Cimitero di Perugia, Tomba di Primo Ciabatti Foto della Società Generale di Mutuo Scorso |
Alla vigilia della II
Marcia della pace, nel 1978, “l'Unità”, con la cura di Mauro
Montali, pubblicò il discorso che Aldo Capitini aveva
tenuto in ricordo del partigiano comunista Primo
Ciabatti nel febbraio del 1965. Nel riprenderlo ho dovuto
saltare un brevissimo passo, nella mia copia illegibile. (S.L.L.)
«Cammina»,
dissero a Primo, e lo coprirono di colpi
Aldo Capitini |
Quando conobbi Primo
Ciabatti svolgevo da anni un lavoro di collegamento
tra antifascisti vecchi e nuovi, e .specialmente tra
i giovani – molti tra i quali vidi passare a idee
antofasciste — un lavoro che avevo cominciato a
Pisa nel collegio universitario della Scuola normale
superiore negli anni 1929-1932.
Ero segretario nella
Normale e assistente volontario universitario e fui cacciato
perché rifiutai la tessera del partito fascista (la
rifiutò direttamente a Giovanni Gentile, n.d.r.)
e il mio NO indicò a molti giovani che ci si poteva
opporre al regime imperante.
Da allora comincia un
collegamento che si allargò a molte città italiane e Perugia
diventò un centro di antifascismo. Un «centro» perché molti
venivano a Perugia ai nostri convegni clandestini: potrei fare un
elenco lunghissimo di antifascisti che salirono anche più volte
nella stanzetta che era il mio studio sotto la torre comunale:
Antonio Banfi, Piero Calamandrei, Luigi Russo, Tommaso Fiore,
Cesare Luporini, Delio Cantimori, Pietro Pancrazi, Giorgio Spini,
Carlo Lodovico Ragghianti, Mario Alicata, Gerolamo Sotgiu, Carlo
Salinari, Piero Mentasti, Mario Spinella, Norberto Bobbio, Guido
Calogero, Umberto Morra, Antonio Ciuriolo, Edmondo Marcucci,
Francesco Flora, la figlia del pittore Modigliani, Giame Pintor, Nina
Ruffini, Ugo Stille, Giuseppe Dessì, Giovanni Guaita, Antonio Russo,
Cesare Gnudi, Gianfranco Contini, Augusto Del Noce, Luigi
Salvatorelli, Guido De Ruggero e tanti altri.
Ma Perugia era anche un
“centro” nel senso che eravamo riusciti a collegare i giovani e
giovanissimi di Perugia con i socialisti, comunisti, mazzimani e
cattolici che si erano opposti fin dall’inizio al fascismo e
resistevano alle persecuzioni.
Era una specie di società
che comprendeva Aristide Rosini, Alfredo Cotani, Paolo Canenestrelli,
Remo Roganti, Luigi Catanelli, Marzio Pascolini, Enea Tondini, Gino
Spagnesi, Cesare Cardinali, Alfredo Abati, Sarlo Vischia, Gaetano
Salciarini, Tommaso Ciarfuglia, Galassi, il bravissimo Don Angelo
Migni Ragni parroco di Montebello, ex modernista e democraticissimo,
Mariano Guardabassi, i fratelli Sorbello. Ottavio Prosciutti, Alberto
Apponi pretore di Assisi, e i giovani Walter Binni, Bruno Enei,
Giorgio Menghini, Noretta Benvenuti. Francesco Siciliano, Giorgio
Graziosi, Agostino Bura, Arturo Massolo, Mario Frezza, Piera Brizzi,
Franco Maestrini, e i miei scolari (davo lezioni private) come Ilvano
Rapimelli, Enzo Comparozzi. Carlo Sarti, Maria Schippa. Ignazio
Baldelli. Francesco Innamorati, Luisa Spagnoli ed altri.
Ci vedevamo spesso, ci
tenevamo aggiornati, facevamo circolare scritti antifascisti,
festeggiavamo il primo maggio, facevamo gite domenicali in campagna
per parlare liberamente. Istituimmo anche una sezione dell'istituto
di studi filosofici per avere occasione di far venire gente di fuori,
di riunire giovani, di discutere.
La sezione era presieduta
da Aveando Montesperelli: Giuseppe Granata tenace antifascista che
aveva scelto Perugia perché la sapeva un “centro” e perfetto
insegnante di filosofia dava il suo prezioso contributo. Come idee
eravamo socialisti, comunisti, liberalsocialisti, mazziniani e quai
che cattolico.
In questa Perugia
inserirono Primo Ciabatti e Riccardo Tenerini, orfani, studenti
dell'Istituto Magistrale, provenienti da un collegio di Gubbio. Mi
misi subito ad aiutarli nei loro studi. I due giovanissimi erano
diversi di animo e di mente, pur molto amici, per la comune
situazione di serietà morale, di origine popolare, di orfanezza e
bisogno dell'aiuto altrui e anche per una certa integrazione
reciproca. Tenermi era impetuoso, caldo, eloquente, pronto al
sacrificio, alla dedizione, capace di intuizioni felici; Ciabatti era
più freddo, ragionatore limpido. esigente chiarezza e quadratura
intellettuale (ricordo che riusciva bene in latino) di animo più
circospetto, pochissimo eloquente. Entrarono perfettamente nel nostro
collegamento antifascista, amati e aiutati da Tomassini. Cardinali,
Pascolini e don Migni Ragni. Utilizzavano intelligentemente tutto ciò
che mettevamo nella propaganda, stimolando alla lettura.
Ciabatti fu colpito
particolarmente dalla lettura del Manifesto di Marx del 48, che lesse
nella edizione laterziana di Labriola, curata da Croce. Conoscevano
anche i libri del Croce. Venivano con me nelle gite domenicali.
Ciabatti era impiegato da Catanelli: nel suo commercio di libri
vecchi, un commercio inventato per
avere una giustificazione per il nostro continuo incontrarci.
Una mattina vennero da me
prima dell'ora solita e mi raccontarono ciò che avevano imparato nei
giorni precedenti, come si erano procurati gli oggetti, e quella
notte erano andati in giro per la città facendo scritte antifasciste
a San Pietro, alla posta, in altri luoghi e perfino sotto i portici
della Prefettura e vicino la Questura. Compiuto il giro avevano
buttato via barattoli e pennelli in piazza Grimana ed erano andati a
letto.
Eravamo nei terribili
anni della guerra. La polizia infuriava sui popolani, registrati nei
vecchi elenchi degli antifascisti, socialisti e comunisti
irriducibili, li sbatteva in prigione, li torturava ma nulla veniva
fuori circa le famose scritte.
Io fui arrestato nel '42
e stetti a Firenze alcuni mesi, poi, nei marzo del '43 fummo tutti
arrestati. popolani, intellettuali e studenti antifascisti perugini
perché il fascismo credeva che la sconfitta era causata non dai suoi
gravi errori, ma dalla nostra avversione. II governo di Badoglio ci
liberò ma la situazione era incerta e venne l'otto settembre. In
molti uscivamo dalle porte della città mentre i tedeschi armatissimi
entravano da un'altra porta.
Confluirono nella
Resistenza tre ragioni. La prima, quella che era maturata lungo tutta
l’opposizione al fascismo - questo aveva voluto chiudere l'Italia m
un esasperato nazionalismo, ultratradizionalista, stupidamente
romaneggiante (come se la situazione intemazionale fosse la stessa di
quando l'antica repubblica romana costituì il suo impero contro
Cartagine, la Grecia, la Macedonia. L'Italia aveva urgente bisogno di
aggiornarsi alle grande democrazie anglooamericane da un lalo e alia
rivoluzione sovietica dall'altro lato.
La seconda ragione fu che
il regime fascista le sue crescenti imposizioni e costrizioni aveva
creato un potente desiderio di libertà, l'ultima e insopportabile
imposizione quella di andare militari al servizio del fascismo e del
nazismo congiunti […].
La terza ragione è che
si doveva combattere e morire era meglio che ciò si facesse per
salvare l'onore dell'Italia e per dare il proprio contributo a
liberare il popolo italiano.
Primo Ciabatti era già
delicato di salute, pallido, magro con due occhi vivi, profondi. Gli
sbattimenti e i disagi degli ultimi mesi, aggiunti a tutti quelli
degli anni prececlenti e al logorio psichico che soffre un orfano
negli anni più delicati della vita e più bisognosi del cerchio
soave della famiglia, dai cinque ai quindici anni, lo avevano
consumato. Anche lo studio, la lettura continua, che faceva per quel
suo bisogno di vedere chiaro, aveva aggiunto impegno e fatica. Ma non
ebbe un momento di esitazione e fu fedele alla sua anima democratica.
S'accompagnò agli amici pronti al massimo sacrificio, primo fra
tutti Riccardo Tenerini, che fino agli ultimi giorni si occupò di
lui come un premuroso e generoso fratello, da lontano e da vicino,
secondo le dure vicende della “macchia”.
Non era una vita che
poteva assestare la salute scossa di Primo, sicché egli ebbe il
disagio continuo, il pericolo della lotta, il tormento dei suoi
polmoni malati. Se la guerra fosse finita, se la tragedia alleata
fosse stata più propizia Primo si sarebbe a posto per le cure e
insieme per la possibilità di esplicare nel clima democratico della
liberazione la maturità che aveva raggiunto.
Resse per mesi e mesi,
fin quasi verso l'ultimo, ma un giorno fu preso dai tedeschi Gli
dissero “Cammina” - e lo coprirono di colpi. I giovani di oggi
comprendano che non è un merito over riportato la vita attraverso
quegli anni terribili, dagli accampamenti germanici, dalla «macchia»,
dai nascondigli in cui eravamo per la generosità dei contadini,
dalle prigioni e dai confini.
Quando siamo rientrati
nelle nostre case dove spesso erano venuti a mezzanotte i fascisti
e la polizia a cercare di sorprenderci, abbiamo pensato a quelli che
erano morti qua e là nelle insanguinate campagne, nelle prigioni o
nei campi di concentramento, a Giame Pintor. a Antonio Guiriolo. a
Leone Ginzburg, a Enzo Comparozzi, a Primo Ciabatti.
Vivere è molto meno che
affermare un ideale che unisca tutta l'umanità liberandola ed
elevandola.
Da “l'Unità”, 24
settembre 1978
Nessun commento:
Posta un commento