2.12.18

Ostruzionismo, 50 anni di spettacolo. Il record, la resistenza di Almirante, le poesie del Pci (Aldo Cazzullo, 2005)

Marco Boato, giovane parlamentare negli anni 70

Il record è attribuito a Marco Boato: 18 ore e 5 minuti. «Invece è mio – dice Massimo Teodori ”. Ho qui due volumi di resoconto stenografico: 4 febbraio 1981, decreto sul fermo di polizia, 18 ore e 20’». «Teodori è un falsario – ribatte Boato”. Si aggiunge due ore. Lui si fermò a poco più di 16. Io presi la parola alle 8 di sera e la lasciai alle 14 e 05 del giorno dopo. Senza leggere, senza sedermi, senza interrompermi».
Comunque, i primatisti dell’ostruzionismo sono i radicali (anche Boato, oggi Verde, era tra loro).
Gli inventori furono i socialisti: Bissolati, Ferri, Prampolini, Pantano, Vendramini importarono dall’Inghilterra il filibustering contro i «decreti liberticidi» del generale Pelloux. E i primi a ricorrervi nella storia repubblicana furono i comunisti. 1949: l’on. Cerruti parla 8 ore e mezzo contro l’adesione alla Nato. Giulio Andreotti c’era già. «Si andò avanti a oltranza, tre giorni e tre notti. Però l’ostruzionismo comunista, più che sulla logorrea, puntava sulle intemperanze, per far sospendere la seduta – racconta il senatore a vita”. Ai Comuni i deputati britannici solevano leggere la Bibbia. A Montecitorio volavano insulti, talora anche banchi».
Scrive il Corriere: «All’improvviso ecco balzare alto sulla mischia Giuliano Pajetta che, partito come un razzo dal terzo settore, con tre balzi aerei è piombato a tuffo nel groviglio di teste, di braccia e di gambe, e in quel groviglio sparisce inghiottito...». «Saltava di banco in banco come Tarzan – racconterà Vittorio Orefice ”. Dall’altra parte c’era Tomba, parlamentare della Coldiretti, una specie di Carnera, che picchiava i comunisti come Bud Spencer».
Ma all’ostruzionismo del Pci Andreotti attribuisce grandi meriti lessicali. «Razzolavano male; nel ’51 scambiarono i corpi di difesa civile dai terremoti voluti da Scelba con squadroni governativi; però predicavano benissimo. In Parlamento dominava ancora l’oratoria forense, si evocavano "ponti fra cielo e terra" e "i garofani bianchi dei nostri vent’anni". Tra i comunisti invece c’erano grandi oratori, come Giancarlo Pajetta, Renzo Laconi, Vincenzo La Rocca, che interveniva ogni giorno attingendo alla tradizione del teatro napoletano».
La battaglia più dura infuriò proprio sulla riforma elettorale, nel ’53. «Io non sono portato a drammatizzare – sorride Andreotti ”, però quella volta c’era da aver paura. Le provarono tutte per interrompere la seduta; il presidente del Senato, Giuseppe Paratore, resisteva anche al lancio delle tavolette. Io ero rimasto solo al banco del governo e mi infilai in testa un cestino dei rifiuti. Parevo un marziano. Spano fu fermato prima di far precipitare sulla testa di Paratore una poltrona; mi sibilò: "Dopo il voto avrete un nuovo piazzale Loreto". Paratore si dimise». Lo sostituì Meuccio Ruini, anch’egli vittima dell’ostruzionismo rosso: nelle more di un intervento interminabile, annotò il giovane cronista Ugo Zatterin, «se la fece nei pantaloni».
«Vescica di ferro» fu detto invece Giorgio Almirante, dopo il suo discorso contro l’ordinamento regionale. «Rimasi molto impressionato – rievoca Andreotti ”. Parlò per una decina d’ore, senza scaletta, con la mimica che gli veniva dalla famiglia di teatranti, dimostrando grande competenza e soprattutto continenza» (su questo punto Teodori e Boato concordano: «Si suda molto, il problema semmai è la disidratazione»). Dopo l’ottima prova del capo, l’ostruzionismo missino dilagò: contro i decreti fiscali di Fanfani e Visentini, contro gli organi collegiali della scuola, contro il decreto dell’88 sulla responsabilità civile dei magistrati, contro la legge Martelli, contro l’obiezione di coscienza. E contro il divorzio ci fu anche un ostruzionismo democristiano, anche se il termine ad Andreotti non piace: «Ci attenemmo al regolamento. Ero capogruppo alla Camera. Si fecero le cose per benino: parlammo tutti. La discussione durò sei mesi. Io però non andai oltre i 40’».
Poi arrivarono i radicali: Tessari e Cicciomessere i primi a infrangere il muro delle dieci ore; quindi l’exploit di Teodori. «Fu dura, perché la Iotti non era tollerante come Ingrao. Nel cuore della notte, quand’eravamo rimasti in tre, tentò più volte di interrompermi contestandomi le citazioni storiche. Ma io niente». «Però il record è mio – insiste Boato ”: 16 ore nel dibattito generale, 18 e 5’ in quello conclusivo. Ho le prove. Gli atti parlamentari, le registrazioni di Radio radicale, il libro di Andrea Manzella sul Parlamento. Ho i testimoni. Ero talmente disidratato che restai altre quattro ore senza fare pipì».
Allora cambiarono il regolamento parlamentare: non più di 45 minuti. Per far decadere il decreto Craxi sulla scala mobile, i comunisti organizzarono tre gruppi di lavoro: Giorgio Macciotta studiò mille emendamenti; Ugo Spagnoli preparò il «prontuario dell’ostruzionismo»; all’ex operaio Mario Pochetti venne affidata la vigilanza diurna (una parlamentare fu recuperata alla toilette), al ferroviere Rubes Triva quella notturna. La disposizione era di applaudire a lungo ogni intervento. Leo Cannullo si sbagliò e fu rimproverato per aver parlato solo 36 minuti. Nessuno osò dire nulla a Berlinguer che si fermò a 20. Renato Nicolini lesse brani di Witkiewicz, autore teatrale polacco degli Anni Venti, in cui il protagonista nella traduzione italiana diveniva Ciccino Craxic. Edda Fagni citò Trilussa: «No no, rispose er gatto senza core/ io nun divido gniente co’ nessuno/ fo er socialista quando sto addiggiuno/ ma quanno magno so’ conservatore ».
«Oggi – si immalinconisce Andreotti – si va avanti a colpi di emendamenti e richieste di numero legale». Tra il ’96 e il 2001 il senatore Peruzzotti, leghista di Gallarate, ne ha fatte 4 mila. Si faceva chiamare Ostruzionix, per le radici celtiche.

Corriere della Sera 15 settembre 2005

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