Per Bertoli l'impegno
politico-sociale non è mai stata una moda. Comunista, conobbe il
successo e Sanremo, ma restò una persona pulita, un “signore di
altri tempi”. E dalla sedia a rotelle e con la sua chitarra si è
guadagnato la stima di più generazioni. La sua cifra? La dignità
degli individui e delle classi sfruttate.
[...] perché a stare
in trincea
sono gli uomini
normali
non i capi di Stato o
i generali,
perché a stare in
trincea
sono gli uomini
normali
non i vescovi e
neanche i cardinali.
Ci han traditi e lo
han fatto molte volte
con cinismo e
determinazione
han portato fratelli e
compagni in prigione
e hanno messo un
guinzaglio all'illusione
non esiste un popolo
padrone [...]
È l'ennesimo grido
poetico e libertario che ritroviamo in «Varsavia», brano incluso
nel disco «Dalla finestra» (1984), cantato da Pierangelo Bertoli
(Sassuolo 5 novembre 1942/Modena 7 ottobre 2002) contro la
repressione del regime di Jaruzelski in Polonia. Trent'anni di
carriera che definirei “in direzione ostinata e contraria”, per
citare Faber, uno dei pochi che non a caso Bertoli stimava veramente.
Un cantautore, con uno
stile musicale e un timbro vocale inconfondibili e con rimandi
poetici e letterali autentici, che s'è battuto sempre per
l'emancipazione sociale, lasciando una traccia indelebile della sua
poesia in musica nonostante l'ostracismo mediatico.
Il figlio Alberto, che
segue le sue orme, dichiara: “Si arrabbiava quando la libertà e i
diritti dei più deboli venivano calpestati”.
Un talento vero, sincero,
che ha saputo superare con energico slancio il proprio handicap
fisico - costretto su una sedia a rotelle da una poliomielite -,
scorgendo nel dinamismo della voce, le giuste coordinate per la sua
predominante vena artistica.
La chitarra per compagna;
al servizio della Lega del Vento Rosso, organizzazione del Partito
comunista marxista-leninista, per cui ha realizzato tre 45 giri e un
disco «Rosso colore dell'amore» pubblicato nel 1974.
Nel 1976 con la casa
discografica di Caterina Caselli, sua concittadina, incide il disco
«Eppure soffia», l'immediatezza dei messaggi e la sincerità
dell'ispirazione sono la caratteristica delle sue composizioni; la
denuncia sociale, ora più ponderata ora più aggressiva, connota il
suo modo di raccontare l'uomo e il tempo in cui vive.
[...] Eppure il vento
soffia ancora
spruzza l'acqua alle
navi sulla prora
e sussurra canzoni tra
le foglie
bacia i fiori li bacia
e non li coglie.
Un giorno il denaro ha
scoperto la guerra mondiale
ha dato il suo putrido
segno all'istinto bestiale
ha ucciso, bruciato,
distrutto in un triste rosario
e tutta la terra si è
avvolta di un nero sudario [...]
In «Eppure soffia» i
versi appassionano e ‘trafiggono' tuttora, a distanza di anni, per
la forza e l'attualità. È incredibilmente profetica e di un'enorme
sensibilità. Bertoli canta la schiettezza e la capacità di
brandire una posizione politica senza indugi. I suoi versi sono
passionali e spaziano dall'ecologia all'anticlericalismo, dall'aborto
alle mutazioni politiche. Dello stesso album ricordiamo i brani:
«Sera di Gallipoli», «Non vincono» e «È nato si dice».
Una commistione di
rabbia, e poesia popolare
La Caselli s'è convinta
della maestria di Bertoli ascoltando «Roca Blues», disco del 1975
con brani in dialetto sassolese.
Una commistione di rabbia
e poesia popolare fa innegabilmente di Bertoli uno dei personaggi più
singolari e più in armonia con le ballate contadine e anarchiche
della nostra cultura. I suoi bersagli privilegiati sono gli ipocriti,
i disonesti, i moralisti. Come in «Certi momenti», disco del 1981,
in cui il brano omonimo tratta il tema del diritto all'aborto
scagliandosi contro Chiesa e benpensanti.
[...] Credo che in
certi momenti
il cervello non sa più
pensare
e corre in rifugi da
pazzi e non vuole tornare
poi cado coi piedi per
terra e scoppiano folgore e tuono
non credo alla vita
pacifica non credo al perdono
Adesso quando i medici
di turno
rifiuteranno di
esserti d'aiuto
perché venne un
polacco ad insegnargli
che è più cristiano
imporsi col rifiuto
pretenderanno che tu
torni indietro
e ti costringeranno a
partorire
per poi chiamarlo
figlio della colpa
e tu una Maddalena da
pentire [...]
«Pescatore», nel
medesimo disco, è cantato insieme a Fiorella Mannoia. Un brano
struggente: un uomo lotta col mare, mentre la compagna vive un
conflitto interiore con i propri sentimenti.
Dimmi dimmi mio
Signore
dimmi se tornerà
quell'uomo che sento
meno mio
ed un altro mi sorride
già
scaccialo dalla mia
mente
non indurmi nel
peccato
un brivido sento
quando mi guarda
e una rosa egli mi ha
dato
una rosa lui mi ha
dato
Rosa rossa pegno di
amore
rosa rossa malaspina
nel silenzio della
notte ora
la mia bocca gli è
vicina
no per Dio non farlo
tornare
dillo tu al mare
è troppo forte questa
catena
io non la voglio
spezzare
io non la voglio
spezzare
Nel 1977 pubblica «Il
centro del fiume», seguito, l'anno successivo, da «S'at ven in
meint», album in dialetto modenese in cui Caterina Caselli canta nel
brano «L'Erminia temp adree».
Il «manifesto
poetico-politico» arriva col disco «A muso duro» pubblicato nel
1979, in cui nel brano omonimo s'evidenziano il rapporto complesso
col mercato discografico e la fermezza a scrivere canzoni secondo il
proprio stile, senza concedere nulla alla logica edonistica del
mercato e invitando tutti i cantautori a riflettere sul loro ruolo
civile e politico.
E adesso che farò non
so che dire
ho freddo come quando
stavo solo
ho sempre scritto i
versi con la penna
non ho ordini precisi
di lavoro
ho sempre odiato i
porci ed i ruffiani
e quelli che rubavano
un salario
i falsi che si fanno
una carriera
con certe prestazioni
fuori orario
canterò le mie
canzoni per la strada
ed affronterò la vita
a muso duro
un guerriero senza
patria e senza spada
con un piede nel
passato
e lo sguardo dritto e
aperto nel futuro
La
profondità poetica dell'album si svela anche nei brani «Non
finirà», «L'autobus» e «Dietro me», dedicata a Emiliano, il
primo figlio. A metà degli anni Settanta conosce Bruna Pattacini,
che sposa e da cui ha tre figli: Emiliano, Petra a cui ha dedicato
l'album omonimo pubblicato nel 1985, e Alberto.
[...] Con i tuoi
giochi di colombe bianche e i tuoi vestiti di incenso e d'oro
Con il tuo trono su
tanti morti e la ricchezza senza lavoro
Un palco, luci, gente
che ti ammira
Uomini in ginocchio,
una lunga fila
I tuoi scagnozzi anche
nelle scuole a costruire un gregge vendendo le parole
Una speranza in fondo
ti sostiene,
di costruire un mondo
dove il pastore è un bene
Dove comandi tu su
tanta gente Dove ci sia la fede come nel Medio Oriente [...]
La tua censura, la
religione di Stato
Dal codice Rocco verso
il Concordato
La frigidità, le
torture più vere
E le benedizioni sulle
camicie nere.
È
«Bianchezza» la forte invettiva contro il Papa che troviamo nel
disco «Album» del 1981 insieme a «La fatica» e «Caccia alla
volpe».
Bertoli
ha una visione ‘sacra' del cantautore, equiparabile a quella di
Fabrizio De André. “Per lui il cantautore, etichetta di moda
all'epoca, o era davvero impegnato sulla carne viva della società o
— tale non era. Nella sua filosofia, il cantautore è l'antenna di
una comunità. Ha l'obbligo di percepire il cambiamento,
anticipandolo”. È quanto riporta Marco Dieci a Leo Turrini nel
libro-intervista «Ep
pure
Angelo canta ancora», dove narra del suo impareggiabile rapporto
d'amicizia con Pierangelo.
Con i Tazenda
Nel
1983 pubblica «Frammenti», sempre in coerenza con la sua poetica
che marcia contro la musica intesa come prodotto di consumo. Si
menzionano «Nuova migrazione», «A Bruna», «I miei pensieri sono
tutti lì» e la magnifica «Così», di cui trascrivo alcuni versi:
Non amo trincerarmi in
un sorriso
detesto chi non vince
e chi non perde
non credo nelle sacre
istituzioni
di gente che ha il
potere e se ne serve [...]
Si macchiano dei
crimini più bassi
per conservare il
posto da sedere
le chiese il
parlamento i sindacati
le banche e gli altri
centri del potere
gli amici sai gli
amici tante volte
mi dicono che sono un
piantagrane
che parlo senza un
poco di rispetto
che amo più gli
oppressi o le puttane.
Perché son fatto così
e non ci posso far
niente
prendimi pure così
come mi accetta la
gente
che mi sorride e che
mi lascia parlare
però non mi sente
Nel
1986, per i dieci anni di carriera, Bertoli produce un doppio album
antologico, «Bertoli Studio & Live», che comprende il brano
inedito «Favola». Con «Canzone d'autore» del 1987 interpreta
brani di Paolo Conte, Fabrizio De André, Enzo Jannacci, Luigi Tenco,
alternandoli a canzoni inedite. L'anno successivo incide «Tra me e
me», in cui canta anche «Sogni di rock'n'roll» canzone di un
ancora sconosciuto Luciano Ligabue, di cui diventerà mentore.
Seguirà «Sedia elettrica» nel 1989 che contiene «Figlio d'un
cane», altro pezzo di Ligabue. Nello stesso anno vince un Telegatto
per lo spot televisivo della “Lega per l'emancipazione
dell'handicappato”.
In
«Oracoli», disco del 1990, duetta con Fabio Concato in «Chiama
piano»; in «Acqua limpida», invece, canta sia con Concato che con
Grazia Di Michele. Si ricordano altresì «Se potesse bastare» e
«Dal vero».
Nel
1991, inaspettatamente, Bertoli si presenta al Festival Sanremo,
manifestazione discordante e agli antipodi con la concezione musicale
e ideologica dell'artista. L'obiettivo principale è far conoscere,
dal palcoscenico più popolare della canzone italiana, un brano
suggestivo, cantato col gruppo sardo dei Tazenda, nella prospettiva
del recupero delle tradizioni folcloristiche ed etniche: «Spunta la
luna dal monte» (Disamparados). Il brano riscuote consensi di
critica, pubblico e vendite. L'esperienza del Festival viene ripetuta
l'anno successivo con «Italia d'oro», brano che dà il titolo
all'album: un'accusa pesante alla corruzione e al malaffare politico
e sociale che anticipa tangentopoli.
[...] Romba il potere
che detta le regole
cade la voce della
libertà
mentre sui conti dei
lupi economici
non resta il sangue di
chi pagherà
Italia d'oro frutto
del lavoro cinta dall'alloro/
trovati una scusa tu
se lo puoi
Italia nera sotto la
bandiera
vecchia vivandiera
te ne sbatti di noi
mangiati quel che vuoi
fin quando lo potrai
tanto non paghi mai
[...]
Nel
disco è presente anche il brano «Giulio» 'dedicato' ad Andreotti.
Seguono gli album «Gli anni miei» del 1993 in cui le tematiche
trattate vanno dallo smarrimento esistenziale nella società dei
consumi alla tragedia della guerra; «Angoli di vita» del 1997, un
lavoro prezioso a prova della mai placata vena poetica. «301 guerre
fa» è l'ultimo disco pubblicato nel 2002 poco prima della morte. È
composto da quattro brani inediti e pezzi di album precedenti
riarrangiati e reinterpretati.
Musica intrisa di
ribellione e poesia
Pierangelo
Bertoli ha affrontato la vita sempre «A muso duro». Antagonista
incredibile, inflessibile, mai ipocrita, sempre schierato con
l'estrema sinistra. Pur avendo conosciuto l'esilio telecratico, non
s'è mai posto con toni polemici. Credo che necessiti
rileggere/riascoltare e ripubblicare l'intera discografia in maniera
critica per comprenderne e diffonderne appieno la sua musica intrisa
di ribellione e poesia.
Da “A
– Rivista Anarchica”, febbraio 2018
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