20.6.18

La meraviglia del filosofo (Alfonso M. Iacono)



La Wunderkammer (Camera delle Meraviglie) del Museo di Storia Naturale all'Università di Pisa
Scrive Aristotele (Metafisica, 1,2, 982b) «gli uomini, sia nel nostro tempo che dapprincipio, hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia, poiché dapprincipio essi si meravigliavano delle stranezze che erano a portata di mano, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo in questo stesso modo, affrontarono maggiori difficoltà, quali le affezioni della luna e del sole e delle stelle e l'origine dell’universo». Prima sono i fenomeni strani, irregolari della natura a destar meraviglia poi è la grande domanda il perché dell’origine dell’universo. Prima l’osservatore è interno ai fenomeni chee scruta e che pure, a causa della loro irregolarità, già segnalano una separazione tra osservatore e osservato. Poi la separazione si completa ma nel senso che l’osservatore si sdoppia pur essendo interno all’universo di cui si domanda l’origine, ne esce fuori, o meglio, simula una fuoriuscita addirittura da tutto l’universo che vuol comprendere. È quest’ultimo il senso forte del provar meraviglia. E da Talete in poi la caratteristica della filosofia la sua peculiarità non è la risposta che ciascun filosofo ha cercato di dare alla domanda ma la domanda stessa la sua riformulazione, lo sdoppiarsi dell’osservatore. «Il provar meraviglia sorregge la filosofìa e la domina dall’inizio alla fine», dice Heidegger. Ma il concetto di meraviglia ha una lunga storia che si accompagna a quelli a esso contigui ma non necessariamente affini: lo strano, il miracoloso, la paura, il terrore, l’orrore, la curiosità.
Le storiche Larraine Daston e Katharine Park hanno provato a fare una storia delle meraviglie (Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti strani dal Medioevo all’Illuminismo, Carocci, 2000). Il risultato è un libro interessante dove la narrazione non procede in modo lineare, cioè attraverso il classico passaggio che dai prodigi medievali porta alle meraviglie fino agli oggetti naturalizzati della modernità. La narrazione qui non presuppone al suo interno una storia del processo di razionalizzazione degli oggetti e dei fenomeni strani che da un’esistenza miracolosa e soprannaturale passano nel tempo a un esistenza ordinaria e naturale. «Attorno alla metà degli anni 70, la logica di questo tipo di narrazione sembrava ineludibile tra gli storici della scienza. Ma il lavoro di molti studiosi, all'interno e all’esterno della storia della scienza (..) ha da allora messo in discussione l’inevitabilità di un resoconto lineare dei mutamenti scientifici... abbiamo abbandonato una trama di lineare e inesorabile naturalizzazione a favore di una trama fatta di sensibilità che si sovrappongono e che ritornano come onde». Foucault con la sua ricerca storico-critica sulla normalità e sulla devianza e Mary Douglas con la sua attenzione antropologica verso i fenomeni del marginale e dello straordinario sono tra le fonti teoriche esplicitamente riconosciute da Daston e Park, le quali pongono particolare attenzione ai contesti storici e culturali che hanno circondato le meraviglie e il meravigliarsi. La loro tesi è che la meraviglia fu una passione cognitiva sia nel medioevo che nella prima età moderna e che fu l’illuminismo a destituirla di importanza anzi a farla considerare una passione «disonorevole che puzza di popolare, di dilettantesco e d’infantile». Scienziati e filosofi come Robert Boyle, René Descartes e Francis Bacon posero una particolare attenzione alla meraviglia, dopo, nel XVIII secolo, le cose andarono per un altro verso, quello della normalizzazione. Ma prima di entrare nel merito di questa tesi storiografica, che non condivido almeno nei termini in cui è posta nel libro, è bene dare conto, sia pure schematicamente, dell’articolazione della ricerca che è ricca e avvincente. D libro infatti va dall’analisi del meraviglioso e dello straordinario nella letteratura di viaggi del medioevo a quella degli oggetti legati alla religione e ai rituali religiosi, dal rifiuto della meraviglia nella filosofia naturale del XIII e XIV secolo e poi alla sua ripresa nell’ambito del sapere naturale. Un capitolo è dedicato alle nascite mostruose, poi l’indagine si sviluppa verso la modernità, dalle Wunderkammern che ispirarono le ricerche di Bacone e Cartesio, al rapporto tra meraviglia e curiosità, fino alla quasi messa al bando della meraviglia e delle meraviglie che «divennero volgari, al tempo stesso metafìsicamente implausibili, politicamente sospette ed esteticamente ripugnanti».
È proprio sull’ultima parte del fibra che vorrei soffermarmi, là dove l’illuminismo viene messo sotto accusa per la sua presunta messa al bando del meraviglioso. È vero, da Fontenelle a Hume è un ripetere che la tendenza al meraviglioso è un’emozione primordiale, tipica dei primitivi, dei selvaggi, del volgo ignorante. E non c’è dubbio che in ciò vi sia una concezione elitista dei rapporti sociali e del sapere. E tuttavia, la questione non può chiudersi qui. Avendo il sospetto che la meraviglia del filosofo sia il contrario del meraviglioso che oggi è propinato dappertutto sotto le spoglie di stupefacenti novità che si ripetono incessantemente, mi domando se non si debba tenere in giusto conto anche il fatto che la tendenza al meraviglioso e al miracoloso veniva trasformata in un’operazione di potere, capace di mutare la credulità in credenza e la credenza in fede in modo feticistico. Questa era certamente una situazione che gli illuministi combattevano. Essi vedevano il meraviglioso dal punto di vista del miracolo, la cui essenza, osserverà Hume, è quella di essere una violazione della natura. E da Hobbes in poi, i filosofi sapevano bene che la violazione della natura è un potere a cui si soggiace per paura. Il nesso tra miracoli, meraviglia e paura aveva creato un norma dominata dalle eccezioni (i miracoli, appunto, in quanto violazioni della natura e del suo ordine), e le eccezioni erano ciò che legittimava un potere rafforzandolo nella sua capacita di normalizzare. È vero che, come Daston e Park rilevano, l’illuminismo combatte le meraviglie, ma è necessario tener conto del contesto storico in cui ciò avviene. Se Hume, nella sua analisi delle passioni non tratta della meraviglia, il suo amico Adam Smith lo fa in un modo ben più articolato di quanto non ci dicano Daston e Park nelle poche righe dedicate alla famosa Storia dell’astronomia, dove la meraviglia, costruita attraverso un implicito quanto evidente richiamo alla Metafisica di Aristotele (ancor più che al Teeteto di Platone) ha un ruolo parallelo a quello della paura nella contemporanea Storia naturale della religione di Hume.
È auspicabile che Daston e Park prendano in considerazione un testo come I re taumaturghi di Marc Bloch, dove il Saggio sui miracoli di Hume viene considerato come il punto di svolta dello studio sulle testimonianze e sulla loro inattendibilità. È bene infatti essere garantisti anche nei confronti delle pur affascinanti ambiguità epistemologiche e cognitive della meraviglia.

“il manifesto”, sabato 9 dicembre 2000

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