L'articolo è di circa un
anno fa e va perciò aggiornato, ma mi pare tuttora molto utile,
anche per la schiettezza e il rigore. Aggiungo all'articolo la
scheda, curata da Michienzi, su un documento della Commissione di
bioetica a proposito dei cosiddetti “farmaci” omeopatici.
(S.L.L.)
«I prodotti omeopatici
non sono efficaci per curare nessuna malattia e, come tali, non sono
integrativi né tanto meno alternativi ai trattamenti di provata
efficacia. L’omeopatia è solo un costoso placebo».
Nei giorni successivi
alla morte del piccolo Francesco, il bambino di 7 anni deceduto per
le complicanze di un’otite curata soltanto con prodotti omeopatici,
l’unica voce che è risuonata in maniera forte e chiara per
ribadire la posizione ufficiale della Scienza sull’omeopatia è
stata quella della Fondazione Gimbe e del suo presidente Nino
Cartabellotta.
Un’organizzazione
privata il cui core business è la medicina basata sulle prove
di efficacia.
Nessuna presa di
posizione istituzionale, se non quella del presidente dell’Istituto
Superiore di Sanità Walter Ricciardi che timidamente ha ricordato
che «i farmaci omeopatici rispondono a una teoria di diversi secoli
fa che non ha trovato conferme scientifiche». Ma è stata poco più
di una dichiarazione carpita a margine di un convegno da un
giornalista di AdnKronos Salute. Per il resto le istituzioni hanno
taciuto. O cincischiato.
«Sappiamo che i farmaci
omeopatici sono complementari, non sostitutivi», si è limitata a
ripetere la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, intervistata da
“la Repubblica”; la presidente della Federazione nazionale degli
Ordini dei medici Roberta Chersevani all’AdnKronos ha ribadito che
«ci sono italiani che scelgono l’omeopatia, e sono molti. Ne
dobbiamo tenere conto». L’importante è «non sottrarre mai il
paziente a cure di comprovata efficacia».
Nelle stesse ore, mentre
sul web spuntavano come funghi inviti alle istituzioni a schierarsi
nel campo della Scienza e a rinnegare una volta per tutte la pratica
fondata nel Settecento dal medico tedesco Samuel Hahnemann, un altro
rappresentante del mondo medico esprimeva la sua posizione ai
microfoni di una radio universitaria (Radio Cusano Campus):
«L’omeopatia è un metodo terapeutico ormai collaudato da oltre
200 anni», affermava, secondo quanto riportato dall’agenzia Dire.
«Parliamo di medicina e non di una chimera. Non si può essere
contrari al vaccino che è una conquista dell’umanità, così come
l’omeopatia che è una grande conquista dell’umanità».
Medico chirurgo e
omeopata
A fare queste
affermazioni è Dario Chiriacò, presidente dell’Ordine dei Medici
Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Rieti nonché
presidente della Federazione Regionale dell’Ordine dei Medici del
Lazio (Froml).
In sostanza è il vertice
dell’organizzazione medica della provincia di Rieti e il
rappresentante dei medici chirurghi di tutto il Lazio.
Chiriacò, però, è
soprattutto un medico omeopata e per queste sue competenze è
coordinatore della commissione per le Medicine non Convenzionali
della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici.
Classe 1947, dopo la
laurea a pieni voti in Medicina e la specializzazione in Oculistica,
Chiriacò dagli anni Ottanta comincia a interessarsi all’omeopatia
e progressivamente dedicherà a questa disciplina la quasi totalità
delle sua attività professionale. Uno studio a Rieti, uno a Roma,
fonda un centro per l’omeopatia, tiene lezioni in alcune università
e partecipa a corsi di formazione per medici e farmacisti in giro per
l’Italia.
E scala posizioni
nell’Ordine dei medici: tanto che oggi è al suo quinto mandato al
vertice di quello di Rieti.
Chiriacò non è
un’eccezione: è solo l’esempio più in vista di medico chirurgo
omeopata. E la prova che, qualunque cosa ne pensino i sostenitori
della medicina basata sulle prove di efficacia, l’omeopatia
nell’ultimo quindicennio si è inserita a tutti gli effetti nel
sistema terapeutico italiano.
L’inizio della
grande confusione
Dario Chiriacò era già
presidente dell’Ordine a Rieti quando nel 2002 i 103 presidenti
provinciali degli ordini dei medici italiani si riunirono a Terni per
discutere di medicine non convenzionali.
È cominciata lì la
legittimazione dell’omeopatia in salsa italiana.
I medici decisero che
l’omeopatia – insieme ad altre medicine convenzionali – non era
una roba da stregoni, ma un atto medico.
L’atto medico è ciò
che contraddistingue la professione. Quello che nessuno può
permettersi di svolgere: pena il rischio di incorrere in una denuncia
per esercizio abusivo della professione medica.
Ne sanno qualcosa a
Bologna dove i vertici del sistema del 118 nei mesi scorsi si son
visti recapitare minacce di sanzioni dall’Ordine dei medici locale
per aver deciso di utilizzare (in alcuni casi) soltanto gli
infermieri sulle ambulanze. In assenza del medico e di fronte a
un’urgenza, gli infermieri avrebbero dovuto fare diagnosi e
somministrare terapie: per questo si sarebbe configurato per i
vertici del sistema dell’emergenza bolognese un’istigazione
all’esercizio abusivo della professione medica.
A Terni, i medici
italiani decisero che l’omeopatia era roba loro. Secondo i camici
bianchi fu una decisione presa per tutelare i cittadini: meglio
affidare una simile pratica ai medici, in grado di usare anche i
trattamenti convenzionali, che lasciarla a ciarlatani. Ci fu invece
chi li accusò di aver voluto tenere tutta per loro la ricca torta
delle medicine non convenzionali.
«Le medicine non
convenzionali sono praticate da 10 milioni di italiani e per questo,
pur di non dividere con altre figure professionali tale bacino di
utenza, e quindi tale bacino economico, la Fnomceo è arrivata a
questa posizione», ebbe a dire a ridosso della decisione di Terni la
Federazione nazionale dei naturopati. «Non importa alla Fnomceo se
tali medicine sono ritenute, per la maggior parte, non efficaci dalla
scienza medica tradizionale, non importa se la cultura da cui
derivano le medicine non convenzionali è contraria alla cultura che
forma il medico».
Scienza e
gradimento
Di certo, non furono le
valutazioni scientifiche a dettare la scelta dei medici. Tanto che a
chi gli farà notare che gli studi scientifici contestano l’efficacia
dell’omeopatia, l’allora presidente dell’organizzazione
Giuseppe Del Barone dirà: «Per quanto riguarda la diatriba tra gli
assertori della non scientificità dell’omeopatia e chi, al
contrario, ne sostiene l’efficacia, a parere della Federazione
degli Ordini la risposta è nel sempre maggiore gradimento da parte
dei pazienti legato indubbiamente alla bontà dei risultati e non a
suggestione o convinzioni miracolistiche».
Così, per paternalismo o
per leggerezza, per interesse o per ignavia, senza che nessuno si
prendesse la briga delle conseguenze, l’omeopatia ha cominciato a
farsi strada nell’ordinamento medico italiano.
Con poche voci contrarie
come quella di Beppe Remuzzi e Silvio Garattini, entrambi
dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, che in quei
giorni sulla stampa invitavano al raziocinio e senza mezzi termini
scrivevano che «accettare l’omeopatia come medicina scientifica
provata è come dire che l’oroscopo offra verità indiscutibili»
(Garattini su “la Repubblica”).
In poco tempo le medicine
non convenzionali (e quindi anche l’omeopatia) entrano a pieno
diritto nel codice di deontologia medica: era il 2006 e alla guida
dei medici era arrivato Amedeo Bianco, oggi senatore del Partito
Democratico.
Una reputazione da
difendere
I medici, però, si
comportano come si fa con uno di quei familiari di cui ci si vergogna
ma che non si può mandare via dalla cena di gala: ai dottori è
consentito praticarle, ma «il ricorso a pratiche non convenzionali
non può prescindere dal rispetto del decoro e della dignità della
professione», si legge nel codice.
«Ricordatevi che abbiamo
una reputazione da difendere», sembrano dire gli estensori del
documento. Che è un capolavoro di cerchiobottismo all’italiana:
con una mano dà e con l’altra toglie, allude ma non dice, fino ad
affermare che «il ricorso a pratiche non convenzionali non deve
comunque sottrarre il cittadino a trattamenti specifici e
scientificamente consolidati e richiede sempre circostanziata
informazione e acquisizione del consenso».
È il principio della
complementarietà che tutti rivendicano in questi giorni, additando
il dramma del bambino morto a Pesaro ai comportamenti scellerati di
un singolo. E che in realtà ha già in sé il germe
dell’inconciliabilità e che relega la medicina “scientificamente
consolidata” al ruolo di paracadute per la pratica della medicina
non convenzionale.
Perché è così ed è
bene tenerlo a mente. Non importa se sia efficace o meno: in Italia
l’omeopatia si può usare, purché non si neghino le cure
convenzionali.
La fagocitazione
dell'omeopatia nella medicina istituzionale un risultato di certo lo
ha ottenuto: ave fatto emergere almeno una parte del fenomeno
omeopatia e di chi pratica la disciplina.
Omeopata uno di noi
Ogni ordine provinciale
ha infatti l’obbligo di tenere un apposito registro pubblico dei
medici che esercitano medicine non convenzionali.
Tuttavia, come sempre
accade in Italia, c’è chi è in ritardo nella compilazione del
registro, c’è chi non lo ha aggiornato, c’è chi lo custodisce
gelosamente nel cassetto. Così avere una mappa ufficiale dei medici
che si fregiano del titolo di esperto in omeopatia in Italia è
un’impresa impossibile.
Non resta che
accontentarsi dei registri pubblici, che però sono sufficienti a
fornire un ritratto dei mille volti dell’omeopatia in Italia.
Certo, ci sono figure che
ricordano Massimiliano Mecozzi, il medico omeopata che aveva in cura
il piccolo Francesco; fuori dagli schemi, difficilmente assimilabili
alla medicina convenzionale.
I registri depositati
presso gli ordini, però, mostrano anche un’altra faccia della
realtà. Ed è la parte più grande: evidenziano infatti che nella
grande maggioranza dei casi gli omeopati non sono un corpo estraneo
nella medicina italiana, ma ne sono perfettamente integrati. E a
volte rivestono posizioni di tutto rispetto.
Pediatri,
radiologi, oncologi
C’è l’oncologo che
si specializza nei tumori del torace e in pochi anni si trova ad
accumulare corsi e master in medicine non convenzionali fino ad
arrivare a dirigere l’unità dedicata alle medicine complementari
di un grande ospedale del sud Italia.
C’è la dottoressa che
dirige il Centro di Salute Mentale nel frusinate o il primario della
Riabilitazione Pneumologica di un piccolo ospedale del pavese, che
firma uno studio in cui si sostiene che i prodotti omeopatici possono
ridurre il rischio di infezioni respiratorie nei bambini.
E ancora, il radiologo
dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano che vira verso le
medicine non convenzionali e dirige un apposito gruppo dedicato alla
cure complementari in Oncologia in seno all’Istituto.
Gli omeopati si possono
ritrovare poi negli ordini, nelle società scientifiche, nei
sindacati medici, soprattutto nell’area della Pediatria. E non c’è
da stupirsi, visto che secondo un’indagine Emg-Acqua condotta nel
2016, un terzo dei pediatri ha consigliato prodotti omeopatici ai
propri pazienti.
Così, nella Federazione
Italiana Medici Pediatri, riveste il ruolo di segretario nazionale
all’organizzazione Domenico Careddu, iscritto come omeopata nel
registro dell’Ordine di Novara. La Società Italiana di Pediatria
ha da tempo un gruppo di studio dedicato all’omeopatia. A dirigerlo
Francesco Macrì, docente alla Sapienza Università di Roma nonché
vicepresidente della Società Italiana di Omeopatia e Medicina
Integrata (Siomi).
A riprova che per la
comunità medico-scientifica non c’è nessun problema a considerare
l’omeopatia parte della medicina e della scienza, Macrì (in virtù
del suo ruolo nella Siomi) è anche segretario della Fism, la
Federazione delle Società Medico-Scientifiche italiane.
Un voto per
legittimarla
In realtà, il processo
di legittimazione dell’omeopatia è ancora incompiuto.
Da almeno 20 anni, in
Parlamento si cerca di conferire il crisma della legge alla pratica
della disciplina: un tentativo bipartisan che nel tempo ha coinvolto
l’intero arco parlamentare dai Verdi a Forza Italia passando per il
Partite Democratico e il Movimento 5 Stelle.
Nella legislatura in
corso, soltanto al Senato, giacciono tre disegni di legge
pro-omeopatia (adesso unificati).
Uno presentato dal
presidente del Copasir, il leghista Giacomo Stucchi; un secondo
proposto dal gruppo 5 Stelle, a prima firma del senatore nonché
medico omeopata Maurizio Romani, ora transitato all'ltaliadei Valori.
Un ultimo, a prima firma
di Luigi D’Ambrosio Lettieri, senatore nelle fila di Gal, ma anche
tra i soci fondatori dell’Associazione pugliese di medici e
farmacisti omeopati (Omeofar) e vicepresidente della Federazione
dell’Ordine dei Farmacisti (Fofi).
Il ruolo delle
farmacie
Le farmacie, l’altro
grande sponsor dell’omeopatia in Italia.
Dei 25 miliardi di euro
di fatturato annuo del “sistema farmacia” italiano, circa 300
milioni provengono dalla vendita di prodotti omeopatici; vale a dire
una media di circa 16 mila euro di fatturato aggiuntivo lordo per
farmacia.
Un’inezia? Non proprio.
E sicuramente non per tutti i farmacisti.
La necessità di
attingere a fonti di reddito aggiuntive oltre ai medicinali classici
è un cruccio che da anni affligge le farmacie alle prese con una
drastica riduzione dei ricavi e un aumento del rischio d’impresa. E
l’omeopatia potrebbe essere una delle soluzioni. Una parte delle
farmacie italiane lo ha già capito, tanto che l’Agenzia delle
Entrate, nello studio di settore dedicato a questa attività
commerciale, ha documentato che una piccola porzione di farmacie
ricava già oggi dai prodotti omeopatici più del 5 percento del
fatturato.
Potrebbe essere una buona
ragione per credere all’omeopatia.
SCHEDA
NON CHIAMATELI FARMACI
Basta con la definizione
di medicinale, basta con il latinorum che si legge sulle
etichette e più chiarezza sull’assenza di prove di efficacia a
supporto dell’omeopatia.
In una dichiarazione
epocale, il 28 aprile scorso il Comitato nazionale per la bioetica
(Cnb) ha constato che l’attuale sistema di etichettatura dei
prodotti omeopatici non è sufficiente a garantire «la necessaria
trasparenza informativa e il rigore che sono un pre-requisito
essenziale per la commercializzazione di qualsiasi farmaco». Ha
pertanto richiesto modifiche «al fine di ridurre potenziali effetti
confondenti e di garantire l’obiettivo di un’informazione
corretta, completa e realmente comprensibile».
Nello specifico, per il
Cnb sono tre i cambiamenti che fin da subito dovrebbero essere
applicati alle etichette. Tanto per cominciare, «la “denominazione
scientifica del ceppo o dei ceppi omeopatici”» dovrebbe essere
«accompagnata dalla traduzione italiana».
Ancor più importante, il
Comitato auspica che «il termine “medicinale” sia sostituito dal
termine “preparato”» e infine che sulla confezione compaia la
frase «preparato omeopatico di efficacia non convalidata
scientificamente e senza indicazioni terapeutiche approvate».
Il documento è stato
approvato all’unanimità, fatto salvo per il rappresentante della
Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo) Maurizio
Benato, che si è astenuto.
(A.M.)
"Pagina 99", 9 giugno 2017
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