L'articolo che segue è
di quasi tre anni fa, scritto alla vigilia di un vertice parigino sul
clima, rivelatosi sterile come ce quelli che l'avevano preceduto. E
tuttavia i problemi di cui Guido Viale scrive sono – come si vede
ogni giorno – attualissimi.
Non ho le competenze e le
conoscenze necessarie per capire se Viale sopravvaluti i mutamenti
ecologici e climatici che mette alla base della grande migrazione in
atto; ma di una cosa sono sicuro: il progressivo arretramento
culturale delle classi dirigenti da una parte, il venir meno di
un'ipotesi alternativa – di sistema – pe l'organizzazione
economica e civile del pianeta, la fuga delle intelligenze e delle
competenze critiche di fronte alla complessità dei problemi sono
alla base dello scacco che sta subendo la civiltà umana.
Se consideriamo i Trump
e, si parva licet, i Salvini
le cause della crisi globale in atto e non invece, come sono, una sua
disgustosissima manifestazione e un fattore di aggravamento, non
arresteremo l'imbarbarimento in atto, cioè l'abbandono del diritto
umanitario, la crescita della violenza e della guerra, il ritorno
massiccio dell'ignoranza e della superstizione.
La
crisi è epocale e globale, le politiche degli Obama o dei Prodi che
oggi ci capita di rimpiangere di fronte all'avanzata della stupidità
l'hanno se non ignorata, gravemente sottovalutata. Se non si torna a
pensare in grande, a progettare e praticare alternative radicali il
degrado della condizione umana è inevitabile. L'articolo di Viale –
nel quale pure trovo deboli gli eccessi di prudenza e l'ottica
riformistica - tenta di farlo e merita perciò di essere letto e
discusso. (S.L.L.)
Un volontario registra gli effetti della crisi climatica tra Kenya e Somalia |
[…] Oggi l'Europa e
l'intero pianeta si trovano di fronte al primo e maggior risvolto
sociale dei cambiamenti climatici in corso: il flusso dei profughi.
L'Unione europea non sa affrontarlo e cerca di esorcizzarlo con
feroci barriere sia fisiche (muri, reticolati, pattugliamenti, corpi
armati e campi nei paesi di transito in cui confinare le persone che
non vuole accogliere) che burocratiche: la distinzione tra profughi
di guerra da accogliere e migranti economici da respingere o
rimpatriare.
È una distinzione che
cerca di nascondere un'inammissibile verità: sono tutti profughi
ambientali, vittime della guerra scatenata dal capitale contro il
pianeta e i più fragili dei suoi abitanti di oggi e domani.
L'origine ambientale di quei flussi è difficile da riconoscere
perché si confonde con i conflitti e i disordini che genera; ma il
cambiamento climatico si traduce in una moltiplicazione e
acutizzazione di eventi estremi non solo nel mondo fisico, ma anche e
soprattutto in quello sociale. Per esempio, in Siria la rivolta
contro Assad, trasformata in guerra civile dalla feroce repressione e
dall'intervento straniero e, poi, dalla nascita dello stato islamico,
era stata determinata da una siccità che aveva costretto più di un
milione di contadini ad abbandonare le loro terre per cercare
sussistenza in città. Anche molti flussi dall'Africa subsahariana si
originano dall'inaridimento dei suoli; processo che si aggiunge al
land grabbing (a beneficio di paesi che cercano di garantirsi
sia l'autonomia alimentare che una fonte di combustibile per le loro
automobili) o con le devastazioni provocate da estrazioni e
spill-over di idrocarburi o di altri minerali.
In quei flussi di
un'umanità disperata che non ha più un posto al mondo dove stare si
manifesta di fatto un aperto conflitto sociale tra vittime e
beneficiari dell'economia fossile e delle sue emissioni: un conflitto
che è destinato a dominare la nostra epoca, ma che non sappiamo
ancora come affrontare. Tra i beneficiari dell'economia fossile non
va però incluso chi subisce, si adatta o non si accorge della
gravità della situazione, perché non ne è adeguatamente informato
o violentemente aggredito, come accade ai profughi, ma solo chi la
promuove e ne ricava profitti: cioè l'industria degli idrocarburi e
tutte quelle che dagli idrocarburi dipendono.
Come affrontare questo
conflitto completamente nuovo? Con chi e come schierarsi e lottare?
Il tentativo di fermare quei flussi ai confini dell'Europa non fa che
produrre morti, ma si traduce anche in forme sempre più brutali di
autoritarismo, militarizzazione e razzismo all'interno dei paesi
dell'Unione europea, trasformati in fortezze, e sempre più in rotta
l'uno contro l'altro per scaricarsi a vicenda il «peso» di quegli
esseri umani. Ma è comunque un obiettivo irrealizzabile, perché i
profughi che premono ai confini dell'Europa sono già oggi oltre
dieci milioni e continueranno ad aumentare. E sono solo un quinto dei
profughi sparpagliati già ora per tutto il pianeta e meno del 4 per
cento di quelli previsti al 2050, solo per il previsto innalzamento
del livello del mare, senza contare altri fenomeni estremi oggi
imprevedibili quanto probabili. Tuttavia, cercare di respingerli non
produce solo decine di migliaia di morti, ma anche risentimento, caos
e guerre per bande - compresa l'affermazione dello Stato islamico -
nei paesi di origine e di transito di quei flussi.
In queste condizioni sarà
anche impossibile varare e portare avanti quella conversione
ambientale indispensabile per far fronte ai mutamenti climatici in
corso; in campo energetico, agricolo, alimentare, edilizio; nella
gestione della mobilità, dei rifiuti, del territorio, ecc. Perché
la conversione ecologica ha bisogno di pace, di partecipazione
popolare, di autonomie locali, cioè di un potere di intervento
diffuso in tutta la società; e delle risorse oggi destinate alle
armi e alla devastazione dei territori.
Dunque, se respingere
quei flussi è impossibile, bisogna attrezzarsi per accoglierli, che
vuol dire garantire a tutti i nuovi arrivati inclusione: cioè le
condizioni di un inserimento sia sociale che lavorativo. Ma come è
possibile prospettare una soluzione del genere in un'Europa che non
riesce a uscire dalla crisi, che conta 25 milioni di disoccupati e
almeno altrettanti lavoratori scoraggiati? Occorre porre fine alle
politiche di austerità e avviare un grande piano europeo di
riconversione ecologica in tutti i settori portanti dell'economia. Un
piano vero e non fasullo come quello Junker, in grado dicreare in
breve tempo milioni di posti di lavoro decenti: sia per i nuovi
arrivati che per i cittadini europei messi ai margini dalle politiche
di austerità.
Negli anni '50, nel pieno
della ricostruzione postbellica che avrebbe dato vita al cosiddetto
miracolo economico, l'Europa centrale aveva accolto 20 milioni di
profughi e migranti - 10 dai paesi dell'Est europeo e 10 dai paesi
del Mediterraneo: Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, da un lato;
Turchia, Maghreb, Africa subsahariana, dall'altro - beneficiando del
loro apporto, senza il quale l'Europa sarebbe rimasta un'economia
stagnante.
Ancora recentemente,
prima della crisi del 2008, ma già in pieno clima liberista e
restrittivo, l'Europa assorbiva - lo ha rilevato Thomas Piketty -
circa un milione di migranti all'anno: un terzo del necessario,
peraltro, per compensare di qui al 2050 il suo irreversibile calo
demografico (con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di
invecchiamento della popolazione). L'allarme sociale odierno per
l'invasione dei nuovi "barbari" è solo dovuto alla
incompatibilità di quei flussi con la scelta dell'austerità ed è
il prodotto di una infame politica di fidelizzazione dell'elettorato
fondata sulla paura e alimentata dalle forze al governo: che sono
destinate però a venirne travolte da una destra razzista,
nazionalista e antieuropea che sa sfruttare molto meglio quelle
fobie.
Oltretutto, per
restituire alla pace i paesi di origine e di transito dei flussi
migratori che stanno investendo l'Europa occorre innanzitutto
ricostituire una base sociale che ne sostenga il processo. In
potenza, quella base sociale è già qui tra noi. E' la parte più
giovane, più intraprendente, in gran parte più istruita delle
popolazioni dei paesi di origine dei profughi e dei migranti,
unitamente a tutti i loro connazionali già insediati in Europa e
alle loro comunità di origine da cui sono stati aiutati a fuggire.
Impedire a quei migranti di muoversi, di lavorare, di organizzarsi,
di avere dei rapporti decenti con la popolazione vuol dire privarli e
privarsi delle condizioni per avviare un vero processo di conversione
ecologica sia qui che nei paesi da cui provengono. Sono esseri umani,
persone, che considerano l'ingresso in Europa un loro diritto e si
sentono già cittadini europei. Cittadini di un'Europa nuova, che
rinneghi le sue infamie odierne e includa anche loro e i loro paesi
di origine in un'Unione completamente rinnovata.
Caput
– Supplemento clima e ambiente de “il manifesto”, Novembre 2015
Nessun commento:
Posta un commento