Politica,storia,letteratura e varia umanità. Pezzi vecchi e nuovi d'ogni provenienza. Ogni lunedì una poesia. Borghesi e reazionari, pretonzoli e codini, reggicode e reggisacchi, ruffiani e pecoroni, tremate!
31.1.10
Francesco Bruno. Criminologo o criminale?
Linke. Il ritiro di Oskar il rosso.
L'articolo della domenica. Il sogno di Obama e il buco nero di Guantanamo.
Già prima del 27 gennaio, giorno del tradizionale discorso del Presidente Usa sullo stato dell’Unione, i quotidiani ci hanno dato notizia di una sua nuova, grave difficoltà, se non di un altro sostanziale fallimento.
La task force del Ministero della Giustizia Usa ha, infatti, concluso l’esame dello status di tutti i presunti terroristi detenuti a Guantanamo. Quella prigione nell’isola di Cuba era e resta al di fuori di ogni possibile giustificazione in termini di diritto. La sua originaria illegalità, aggravata dal documentato uso della tortura, era stata, in campagna elettorale, uno dei principali bersagli polemici di Obama. Più volte aveva parlato di una macchia infamante per l’America e si era impegnato a cancellarla entro il primo anno di presidenza. Sul tema aveva tenuto il punto anche dopo le elezioni, promettendo che, in breve tempo, chiarita la posizione di ognuno di loro, quei detenuti sarebbero stati liberati o processati e la prigione extraterritoriale di Guantanamo chiusa per sempre.
Gli esperti della Giustizia statunitense sembrano ora giunti a una conclusione che smentisce la promessa. A loro avviso 110 detenuti potranno essere rilasciati perché non costituiscono un pericolo per la sicurezza, 35 saranno processati da tribunali civili o commissioni militari, ma i rimanenti 47 “non saranno né liberati né processati”, insomma rimarranno nell’attuale extraterritorialità, nel buco nero che li ha risucchiati.
I dirigenti dell’Aclu (l’associazione per le libertà civili nell’Unione) ha duramente protestato. “Così – hanno fatto notare – la chiusura di Guantanamo diventa un atto puramente simbolico, di scarso valore”. “Se ci sono delle prove a carico dei 47 – hanno aggiunto – li si processi”. La risposta della task force è che le prove, raccolte dalla Cia in operazioni di guerra non ortodosse, non reggerebbero al vaglio dei tribunali e che, tuttavia, quei 47 non possono essere rilasciati senza rischio. La parola, adesso, spetta al Consiglio di sicurezza nazionale, prima che il rapporto entri nell’agenda di Obama.
Il tema nel discorso presidenziale è rimasto ai margini, appena sfiorato, sommerso da esigenze che a Obama e ai suoi consiglieri sembravano più urgenti e popolari. Credo che sia un errore gravissimo, al limite dell’irreparabile.
La forza del nuovo presidente consisteva in una sfida a tutto campo. La politica interna (riforma di Wall Street, riforma sanitaria, nuove politiche di sviluppo ecocompatibile come risposta alla crisi) e la politica estera (dialogo al posto della guerra di civiltà, diritto e libertà per tutti, accordo sul clima, nuovi accordi per il disarmo) si tenevano insieme l’una con l’altra. Tutti i temi del discorso di Obama (non ultimo la chiusura di Guantanamo e il ritorno allo stato di diritto) si tenevano l’uno con l’altro e contribuivano a costruire una sorta di positiva utopia che rinverdiva la “nuova frontiera” kennediana e, ancor più, il New Deal di Roosevelt. Oggi Obama sconta un’insoddisfazione che percorre tutto il suo campo dai ceti popolari agli intellettuali liberal. Gli nuoce la prudenza e l’incertezza nel fare più che nel dire, gli nuoce la pratica del rinvio e della mediazione: altri due anni per l’Iraq, un altro per Guantanamo, la riforma sanitaria dimezzata etc. Emblematica è la dichiarata delusione del Nobel Paul Krugman, uno dei liberal che nelle ultime settimane si sono sentiti traditi. Ma, nonostante l’alato discorso del 27, fortemente critico e in parte autocritico, la sua amministrazione sembra continuare a prendere tempo. Su Guantanamo l'inviato speciale del governi Usa a Bruxelles, Daniel Fried, ha detto: "Pensiamo di riuscire a chiuderlo entro la fine del mandato di Obama”. Se va avanti così il buco nero di quella prigione e della realpolitik finirà con l’inghiottire per intero il sogno americano del primo presidente nero, il quale perderà non solo le elezioni di metà mandato e quelle per il suo rinnovo, ma un’occasione storica per rinnovare positivamente la storia dell’America e del mondo.
30.1.10
E' sempre Carnevale! L'ammazzasentenze:"Su Craxi ha ragione Napolitano"
Cara Unità (una lettera al giornale di Ivana Corona da Torino - 23 gennaio 2010)
Fottere e piangere. I crucci del vescovo Martella.
“Sa, credo che Satana, essere subdolo, non occupa mai la prima pagina dei giornali, ma subdolamente si trova quando meno te l’aspetti, ed è trasversale”. Così si apre l’intervista al vescovo di Barletta, Monsignor Luigi Martella, confezionata da Bruno Volpe per il sito cattolico Pontifex.Roma.
Il prelato Intravede caratteristiche luciferine in Marco Travaglio, “con quegli occhi e alcuni editoriali al vetriolo”. Ma è convinto che anche altri non siano santini. Riserva una frecciata anche alla tv d’intrattenimento: “Non offre un panorama esaltante… valuto cosa del tutto sbagliata fare classifiche di rendimento dei santi”.Il suo maggior cruccio è che “regna una stampa, sia televisiva che cartacea, ostinatamente prevenuta nei confronti della Chiesa”. Aggiunge: “Il mondo ha sempre perseguitato Cristo è […], ma la Chiesa non si farà mai condizionare e tirerà avanti per la sua strada, rischiando anche la impopolarità”.
Il curioso è che il vescovo pronuncia queste accorate parole in un tempo in cui nei Tg e nei programmi di intrattenimento imperversano preti e frati dal mattino alla sera. Insomma il vescovo si è convinto che più che l’immagine della Chiesa trionfante cara all’immaginazione barocca, paghi la rappresentazione di una “Chiesa del silenzio”, perseguitata e calunniata. In questo vittimismo ha fatto scuola Berlusconi, che è uno specialista di quello che in Sicilia chiamano “fottere e piangere”. Il Vescovo, però, a differenza del Cavaliere ha fatto voto di castità. Non può fottere. O almeno non può farlo sapere.
28.1.10
Un discorso di Nenni (Franco Fortini 1954)
Come quella, infinite altre sere di domenica dovevano essere passate, mi sembrava, per quella gente, a sentir ripetere le parole di giustizia, speranza e lotta: ed erano state anche lotta e paura e uccisione. Ora, dopo l’ultimo applauso, avrebbero invaso i viali, i tram, i caffè della città, incrociando senza nemmeno avvedersene i gruppi sempre più sparuti delle vecchie donne che escono dalla novena. Quella medesima mattina avevo osservato Nenni mentre parlava, quel suo collo cotto e tutto quadrettato di rughe come l’hanno certi animali tenaci. Avevo ascoltato quel suo modo di parlare, capace di concedere una vibrazione autentica alla frase più prudente e consunta; e anzi, come già altre volte, m’era parso che quell’uomo dovesse compiere uno sforzo su se stesso per ricordarsi d’essere un politico cui non è permesso abbandonarsi alla passione o all’immediatezza, e m’era sembrato di avvertire, insieme ad una impercettibile vena di distacco non inquinata mai di cinismo, la sua malinconia che è di saggezza, di fedeltà a chi fedeltà ti chiede, di quel primo e irripetibile momento del socialismo premarxista che è la nascita a coscienza ed uguaglianza di chi è stato fatto vivere nell’incoscienza e nella diseguaglianza. Ed era come se la voce di Nenni, nelle concitate interrogazioni che il vento della sera faceva riecheggiare tra gli alberi, volesse proteggere quell’indefinibile bene che è il socialismo degli italiani, quello che anch’io pur avevo tante volte bestemmiato, per la sua debolezza e pigrizia, e per il suo conforto di provincia; proteggerlo, o portarlo incolume, dalla forza di sopraffazione che i cervelli elettronici, i grandi piani industriali, le forme estreme del mondo moderno elaborano nelle lontane capitali, in linguaggi indecifrabili.
Che cosa avevamo a fare noi, e le nostre discussioni sui Manoscritti economico-filosofici o su Lukàcs, con le sezioni socialiste, dove il ritratto di Matteotti è come uno stravolto cristo di rimorso e i vecchi ripetono parole monotone davanti al corto bicchiere di vino, e anche i ritratti dei giovani che furono uccisi dieci anni fa per un fazzoletto rosso non somigliano più a quanto rimane in noi di speranza e di coraggio? Le avevamo abbandonate, quelle sezioni; o non c’eravamo mai andati. […]
Per il centenario di Andrea Costa (Imola 1851 - Imola 1910). Il socialista da giovane e l'Inno a Satana di Carducci.
A te, de l'essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso
-
Mentre ne' calici
Il vin scintilla
Sì come l'anima
Ne la pupilla;
-
Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D'amor parole,
-
E corre un fremito
D'imene arcano
Da' monti e palpita
Fecondo il piano;
-
A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
Re del convito.
-
Via l'aspersorio,
Prete, e il tuo metro!
No, prete, Satana
Non torna in dietro!
-
Vedi: la ruggine
Rode a Michele
Il brando mistico,
Ed il fedele
-
Spennato arcangelo
Cade nel vano.
Ghiacciato è il fulmine
A Geova in mano.
-
Meteore pallide,
Pianeti spenti,
Piovono gli angeli
Da i firmamenti.
-
Ne la materia
Che mai non dorme,
Re dei i fenomeni,
Re de le forme,
-
Sol vive Satana.
Ei tien l'impero
Nel lampo tremulo
D'un occhio nero,
-
O ver che languido
Sfugga e resista,
Od acre ed umido
Pròvochi, insista.
-
Brilla de' grappoli
Nel lieto sangue,
Per cui la rapida
Gioia non langue,
-
Che la fuggevole
Vita ristora,
Che il dolor proroga,
Che amor ne incora.
-
Tu spiri, o Satana,
Nel verso mio,
Se dal sen rompemi
Sfidando il dio
-
De' rei pontefici,
De' re cruenti;
E come fulmine
Scuoti le menti.
-
A te, Agramainio,
Adone, Astarte,
E marmi vissero
E tele e carte,
-
Quando le ioniche
Aure serene
Beò la Venere
Anadiomene.
-
A te del Libano
Fremean le piante,
De l'alma Cipride
Risorto amante:
-
A te ferveano
Le danze e i cori,
A te i virginei
Candidi amori,
-
Tra le odorifere
Palme d'Idume,
Dove biancheggiano
Le ciprie spume.
-
Che val se barbaro
Il nazareno
Furor de l'agapi
Dal rito osceno
-
Con sacra fiaccola
I templi t'arse
E i segni argolici
A terra sparse?
-
Te accolse profugo
Tra gli dèi lari
La plebe memore
Ne i casolari.
-
Quindi un femineo
Sen palpitante
Empiendo, fervido
Nume ed amante,
-
La strega pallida
D'eterna cura
Volgi a soccorrere
L'egra natura.
-
Tu a l'occhio immobile
De l'alchimista,
Tu de l'indocile
Mago a la vista,
-
Del chiostro torpido
Oltre i cancelli,
Riveli i fulgidi
Cieli novelli.
-
A la Tebaide
Te ne le cose
Fuggendo, il monaco
Triste s'ascose.
-
O dal tuo tramite
Alma divisa,
Benigno è Satana;
Ecco Eloisa.
-
In van ti maceri
Ne l'aspro sacco:
Il verso ei mormora
Di Maro e Flacco
-
Tra la davidica
Nenia ed il pianto;
E, forme delfiche,
A te da canto,
-
Rosee ne l'orrida
Compagnia nera,
Mena Licoride,
Mena Glicera.
-
Ma d'altre imagini
D'età più bella
Talor si popola
L'insonne cella.
-
Ei, da le pagine
Di Livio, ardenti
Tribuni, consoli,
Turbe frementi
-
Sveglia; e fantastico
D'italo orgoglio
Te spinge, o monaco,
Su 'l Campidoglio.
-
E voi, che il rabido
Rogo non strusse,
Voci fatidiche,
Wicleff ed Husse,
-
A l'aura il vigile
Grido mandate:
S'innova il secolo,
Piena è l'etate.
-
E già già tremano
Mitre e corone:
Dal chiostro brontola
La ribellione,
-
E pugna e prèdica
Sotto la stola
Di fra' Girolamo
Savonarola.
-
Gittò la tonaca
Martin Lutero;
Gitta i tuoi vincoli,
Uman pensiero,
-
E splendi e folgora
Di fiamme cinto;
Materia, inalzati;
Satana ha vinto.
-
Un bello e orribile
Mostro si sferra,
Corre gli oceani,
Corre la terra:
-
Corusco e fumido
Come i vulcani,
I monti supera,
Divora i piani;
-
Sorvola i baratri;
Poi si nasconde
Per antri incogniti,
Per vie profonde;
-
Ed esce; e indomito
Di lido in lido
Come di turbine
Manda il suo grido,
-
Come di turbine
L'alito spande:
Ei passa, o popoli,
Satana il grande.
-
Passa benefico
Di loco in loco
Su l'infrenabile
Carro del foco.
-
Salute, o Satana,
O ribellione,
O forza vindice
De la ragione!
-
Sacri a te salgano
Gl'incensi e i voti!
Hai vinto il Geova
De i sacerdoti.