Politica,storia,letteratura e varia umanità. Pezzi vecchi e nuovi d'ogni provenienza. Ogni lunedì una poesia. Borghesi e reazionari, pretonzoli e codini, reggicode e reggisacchi, ruffiani e pecoroni, tremate!
30.12.09
Disuso. Una poesia di Ghita Genovese Vella.
Angelo di fuoco. Un giudizio di Savinio su Pirandello.
ANGELO DI FUOCO
Confessione. Una poesia di Cesare Genovese (1927-1999)
Le altre verità su l'Aquila. (Un intervento di Ciuffini da www.perperugia.it)
Dopo la proiezione dei filmati e gli interventi, unitamente a quello che sono riuscito fin qui a captare dai media (qualche voce isolata nel frastuono della band wagon) mi sento di dire subito due cose sul dopo terremoto all’Aquila (e ringrazio, comunque gli organizzatori di avermi offerto il destro di farlo…) : primo, si tratta di una grande, colossale operazione propagandistica…; secondo, la ricostruzione non è ancora iniziata, è addirittura sotto zero.
A questo voglio aggiungere il fatto che, per fare emergere una opinione diversa da quella dominante, siamo tornati ai samidzat. Li ricordate i ciclostilati che circolavano clandestinamente, passati di mano in mano, ai tempi dell’Unione Sovietica? E che cosa è questa meritevole, importante iniziativa, questa riunione quasi carbonara in una Sala dei Notari sorda e semivuota se non un samidzat? Certo, un’iniziativa meritevole, così come meritevoli (e ben fatti tecnicamente) lo sono i filmati e ce ne vorrebbero ben altre, tante altre, per scuotere il letargo in cui di fatto è piombata l’opposizione in questo paese.
E di questo voglio parlare. I sondaggi dicono che il 70% degli italiani approvano l’operato del Governo e del Grande Palazzinaro in Abruzzo. Anzi, per questo governo che si dice del “fare”, gli interventi in Abruzzo e la rimozione della mondezza a Napoli sono i due grandi pilastri su cui si fonda un vasto consenso popolare. E questo ci porta a due altre osservazioni: la mancanza totale di canali di comunicazione gestiti da chi si oppone a questo governo (io non me la sento di delegare a Santoro ed a Floris l’epressione di una linea alternativa) e, comunque, la mancanza di iniziativa dell’opposizione di centro - sinistra, IDV inclusa. Diceva Goebbels che non bisogna fare l’errore di credere alla propria propaganda. Qui l’opposizione fa di peggio, ha creduto alla propaganda dell’avversario! Il quale ha accumunato in un unico fascio i dopo terremoto di Messina, del Belice, dell’Irpinia e del Sannio, del Friuli, dell’Umbria e delle Marche. E sappiamo invece che la ricostruzione, quella soprattutto dei Centri Storici, in Friuli, Umbria e Marche ha avuto uno sviluppo esemplare, ben diversamente dagli altri, ed ha portato alla costruzione di un esemplare modello di intervento.
Cosa bisognava fare, in Parlamento (ma il Parlamento c’è ancora?), dopo il terremoto in Abruzzo? Occorreva prospettare e far passare, ma almeno discutere, un modello alternativo a quello di B, quello delle New Town, della costruzione di abitazioni definitive e decentrate dove capita, per intenderci.
Ma ci rendiamo conto? L’Aquila, una città che molto più di altre aveva un centro storico vivo vitale e, soprattutto molto esteso (molto più di quello di Perugia, e molto più compatto), si troverà ad avere una popolazione disseminata in 19 New Towns di periferia. Una disseminazione sconsiderata che, a parte la perdità di identità e il deficit culturale che c’è dietro, renderà la gestione della città - dai trasporti al traffico alla sicurezza a tutti i servizi a rete - molto più complessa e difficile. Insomma, mentre persino l’Unione Europea, si sta accorgendo della “non sostenibilità” del modello di disseminazione urbana (il tanto deprecato Urban Sprawl!), all’Aquila si segue il modello opposto (bisogna dire, en passant, che anche a Roma, Rutelli, Veltroni e Bettini, non hanno fatto meglio e non avevano avuto il terremoto, per tacere poi di Perugia…ma questa è un’altra storia). E intanto la ricostruzione non comincia … Io credo che andrebbe spiegato che la ricostruzione di una città distrutta dal terremoto, è un processo lungo e difficile, con procedure defatiganti, che richiede anni e costi immani ; e si tratta del processo che, furbescamente, verrà lasciato agli Enti Locali ed alla Regione, che verranno impallinati e vituperati, ogni qual volta le loro lentezze saranno paragonate al glorioso e fulmineo incedere del Grande Palazzinaro che (mi dice con orgoglio un laudatore di B.) consegna 42 nuovi appartamenti al giorno! Lasciate stare che si tratta di case dove non puoi piantare un chiodo senza trapassare la parete, che 30mila persone stanno ancora a Montesilvano o a Francavilla a mare, ai Vespa - Aiazzone basterà mettere il silenziatore a qualsiasi voce discorde (e magari li farà arrestare dalla forza pubblica), e poi, tra pochi mesi, chi parlerà più dell’Aquila se non per dire male del Comune o della Provincia che “non ricostruiscono”? E, invece, nel modello affermatosi in anni di esperienze sempre più approfondite e perfezionate, durante tutta la fse della ricostruzione vera, quella in cui si rifà una città, i “terremotati” vengono ospitati in unità abitative provvisorie confortevoli ed adeguate, realizzate con metà costo di quelle di B. , da smontare poi e recuperare per usarle altrove, secondo necessità. Affermando che una città può essere ricostruita dalle fondamenta, e spero che questo accadrà all’Aquila, ma che se non si ricostruisce il tessuto sociale originario, se non si riportano indietro gli abitanti, la “civitas” non verrà mai più ricostruita….
Bene, dunque, che fare adesso? Mi permetto di suggerire che qualcuno voglia andare a filmare gli esiti della ricostruzione in Umbria e nelle Marche, o, più semplicemente di raccogliere il materiale già esistente in Regione e nei Comuni, raccogliere anche le testimonianze di tutte le fasi “provvisorie” intermedie, le cronache dei giornali e della TV e farle vedere all’Aquila, ma anche in giro per l’Italia insieme ai filmati che abbiamo visto alla Sala dei Notari. E poi, dire qualcosa ai nostri parlamentari, ai parlamentari PD ed IdV delle commissioni di merito . Che prendano atto di questo materiale e chiedano un dibattito in Parlamento. Un dibattito da ampliare a tutto il Paese, per evidenziare falsità, pochezze, mancanze e carenze del governo del “fare”…. E, magari, per costruire una alternativa del “fare”, quello giusto però…
Walter Binni e Giacomo Leopardi. Un grande amore.
Un grande amore di Salvatore Lo Leggio
A cura di Chiara Biagioli, è uscito nel marzo per Morlacchi Editore e per le Edizioni del Fondo Walter Binni un elegante volumetto del grande italianista perugino, L’ultimo periodo della lirica leopardiana, che pubblica la sua tesina di ventunenne normalista, discussa a Pisa nel 1934 davanti a una commissione presieduta da Attilio Momigliano. Enrico Ghidetti, nella prefazione, cita un brano dal De Sanctis e Leopardi di Binni ove tra l’altro si legge: “Ogni critico ha, per dirla romanticamente con Wiechert, i poeti della sua vita e se certi incontri più fortuiti e avventati vengono respinti poi tra gli errori della gioventù, altri ve ne sono su cui l’animo e l’intelletto ritornano assiduamente quanto più l’esperienza ce ne assicura il valore profondo, e la passione meno controllata si muta in un culto attivo, in un omaggio critico e storico che mira a realizzare, a precisare, la vera, personale e storica realtà degli autori più amati”. Aggiunge Ghidetti: “Il capoverso successivo prosegue ‘Tale fu il Leopardi per Francesco De Sanctis…’, ma non è chi non veda che, mai come questa volta, de se fabula narratur”.
Condividiamo: Leopardi fu per Binni il poeta della vita, la passione che divenne culto, “la figura fondamentale del suo destino di uomo, di critico, di maestro”. Abbiamo sempre pensato che leggere poesia sia un atto d’amore e perciò non troviamo strano che per i critici (ma anche per i lettori non professionali) i poeti siano come i grandi amori: uno, due al massimo, nell’arco di un’intera vita. A noi pare che ci sia una sorta di reciprocità. Anche i poeti (o più esattamente i libri di poesia) hanno pochissimi grandi amori: nell’arco della loro durata plurisecolare sono pochissimi i critici che per una serie di circostanze riescono a realizzare con loro un rapporto speciale di conoscenza, adattività e complicità. Prendiamo Leopardi. Nel canto che finì col risultare il suo certamente involontario testamento, La ginestra, egli rappresenta il suo conflitto con l’Ottocento, “il secol superbo e sciocco” che aveva abbandonato l’Illuminismo per tentare improbabili conciliazioni tra religione e libertà, e chiaramente intuisce il rischio che la sua poesia e il suo pensiero siano sottovalutati, travisati, obliati. Invero per tutto l’Ottocento non mancò una sorta di leopardismo di maniera, né mancarono ammiratori nel campo della filologia e della filosofia (Nietzsche è di sicuro il più importante), ma ci fu un solo “critico amante” capace di rivelare la straordinaria grandezza del poeta, De Sanctis appunto. Nel Novecento poi il “maledetto gobbo” (così lo chiamava il cattolico liberale marchese Gino Capponi) subì un vero e proprio affronto da Benedetto Croce, per lungo tempo un vero e proprio dittatore del gusto (e del pensiero), che lo rinchiuse nel ruolo di “poeta dell’idillio” e ne fece un “ultimo pastorello d’Arcadia”, incapace per la sua tempra femminea di vivere la “religione della libertà”. Fu proprio Binni con tutta la sua opera critica a salvare Leopardi dalla galera in cui era stato recluso, a liberarne la natura assai più eroica che idillica, a far scoprire a un pubblico nuovo e spesso giovane l’ultimo Leopardi, complesso e modernissimo, a partire da quel La nuova poetica leopardiana, che nel 1947 segna l’avvio di una nuova fase di studi della poesia leopardiana (nello stesso anno, parallelamente, il Leopardi progressivo di Luporini segnala un nuovo approccio alla sua filosofia).
Fu l’amore di Binni a proporre a noi giovani insegnanti di liceo negli anni 70 un Leopardi nuovo, capace di parlare ai giovani che in forme spesso caotiche protestavano contro l’ingiustizia e cercavano un mondo affrancato dalla menzogna e dall’oppressione. Leggevamo e facevamo leggere in parallelo con i Canti e lo Operette morali il saggio binniano sull’insieme della vicenda leopardiana, La protesta di Leopardi; le migliori ragazze e i migliori ragazzi nel poeta e nel suo critico cercavano il senso della propria esistenza dentro la storia e lo svolgevano nei termini di una attiva solidarietà con i propri simili.
Il libro appena pubblicato, L’ultimo periodo della lirica leopardiana, ci racconta ora gli inizi di un grande amore, quello del critico verso il poeta e del poeta verso il critico. Non vi cercheremo la profondità delle pagine più mature di Binni (fino alle ultime Lezioni leopardiane): l’amore si impara e la lunga consuetudine non toglie il fascino della scoperta, piuttosto insegna le vie per farne sempre nuove, di scoperte. E tuttavia cogliere il rapporto nella sua fase germinale, statu nascenti, ci illuminerà su come un grande poeta conquisti con la propria perenne parola un grande lettore di poesia e di come, in un tempo dominato dal clerico-fascismo concordatario e in un ambiente segnato dal moderatismo crociano, un giovane perugino cerchi la libertà sua e altrui, in rapporto con i pensieri e le immagini di un altro giovane che aveva vissuto i tempi altrettanto duri della Restaurazione (e di un Risorgimento incline al compromesso). Questa esperienza e questa lettura forma anche il “compagno” Binni, quello che nell’immediato dopoguerra da apostolo propagandava la repubblica (“l’onesto e retto conversar cittadino" del poeta), quello che da deputato socialista alla Costituente voleva laici la scuola e lo stato, quello che negli ultimi tempi della sua bella vita simpatizzava con il tentativo di rifondare socialismo e comunismo. Antimoderato fino all’ultimo, radicale come l’amato Leopardi.
Pillola del giorno dopo. Un avvertimento. (S.L.L.)
Niente a che vedere con la “pillola abortiva” Ru 486, il cui uso è finalizzato ad evitare, nell’interruzione di gravidanza, raschiamenti o altri interventi invasivi. La contraccezione di emergenza, se utilizzata entro 8-10 ore dopo il rapporto sessuale potenzialmente ingravidante, opera a monte, serve ad impedire il concepimento. La pillola in questione, a quanto pare con effetti collaterali meno pesanti di un analgesico, è nella maggior parte dei paesi europei un farmaco da banco: può cioè essere venduto senza ricetta. In Italia le resistenze dogmatiche e ideologiche di ispirazione vaticana hanno ritardato a lungo la presenza negli scaffali delle farmacie della pillola del giorno dopo e per ottenerla è prevista una ricetta medica. Non si tratta in ogni caso di una ricettazione specialistica, da ginecologi: la contraccezione di emergenza può essere da qualsiasi medico, fosse anche un dentista o un dermatologo. Trattandosi di contraccezione (e non di aborto) non è prevista per questo tipo di ricetta alcuna obiezione di coscienza. Ma in molte realtà la si accampa in maniera surrettizia e furbesca. Nel 2008 i radicali romani documentarono con una telecamera come nella metà degli ospedali romani, in una notte d’estate, non fosse possibile la contraccezione di emergenza grazie alle scelte dei medici di pronto soccorso che si trinceravano dietro un’improbabile obiezione di coscienza. Nessuno ha perseguito disciplinarmente quei medici.
29.12.09
Tre poesie di Juan Ramon Jiménez (da "Diario di un poeta sposato").
L'orizzonte è il tuo corpo.
L'orizzonte è la mia anima.
Raggiungo il tuo limite: ancora sabbia.
Raggiungi il mio limite: ancora acqua.
La lacrima e la stella
si toccarono, e subito
divennero una sola lacrima,
divennero una sola stella.
Rimasi cieco, rimase
cieco d'amore il cielo.
Il mondo fu - nient'altro -
Semplice
Da Diario di un poeta sposato
28.12.09
L'inno dei divoratori (Guido Podrecca 1902)
Su ministri, segretari,
su tornate in fitta banda
che nessuno vi domanda
la fedina criminal!
Fin dai tempi di Tanlongo
ci stringemmo in mutuo patto,
che possiamo col riscatto
ferroviario rinnovar.
Il riscatto ferroviario
il governo non farà
e vivrem dell'onorario
delle sacre Società.
L'adorato capitale
venga ognor tra queste braccia:
No; d'inchieste la minaccia
più nessun deve temer!
Se divisi siam canaglia
figurarsi in compagnia:
Si prepara l'allegria
di un eterno carneval!
Ogni cosa è in mano nostra:
noi disfar, rubar possiamo:
La consegna sia: mangiamo!
Troppo triste è il digiunar!
Il riscatto del succhione
oggi alfin s'inizierà,
ed il popolo zuccone,
sempre buono, pagherà.
Paglia's story. Scacchi e successi di un vescovo mediatico (S.L.L.)
L'orecchio di Garibaldi (da "micropolis" dicembre 2009 - la battaglia delle idee)
Su “Terni magazine”, uno di quei giornali gratuiti che si trovano nelle stazioni dei treni o dei bus, nel numero di ottobre-novembre, ci è capitato di leggere a pagina 18 un articolo dal titolo pretenzioso, L’altra storia dell’Unità d’Italia, a firma Giancarlo Padula.
Sull’autore, facilitati dall’esistenza di un sito personale ufficiale, abbiamo poi ricavato alcune notizie dalla rete. Il Padula, che sottotitola la sua (auto)biografia Dal pugno chiuso alle mani al cielo, si presenta come scrittore e giornalista e racconta come nei curriculum attività, risultati, titoli e onorificenze dagli inizi a Radio Galileo e “Paese sera” fino al suo più recente impegno artistico e religioso.
L’articolo espone, senza alcuna problematicità, una tesi che si ritiene incontrovertibile: “In realtà, l’invasione del Meridione senza dichiarazione di guerra ha provocato un milione di morti e la messa a ferro a fuoco di 62 paesi con rappresaglie processi sommari come durante l’occupazione nazista. A Fenestrelle, fortezza a 200 metri d’altezza in Piemonte, i prigionieri venivano eliminati nella calce viva”. Più sotto parla di ben 500 mila arresti.
La premessa dell’articolo parlava di tanti documenti, anche a livello locale, che farebbero nuova luce sulle vicende risorgimentali. L’unica documentazione citata è un manoscritto inedito di un prelato ottocentesco, tal Chiaranti, di recente pubblicato da don Carlo Romani, parroco della cattedrale di Terni e “ternano autentico”, che denuncia la legge Mancini e i governi del regno della dispersione di un grande patrimonio storico e alla vera e propria distruzione di alcune chiese cittadine, testo probabilmente degno di interesse, ma senza alcun nesso con la tesi di Padula, che se ne rende conto e che perciò cerca di appoggiarsi ad altre fonti genericamente indicate come “moltissimi storici” e “una vasta letteratura”. L’unica vera “autorità” chiamata a sostegno è Antonio Gramsci, con la sua tesi del Risorgimento come conquista regia. Poi si citano le cosiddette “controbiografie” di Garibaldi ove costui risulterebbe essere “tutt’altro che un eroe”. Gli storici, e anche i curiosi, sanno che effettivamente ebbero circolazione dei pamphlet clericali che presentavano il Nizzardo come un mostro, capace di ogni nefandezza, ma hanno notizia dell’amplissima pubblicistica garibaldina quasi agiografica, delle “vite” e dei perfino dei “catechismi” garibaldini, ove il biondo generale è osannato come “Padre della Nazione, figlio del Popolo, Spirito dell’umanità”. A questo proposito Padula segue una regola di moda a Terni che potremmo chiamare “metodo Marcellini”: il nostro giornalista e cantautore ha deciso di affidarsi ciecamente a chi gli racconta una storia che gli piace, meglio ancora se impreziosita con particolari truculenti . Così considera plausibile un Garibaldi “che si lasciò crescere i capelli perché secondo alcune fonti in Sud America violentò una ragazza che gli mozzò l’orecchio con un morso”. Nessuna meraviglia. Chi ritiene verosimile la cifra di un milione di morti nell’unificazione del Sud al Nord d’Italia, quando nella lunga e distruttiva seconda guerra mondiale i morti italiani furono intorno al mezzo milione, può sorbettarsi qualsiasi fola e presentarla come verità assodata. Passo dopo passo, dopo aver riesumato la leggenda dei comunisti mangiatori di bambini, giungerà a un tale livello di autosuggestione che crederà di aver assistito o addirittura partecipato, quando aveva ancora il pugno chiuso e non ancora le mani levate al cielo, a un qualche “orrendo pasto.
La poesia del lunedì. Paul Eluard
Dicembre 1971. Il Nobel a Neruda. "Le nostre stelle sono la lotta e la speranza"
27.12.09
696666...69 Una poesia libertina di Guilaume Apollinaire.
L' articolo della domenica. Ma l'amore no.
Un amico mi dice che la sparata di Berlusconi sul “partito dell’amore” (peraltro non nuova) lo muove al sorriso, gli ricorda i figli dei fiori, le orge nelle case del “libero scambio”, i fasti delle ville di Sardegna. Sorridere è lecito e segno di salute. A me, che nei giorni del Natale ho problemi di digestione, la frase del Cavaliere ha trasmesso inquietudine e sollecitato altri ricordi: Benito Mussolini. Dopo la marcia, non ancora cavaliere, all’“aula sorda e grigia” disse che avrebbe governato “con l’amore, se possibile, con la forza se necessario”.
La frase di Berlusconi viene pronunciata alla fine di una settimana in cui i commenti governativi sul lancio del Duomo o sullo spintone al pastore tedesco sono sempre gli stessi:“Chiunque sia stato, è colpa dei seminatori di odio”. E per impedire la semina qualche “massima autorità”, tipo il Presidente del Senato, non si limita a suggerire di “abbassare i toni”, ma minaccia chi teorizza lo “scontro sociale”. Tutti i fautori della “lotta di classe” rischiano così di trovarsi fuori legge e molti testi, non dico di Marx o di Gramsci, ma di Turati, Nenni o don Milani, potrebbero essere, se non messi al rogo, inseriti in un nuovo “indice dei libri proibiti”.
Nel messaggio del Cav c’è di peggio: la promessa che “tutte” le riforme costituzionali e istituzionali saranno realizzate entro il 2010. Non sapremmo dire che cosa esattamente intenda per “tutte”, ma se si tratta di quelle di cui lui e i suoi ministri di quando in quando blaterano c’è da avere paura. Vediamole. Un presidenzialismo spinto, che non si ferma all’elezione diretta del presidente della Repubblica o del Consiglio (come sembra preferire B.) e pretende di ridurre il Parlamento ad appendice del governo, unificando nelle mani di quest'ultimo potere legislativo ed esecutivo. Una diminuzione di peso e di autonomia di tutti gli organi di controllo o di garanzia, dalla Corte Costituzionale in giù. Un ritorno della magistratura inquirente (e per molti versi anche di quella giudicante) sotto l’autorità del Governo. Un impianto corporativo nelle relazioni sindacali in cui i sindacati firmatari di contratto sono sussunti nel governo della forza lavoro (a prescindere dal consenso dei lavoratori), assegna loro, attraverso gli enti bilaterali, un ruolo nella assegnazione degli ammortizzatori sociali. Un federalismo per taluni versi finto (alla potestà dei poteri locali vengono sottratte quasi tutte le cose importanti, dalla energia alle grandi opere) per altri versi ingiusto ed egoistico (più soldi e più servizi a chi è già più ricco e servito). Da ultima, non per importanza, una forte contrazione delle libertà di espressione, di manifestazione, di organizzazione autonoma (dalla rete alle piazze, ai luoghi di lavoro).
Insomma quel che è in programma per l’anno venturo è la chiusura in senso autoritario della crisi di regime, che, in un contesto smandrappato come quello dell’Italia di oggi, significa un sistema simile a quello della Russia putiniana o di qualche repubblica latino-americana.
Nei confronti dell’opposizione parlamentare, di una Cgil che resiste al diktat di farsi sindacato corporativo e della magistratura organizzata è in opera un vero e proprio ricatto. Se vorranno, potranno accettare l’“amore” offerto da Berlusconi e dialogare sulle riforme nel quadro delle coordinate decise dalla destra con il sostegno di alcune forti componenti organiche dell’edificando regime: la Confindustria, le corporazioni professionali, il Vaticano. In caso contrario la destra ricorrerà alla “forza” dei numeri parlamentari e degli apparati amministrativi e polizieschi.
Il risultato massimo che gli oppositori possono conseguire nel cosiddetto dialogo è la salvaguardia di limitate posizioni di potere. Il ceto dirigente del centrosinistra allargato (Pd più Udc e rutelliani) potrebbe ottenere una sorta di monopolio dell’“opposizione di regime”, conservando libertà di azione ai livelli regionali e locali. La magistratura associata, se accettasse senza proteste di non rompere le uova al potere politico ed economico, potrebbe lucrare il mantenimento dei privilegi economici e della gestione corporativa (pur dentro la separazione delle carriere) di promozioni, trasferimenti e sanzioni disciplinari. Le burocrazie sindacali (anche della Cgil, se si prestasse al grande “inciucio”) potrebbero continuare a godere dei meccanismi che agevolano il loro mantenimento economico. E’ poco; la tentazione di mollare è tuttavia fortissima.
Ci sono in Italia forze, fuori dalle istituzioni più importanti, che possano organizzare una resistenza e (perché no?) una riscossa repubblicana e costituzionale, in grado di aiutare Pd, magistratura e Cgil a non mollare?
Sul piano sociale c’è poco: la crisi macina e divide. Forse si può contare su qualche pezzo pregiato di pubblico impiego. Non molto.
Sul piano strettamente politico i gruppi dipietristi non sembrano in grado di esprimere una coerente opposizione costituzionale (lo dimostra ad esempio il voto sul federalismo) e sembrano interessati a giocare elettoralmente sulle debolezze delle altre opposizioni. Poi ci sono i Radicali, la resistenza più forte sui temi dei diritti di libertà, ma disponibili ad una "grande riforma", purché coerentemente “americana”. I gruppi extraparlamentari dell’estrema sinistra (sia quelli dell’area del comunismo identitario sia quelli confluiti in Sinistra, ecologia e libertà), quel che resta dei Verdi, i residui gruppi socialisti antigovernativi sembrano sottovalutare la gravità della questione democratica, occupati a garantire, in concorrenza tra loro, ai propri già ristretti apparati una qualche limitata sopravvivenza nelle istituzioni regioniali.
Restano associazioni nazionali e locali, tematiche come Libera o Articolo 21, o esplicitamente politiche come le Associazioni per la Sinistra o la Rete della Sinistra, culturali, o ambientaliste. E rimangono in campo quotidiani come “il manifesto” o “il Fatto”, autorevoli per durata o per recente successo e riviste prestigiose come “Micromega”.
Insomma c’è poco. E quel che c’è è mal messo. Ma per partire basta.
Per esempio: è in campo la proposta di Articolo 21 per una grande manifestazione unitaria che abbia come tema seccamente e semplicemente la difesa della Costituzione (comprendendovi una applicazione rigorosa dei suoi principi anche nei campi dove sembrano dimenticati, per esempio verso detenuti, immigrati e poveri). E’ possibile costruirvi intorno una aggregazione, un coordinamento permanente, un Comitato per la salvezza della Repubblica in grado di realizzare non solo un grande raduno, ma anche una controffensiva d'informazione e d’opinione in alto e in basso?
Per prima cosa ci sarebbe da demistificare e respingere l’offensiva dell’"amore".
Una fiaba siciliana raccolta dal Pitrè, che mi capita sovente di citare, racconta di un calzolaio, Tinchione, che ama la moglie alla follia. Per amore la copre di baci: a tavola, al banco di lavoro, per strada. Una notte come in delirio la stringe e bacia, la bacia e la stringe. La donna lo lascia fare, capisce che lo fa per amore; ma ne muore asfissiata. Da qui il detto: “le carezze di Tinchione che ammazzò la moglie a baci”.
L’amore di Berlusconi e dei suoi è della stessa natura: il loro amore per gli Italiani è così espansivo e protettivo da togliere loro l’aria e la libertà. Forse varrà la pena di gridarglierlo su Internet, negli altri media, nelle piazze: “Governi secondo Costituzione, Cavaliere, finché ci riesce. Ha vinto le elezioni e può farlo. Ma, per cortesia, non ci ami. E non pretenda di essere amato”.
26.12.09
La canzone di Piccolino. Un'altra delle poesie per l'infanzia di Guido Gozzano.
La Canzone di Piccolino
(da una leggenda brettone)
di Guido Gozzano
Piccolino, morta mamma,
resta solo con la fiamma
La notte santa. La celebre poesia natalizia di Guido Gozzano.
LA NOTTE SANTA
di Guido Gozzano
- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell'osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.
Il campanile scocca
lentamente le sei.
- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po' di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe
Il campanile scocca
lentamente le sette.
- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.
Il campanile scocca
lentamente le otto.
- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno
d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.
Il campanile scocca
lentamente le nove.
- Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...
Il campanile scocca
lentamente le dieci.
- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell'alta e bassa gente.
Il campanile scocca
le undici lentamente.
La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...
Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.
È nato!
Alleluja! Alleluja!
È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill'anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill'anni s'attese
quest'ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d'un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.
È nato!
Alleluja! Alleluja!