Maurizio Landini |
Qualcosa si muove a
sinistra. La scelta della Cgil di ieri è il primo sasso nello stagno
di un’opposizione che, dal 4 marzo, non dava più segni di
esistenza. La pratica unitaria, celebrata con un rito che può
sembrare antico, va letta con gli occhiali nuovi di un Paese che si
avvia a una nuova recessione; che non è mai uscito dalla doppia
crisi del decennio appena chiuso; che è guidato da una nuova élite
che fa al tempo stesso governo e opposizione.
Il ruolo del sindacato ai
tempi dei populisti è scomodo, quasi impossibile. Da questo punto di
vista, la scelta di Landini ha una logica: difficile assimilarlo alle
élite della sinistra che hanno accompagnato il superamento di tanti
baluardi del Novecento, a partire dallo Statuto dei lavoratori.
Ma non per questo il
neosegretario avrà vita semplice, nelle battaglie sulla politica
economica nazionale (le prime, sull’attuazione del reddito per i
poveri e della quota 100, misure con cui il governo “parla” alla
stessa base sociale della Cgil) come nelle centinaia di crisi aperte
al ministero dello Sviluppo e nel recupero di tutto quel mondo del
lavoro giovanile non sfiorato dai contratti e dal sindacato. Il
neosegretario (e il suo vice) muoveranno i primi passi nel deserto
della sinistra, con il secondo partito in parlamento ancora incapace
di uscire dalla palude in cui si è cacciato.
Forse è un caso che la
Cgil sia riuscita a trovare una direzione e un’unità prima e a
prescindere da quello che in passato era il suo partito di
riferimento; o forse deriva dal fatto che il sindacato è più vicino
alla realtà, e sa cercare in sé gli anticorpi. Come ai tempi del
terrorismo, rievocati per l’anniversario dell’assassinio di Guido
Rossa, sindacalista e operaio.
Commento per Agl pubblicato sui
quotidiani locali del gruppo Gedi il 24 gennaio 2019
E' senmpre interessante passare da questo blog.
RispondiEliminaLunga e proficua vita a Landini e ai suoi progetti che fanno ricordare una normalità a cui non siamo abituati, che abbiamo perso di vista.
Un saluto.