La Wunderkammer (Camera delle Meraviglie) del Museo di Storia Naturale all'Università di Pisa |
Scrive Aristotele
(Metafisica, 1,2, 982b) «gli uomini, sia nel nostro tempo che
dapprincipio, hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia,
poiché dapprincipio essi si meravigliavano delle stranezze che erano
a portata di mano, e in un secondo momento, a poco a poco, procedendo
in questo stesso modo, affrontarono maggiori difficoltà, quali le
affezioni della luna e del sole e delle stelle e l'origine
dell’universo». Prima sono i fenomeni strani, irregolari della
natura a destar meraviglia poi è la grande domanda il perché
dell’origine dell’universo. Prima l’osservatore è interno ai
fenomeni chee scruta e che pure, a causa della loro irregolarità,
già segnalano una separazione tra osservatore e osservato. Poi la
separazione si completa ma nel senso che l’osservatore si sdoppia
pur essendo interno all’universo di cui si domanda l’origine, ne
esce fuori, o meglio, simula una fuoriuscita addirittura da tutto
l’universo che vuol comprendere. È quest’ultimo il senso forte
del provar meraviglia. E da Talete in poi la caratteristica della
filosofia la sua peculiarità non è la risposta che ciascun filosofo
ha cercato di dare alla domanda ma la domanda stessa la sua
riformulazione, lo sdoppiarsi dell’osservatore. «Il provar
meraviglia sorregge la filosofìa e la domina dall’inizio alla
fine», dice Heidegger. Ma il concetto di meraviglia ha una lunga
storia che si accompagna a quelli a esso contigui ma non
necessariamente affini: lo strano, il miracoloso, la paura, il
terrore, l’orrore, la curiosità.
Le storiche Larraine
Daston e Katharine Park hanno provato a fare una storia delle
meraviglie (Le meraviglie del mondo. Mostri, prodigi e fatti
strani dal Medioevo all’Illuminismo, Carocci, 2000). Il
risultato è un libro interessante dove la narrazione non procede in
modo lineare, cioè attraverso il classico passaggio che dai prodigi
medievali porta alle meraviglie fino agli oggetti naturalizzati della
modernità. La narrazione qui non presuppone al suo interno una
storia del processo di razionalizzazione degli oggetti e dei fenomeni
strani che da un’esistenza miracolosa e soprannaturale passano nel
tempo a un esistenza ordinaria e naturale. «Attorno alla metà degli
anni 70, la logica di questo tipo di narrazione sembrava ineludibile
tra gli storici della scienza. Ma il lavoro di molti studiosi,
all'interno e all’esterno della storia della scienza (..) ha da
allora messo in discussione l’inevitabilità di un resoconto
lineare dei mutamenti scientifici... abbiamo abbandonato una trama di
lineare e inesorabile naturalizzazione a favore di una trama fatta di
sensibilità che si sovrappongono e che ritornano come onde».
Foucault con la sua ricerca storico-critica sulla normalità e sulla
devianza e Mary Douglas con la sua attenzione antropologica verso i
fenomeni del marginale e dello straordinario sono tra le fonti
teoriche esplicitamente riconosciute da Daston e Park, le quali
pongono particolare attenzione ai contesti storici e culturali che
hanno circondato le meraviglie e il meravigliarsi. La loro tesi è
che la meraviglia fu una passione cognitiva sia nel medioevo che
nella prima età moderna e che fu l’illuminismo a destituirla di
importanza anzi a farla considerare una passione «disonorevole che
puzza di popolare, di dilettantesco e d’infantile». Scienziati e
filosofi come Robert Boyle, René Descartes e Francis Bacon posero
una particolare attenzione alla meraviglia, dopo, nel XVIII secolo,
le cose andarono per un altro verso, quello della normalizzazione. Ma
prima di entrare nel merito di questa tesi storiografica, che non
condivido almeno nei termini in cui è posta nel libro, è bene dare
conto, sia pure schematicamente, dell’articolazione della ricerca
che è ricca e avvincente. D libro infatti va dall’analisi del
meraviglioso e dello straordinario nella letteratura di viaggi del
medioevo a quella degli oggetti legati alla religione e ai rituali
religiosi, dal rifiuto della meraviglia nella filosofia naturale del
XIII e XIV secolo e poi alla sua ripresa nell’ambito del sapere
naturale. Un capitolo è dedicato alle nascite mostruose, poi
l’indagine si sviluppa verso la modernità, dalle Wunderkammern
che ispirarono le ricerche di Bacone e Cartesio, al rapporto tra
meraviglia e curiosità, fino alla quasi messa al bando della
meraviglia e delle meraviglie che «divennero volgari, al tempo
stesso metafìsicamente implausibili, politicamente sospette ed
esteticamente ripugnanti».
È proprio sull’ultima
parte del fibra che vorrei soffermarmi, là dove l’illuminismo
viene messo sotto accusa per la sua presunta messa al bando del
meraviglioso. È vero, da Fontenelle a Hume è un ripetere che la
tendenza al meraviglioso è un’emozione primordiale, tipica dei
primitivi, dei selvaggi, del volgo ignorante. E non c’è dubbio che
in ciò vi sia una concezione elitista dei rapporti sociali e del
sapere. E tuttavia, la questione non può chiudersi qui. Avendo il
sospetto che la meraviglia del filosofo sia il contrario del
meraviglioso che oggi è propinato dappertutto sotto le spoglie di
stupefacenti novità che si ripetono incessantemente, mi domando se
non si debba tenere in giusto conto anche il fatto che la tendenza al
meraviglioso e al miracoloso veniva trasformata in un’operazione di
potere, capace di mutare la credulità in credenza e la credenza in
fede in modo feticistico. Questa era certamente una situazione che
gli illuministi combattevano. Essi vedevano il meraviglioso dal punto
di vista del miracolo, la cui essenza, osserverà Hume, è quella di
essere una violazione della natura. E da Hobbes in poi, i filosofi
sapevano bene che la violazione della natura è un potere a cui si
soggiace per paura. Il nesso tra miracoli, meraviglia e paura aveva
creato un norma dominata dalle eccezioni (i miracoli, appunto, in
quanto violazioni della natura e del suo ordine), e le eccezioni
erano ciò che legittimava un potere rafforzandolo nella sua capacita
di normalizzare. È vero che, come Daston e Park rilevano,
l’illuminismo combatte le meraviglie, ma è necessario tener conto
del contesto storico in cui ciò avviene. Se Hume, nella sua analisi
delle passioni non tratta della meraviglia, il suo amico Adam Smith
lo fa in un modo ben più articolato di quanto non ci dicano Daston e
Park nelle poche righe dedicate alla famosa Storia
dell’astronomia, dove la meraviglia, costruita attraverso un
implicito quanto evidente richiamo alla Metafisica di
Aristotele (ancor più che al Teeteto di Platone) ha un ruolo
parallelo a quello della paura nella contemporanea Storia naturale
della religione di Hume.
È auspicabile che Daston
e Park prendano in considerazione un testo come I re taumaturghi
di Marc Bloch, dove il Saggio sui miracoli di Hume viene
considerato come il punto di svolta dello studio sulle testimonianze
e sulla loro inattendibilità. È bene infatti essere garantisti
anche nei confronti delle pur affascinanti ambiguità epistemologiche
e cognitive della meraviglia.
“il manifesto”,
sabato 9 dicembre 2000
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