Marco Boato, giovane parlamentare negli anni 70 |
Il record è attribuito a
Marco Boato: 18 ore e 5 minuti. «Invece è mio – dice Massimo
Teodori ”. Ho qui due volumi di resoconto stenografico: 4 febbraio
1981, decreto sul fermo di polizia, 18 ore e 20’». «Teodori è un
falsario – ribatte Boato”. Si aggiunge due ore. Lui si fermò a
poco più di 16. Io presi la parola alle 8 di sera e la lasciai alle
14 e 05 del giorno dopo. Senza leggere, senza sedermi, senza
interrompermi».
Comunque, i primatisti
dell’ostruzionismo sono i radicali (anche Boato, oggi Verde, era
tra loro).
Gli inventori furono i
socialisti: Bissolati, Ferri, Prampolini, Pantano, Vendramini
importarono dall’Inghilterra il filibustering contro i
«decreti liberticidi» del generale Pelloux. E i primi a ricorrervi
nella storia repubblicana furono i comunisti. 1949: l’on. Cerruti
parla 8 ore e mezzo contro l’adesione alla Nato. Giulio Andreotti
c’era già. «Si andò avanti a oltranza, tre giorni e tre notti.
Però l’ostruzionismo comunista, più che sulla logorrea, puntava
sulle intemperanze, per far sospendere la seduta – racconta il
senatore a vita”. Ai Comuni i deputati britannici solevano leggere
la Bibbia. A Montecitorio volavano insulti, talora anche banchi».
Scrive il Corriere:
«All’improvviso ecco balzare alto sulla mischia Giuliano Pajetta
che, partito come un razzo dal terzo settore, con tre balzi aerei è
piombato a tuffo nel groviglio di teste, di braccia e di gambe, e in
quel groviglio sparisce inghiottito...». «Saltava di banco in banco
come Tarzan – racconterà Vittorio Orefice ”. Dall’altra parte
c’era Tomba, parlamentare della Coldiretti, una specie di Carnera,
che picchiava i comunisti come Bud Spencer».
Ma all’ostruzionismo
del Pci Andreotti attribuisce grandi meriti lessicali. «Razzolavano
male; nel ’51 scambiarono i corpi di difesa civile dai terremoti
voluti da Scelba con squadroni governativi; però predicavano
benissimo. In Parlamento dominava ancora l’oratoria forense, si
evocavano "ponti fra cielo e terra" e "i garofani
bianchi dei nostri vent’anni". Tra i comunisti invece c’erano
grandi oratori, come Giancarlo Pajetta, Renzo Laconi, Vincenzo La
Rocca, che interveniva ogni giorno attingendo alla tradizione del
teatro napoletano».
La battaglia più dura
infuriò proprio sulla riforma elettorale, nel ’53. «Io non sono
portato a drammatizzare – sorride Andreotti ”, però quella volta
c’era da aver paura. Le provarono tutte per interrompere la seduta;
il presidente del Senato, Giuseppe Paratore, resisteva anche al
lancio delle tavolette. Io ero rimasto solo al banco del governo e mi
infilai in testa un cestino dei rifiuti. Parevo un marziano. Spano fu
fermato prima di far precipitare sulla testa di Paratore una
poltrona; mi sibilò: "Dopo il voto avrete un nuovo piazzale
Loreto". Paratore si dimise». Lo sostituì Meuccio Ruini,
anch’egli vittima dell’ostruzionismo rosso: nelle more di un
intervento interminabile, annotò il giovane cronista Ugo Zatterin,
«se la fece nei pantaloni».
«Vescica di ferro» fu
detto invece Giorgio Almirante, dopo il suo discorso contro
l’ordinamento regionale. «Rimasi molto impressionato – rievoca
Andreotti ”. Parlò per una decina d’ore, senza scaletta, con la
mimica che gli veniva dalla famiglia di teatranti, dimostrando grande
competenza e soprattutto continenza» (su questo punto Teodori e
Boato concordano: «Si suda molto, il problema semmai è la
disidratazione»). Dopo l’ottima prova del capo, l’ostruzionismo
missino dilagò: contro i decreti fiscali di Fanfani e Visentini,
contro gli organi collegiali della scuola, contro il decreto dell’88
sulla responsabilità civile dei magistrati, contro la legge
Martelli, contro l’obiezione di coscienza. E contro il divorzio ci
fu anche un ostruzionismo democristiano, anche se il termine ad
Andreotti non piace: «Ci attenemmo al regolamento. Ero capogruppo
alla Camera. Si fecero le cose per benino: parlammo tutti. La
discussione durò sei mesi. Io però non andai oltre i 40’».
Poi arrivarono i
radicali: Tessari e Cicciomessere i primi a infrangere il muro delle
dieci ore; quindi l’exploit di Teodori. «Fu dura, perché la Iotti
non era tollerante come Ingrao. Nel cuore della notte, quand’eravamo
rimasti in tre, tentò più volte di interrompermi contestandomi le
citazioni storiche. Ma io niente». «Però il record è mio –
insiste Boato ”: 16 ore nel dibattito generale, 18 e 5’ in quello
conclusivo. Ho le prove. Gli atti parlamentari, le registrazioni di
Radio radicale, il libro di Andrea Manzella sul Parlamento. Ho
i testimoni. Ero talmente disidratato che restai altre quattro ore
senza fare pipì».
Allora cambiarono il
regolamento parlamentare: non più di 45 minuti. Per far decadere il
decreto Craxi sulla scala mobile, i comunisti organizzarono tre
gruppi di lavoro: Giorgio Macciotta studiò mille emendamenti; Ugo
Spagnoli preparò il «prontuario dell’ostruzionismo»; all’ex
operaio Mario Pochetti venne affidata la vigilanza diurna (una
parlamentare fu recuperata alla toilette), al ferroviere Rubes Triva
quella notturna. La disposizione era di applaudire a lungo ogni
intervento. Leo Cannullo si sbagliò e fu rimproverato per aver
parlato solo 36 minuti. Nessuno osò dire nulla a Berlinguer che si
fermò a 20. Renato Nicolini lesse brani di Witkiewicz, autore
teatrale polacco degli Anni Venti, in cui il protagonista nella
traduzione italiana diveniva Ciccino Craxic. Edda Fagni citò
Trilussa: «No no, rispose er gatto senza core/ io nun divido gniente
co’ nessuno/ fo er socialista quando sto addiggiuno/ ma quanno
magno so’ conservatore ».
«Oggi – si
immalinconisce Andreotti – si va avanti a colpi di emendamenti e
richieste di numero legale». Tra il ’96 e il 2001 il senatore
Peruzzotti, leghista di Gallarate, ne ha fatte 4 mila. Si faceva
chiamare Ostruzionix, per le radici celtiche.
Corriere della Sera 15
settembre 2005
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