo più aggiunte alle cure tradizionali quando queste fallivano o il caso specifico ne suggeriva l’opportunità», conclude Pelicci. «Perché questo nuovo approccio sia efficace ed economicamente sostenibile occorre invece che la medicina di precisione sia integrata fin dall’inizio nel percorso diagnostico e terapeutico previsto dal Sistema sanitario nazionale, che lo deve saper governare nel modo migliore».
Dall’oncologia, la medicina di precisione ha già raggiunto altri campi, per esempio quello delle malattie rare su base ereditaria, dove il nuovo metodo di correzione del Dna chiamato Crispr/Cas9 apre alla speranza di poter correggere in futuro in maniera specifica ogni sorta di difetto genetico. Intanto è già stato approvato il primo farmaco che agisce sulle cause, e non sui sintomi, della fibrosi cistica, neutralizzando l’effetto patologico di alcune mutazioni responsabili solo di una piccola percentuale dei casi: se fosse stato provato indistintamente su tutti i malati, si sarebbe rivelato assai poco efficace; in questo gruppo ristretto, invece, funziona.
Contro Parkinson e Alzheimer l’approccio di precisione fa sì che, invece di modulare il dosaggio di una cura in relazione ai sintomi, si possano impiantare nel cervello microchip o piccoli serbatoi capaci di rilasciare stimoli elettrici o medicinali in risposta diretta ad alterazioni del funzionamento nervoso.

Sono poi già stati approvati dalla Food and Drug Administration statunitense due anticorpi monoclonali (uno per ora in Europa), capaci di abbassare in maniera importante i livelli di colesterolo nel sangue, anche in chi resiste alle altre terapie. Lo sviluppo di queste terapie parte dallo studio di alcune famiglie in cui il colesterolo tende a essere molto basso e in cui ricorre la mutazione di un gene chiamato Pcsk9. Si è così giunti a un trattamento che, con una o due sole iniezioni sottocutanee al mese consente di tenere a bada il colesterolo, anche nei casi più resistenti. Ma negli Stati Uniti il farmaco costa 14 mila dollari l’anno, per una terapia cronica da proseguire tutta la vita. In Europa sono stati negoziati prezzi pari a meno della metà: comunque troppo per trattare tutti i pazienti che ne avrebbero bisogno. Prima di cominciare a riscuotere i vantaggi della medicina di precisione, occorrerà superare lo scoglio dei suoi costi.

Pagina 99, 30 gennaio 2016

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