16.6.19

Vertumno. Una poesia di Josif Brodskij (Leningrado, oggi S. Pietroburgo 1940 – New York 1996)

La statua di Vertumno a San Pietroburgo
I
Ti incontrai la prima volta a latitudini per te straniere.
Non ci avevi mai messo piede, ma la tua gloria era arrivata
nei luoghi dove di solito i frutti si fanno con l’argilla.
Nella neve fino alle ginocchia, ti levavi, bianco - di piu:
nudo, in compagnia di alberi unipedi, anch'essi
denudati, in qualità di specialista
di temperature basse. «Divinità romana»
diceva una targhetta scolorita,
e per me eri un dio perché sapevi del passalo
più di me (il futuro in quegli anni
non mi interessava molto).
D’altra parte, capelli ricci e guance grasse,
sembravi un coetaneo. E benché tu non capissi una parola
nell’idioma locale, in qualche modo attaccammo discorso.
Parlai per primo: qualcosa a proposito di Pomona,
dei nostri fiumi zigzaganti, del tempo capriccioso, dei soldi,
della penuria di verdura, delle stagioni
pazze - cose, pensavo, a te accessibili se non
nella sostanza, almeno per il tono generale
di lamentela. Un po’ per volta (la lagnanza
è madrelingua universale: forse al principio era soltanto
«ohi!» e «ahi!») cominciasti a reagire:
strizzavi gli occhi, corrugavi la fronte; poi la parte inferiore
del volto sembrò sciogliersi, e si mossero le labbra.
«Vertumno» spiccicasti infine. «Il mio nome è Vertumno».

Postilla
È la prima delle 14 strofe di un poemetto composto a Milano nel 1990, incluso nella raccolta delle Poesie italiane pubblicate nel 1996 da Adelphi e tradotto da Serena Vitale.

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