Il tema di questa vecchia
recensione e del libro cui si riferisce, il Sikhismo, sembra - nella
congiuntura attuale - “fuori campo”, ma è assai probabile che le
politiche recenti del governo indiano, sempre più ispirate a un
identitarismo indù, sebbene fino ad oggi soprattutto antimusulmane,
eccitino altri odi e rancori che il laicismo di Gandhi, di Nerhu e
del partito del Congresso non aveva saputo spegnere.
Ho aggiunto, come scheda,
alla recensione la voce Sikhismo, tratta dal Dizionario delle
Religioni Orientali, Vallardi
1993. (S.L.L.)
Amritsar, Il Tempio d'Oro Sikh |
Che rapporto ci può
essere fra la città «perfetta» progettata da Le Corbusier, puro
prodotto del razionalismo occidentale, e il «comunalismo» indiano?
È una contraddizione che fa parte del quadro. Nel contenzioso che
oppone i Sikh del Panjab al governo di Delhi e al vicino stato di
Haryana un posto di rilievo ha la contesa sull’attribuzione di
Chandigarh, commissionata da Nehru nei primi anni ’50 al famoso
architetto svizzero per dirimere un problema di rappresentatività
che invece a più di trent’anni di distanza si trascina ancora
irrisolto in una condizione di guerra strisciante.
A ristabilire
l’equilibrio, e a ricordare che siamo pur sempre in India, c’è
la puntigliosa difesa della sacralità e immunità del Tempio d’Oro
di Amritsar, in cui i Sikh vedono concentrata la loro identità.
I Sikh sono una delle
tante comunità che si confrontano con le strutture istituzionali
dell’India, immensa patria di tutte le razze, di tutte le religioni
e di tutte le culture. Ma, non foss’altro per aver legato il loro
nome, e la loro causa, ai fatti drammatici del 1984 - prima l’assalto
dell’esercito al Tempio d’Oro con l’eccidio che ne seguì e poi
l’assassinio di Indirà Gandhi ad opera di alcuni Sikh della sua
guardia personale, che avevano voluto così vendicare il sacrilegio -
essi costituiscono un caso a sé, forse il più grave. Per certi
aspetti potrebbero fungere da sintesi a favore della conciliazione,
anche perché il sikhismo è una fede nata nel XV-XVI secolo con il
proposito di rinnovare l’induismo assorbendo i valori fondamentali
dell’Islam, ma il loro presentarsi come una comunità religiosa e
non come una casta o un’etnia culturale rende incompatibile la loro
rivendicazione di autonomia con il carattere laico dell’India come
concepita dai padri fondatori.
Si spiega così questa
storia di separatezza e di incomprensione, che Marco Restelli ha
ricostruito combinando con abilità la ricerca dotta e il gusto
dell’attualità (I Sikh fra storia e attualità politica,
Edizioni Pagus, 1990). Nessuna concessione al folclore. I turbanti, i
capelli lunghi e le barbe dei Sikh, la loro predisposizione
professionale all’arte della guerra, il dinamismo di un popolo che
ha fatto del Panjab l’avanguardia della «rivolùzione verde»,
vero «granaio» dell’India che si è lasciati alle spalle i tempi
delle carestie di massa, sono studiati sulla base della tradizione in
senso antropologico, delle vicende della politica e
dell’organizzazione sociale, dell’influenza e dei calcoli del
colonialismo britannico. I vari accorgimenti costituzionali e
territoriali che sono stati adottati non hanno avuto fortuna. I Sikh
sono rimasti lì con la loro insoddisfazione e con le loro
aspirazioni, bersagli fin troppo comodi delle frustrazioni di altri
gruppi, e degli indù anzitutto, con cui vivono a stretto contatto
nel Panjab e nella stessa capitale dell’Unione. Hanno fallito un
po’ tutti: i moderati come gli estremisti; e hanno fallito i capi
del governo centrale: Indira Gandhi fino al sacrificio della vita,
suo figlio Rajiv rimettendoci il potere.
All’origine di tutto
c’è sempre l’idea di India che Gandhi (il Mahatma) e Jawaharlal
Nehru hanno imposto al momento dell’indipendenza. Un’idea che in
realtà non potè essere realizzata nella sua assolutezza a causa
della volontà scissionista dei musulmani che diede vita al Pakistan.
Il fatto che l’India «universale» dovesse accettare la
spartizione dell’ex-Raj britannico per accontentare un nazionalismo
che si richiamava espressamente ad una fede religiosa era qualcosa di
più di una semplice amputazione territoriale. Era la negazione di
tutta una ideologia e del solo programma che avrebbe forse potuto
consentire all’India un futuro di pace. Un’utopia? Un’astrazione
concettuale? La tragedia dell’esodo, l’atto di violenza contro
Gandhi, campione inflessibile della non-violenza, la vertenza per il
Kashmir segnarono fin dall’inizio l’esistenza dell’Ihdia, che
non avrebbe mai più trovato la certezza di sé e dei propri destini.
La sola concessione che i
Sikh riuscirono a strappare fu una ridefinizione dello stato in cui
essi hanno il loro habitat secondo criteri linguistici. La religione
in quanto tale non poteva essere considerata a pena di mettere in
crisi lo Stato indiano nella sua interezza. La divisione, decisa nel
1966, ha permesso ai Sikh di diventare maggioranza nel Panjab, ma ha
aperto un’interminabile controversia con l’Haryana, in cui sono
stati raggruppati i distretti di lingua hindi e di fatto a
maggioranza indù: Chandigarh, che sorge proprio sul confine, è
assurta singolarmente a «test» di un conflitto che ha via vìa
alimentato la radicalizzazione del movimento «nazionalista» dei
Sikh, il terrorismo, l’instabilità esportata in tutta l’Unione e
persino all’estero, dove molti Sikh hanno trovato rifugio
riproducendo il loro stile e i loro miti.
Dopo i fatti del 1984
l’integrazione dei Sikh nello Stato indiano è diventata
problematica. In passato i contrasti sono stati esasperati da
speculazioni che non riguardavano direttamente le richieste dei Sikh
e che sono ricadute sui loro autori oltre che su molte vittime
innocenti. Ma mentre in tutto il mondo si sta ridiscutendo la
funzione dell’etnicismo e delle religioni nella vita associata, la
«minaccia» dei Sikh si fa reale e assume una dimensione che si
collega in qualche modo con tendenze che trascendono la stessa India.
"il manifesto", 1 giugno 1990
Sikh a Vicenza |
SCHEDA
SIKHISMO
Religione
fondata dal guru Nanak (1469-1538) nella regione indiana del Punjab.
Influenzato da Kabir, fautore dell'incontro tra islamismo e induismo,
Nanak predicò una fede rigorosamente monoteistica, opposta a
qualsiasi forma di idolatria. Dio è l’unico creatore
dell’universo, dotato degli attribuii di eternità, beatitudine,
onnipotenza. A Nanak si sono succeduti altri dieci guru a capo
della comunità dei sikh (discepoli), quali intermediari fra
Dio e i seguaci. Il testo sacro dei sikh, l’Adi Granth fu
iniziato dal quinto guru Arjan nel 1604 e terminato dal decimo guru
Govind Singh all’inizio del XVIII sec. Quest'ultimo diede
un’impronta militaristica alla setta, al fine di difenderla
dall'oppressione dell’imperatore moghul che intendeva
convertirne i seguaci all’islamismo. Il sikhismo non riconosce il
sistema castale, ma crede nel karma e nella reincarnazione.
Sarà possibile liberarsi dal ciclo delle rinascite perseguendo la
pace e l’amore universali. I sikh si autodefiniscono khalsa
(puri) e hanno cinque segni distintivi: kesh (capigliatura
folta raccolta nel caratteristico turbante), kaccha (pantaloni
corti alle ginocchia), kara (un braccialetto di ferro), kangha
(un pettine in legno) e kirpan (un piccolo pugnale su cui
vengono annodati i capelli). Il centro del culto sikh è costituito
dal Tempio d’Oro di Amritsar, innalzato dal quarto guru Ram Das nel
1577 su permesso del sovrano moghul Akbar.
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