È di moda un “ma
neanche”: “non sono razzista, ma neanche buonista”.
Qualcuno, benché
contrario o diffidente sull'accoglienza a profughi e migranti, “per
aiutarli a casa loro” dà dieci euro al parroco per le Missioni e
si sente perfino buono, visto che non è ricco e quella donazione un
po' gli pesa.
Ma non è così. Chi non
è buonista è - almeno un po' - cattivista. L'autoassoluzione è
solo nella parola, nel segno, non nel significato.
Non basta essere buoni.
Buonisti bisogna essere, parteggiare per la bontà, per il bene;
altrimenti si diventa partecipi del male, della malvagità.
Buonista è parola che va
difesa dallo sprezzo e dal fraintendimento dei cattivisti, come
laicista è parola che va difesa dallo sprezzo dei clericali. È
certo importante essere buoni per proprio conto, ma poi bisogna anche
prendere posizione, schierarsi con le ONG, per esempio. La sana
bontà, come la sana laicità non possono diventare un alibi, non
possono essere contrapposte a un buonismo, a un laicismo, che si
vorrebbe bollare come insani.
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