A molti, me incluso, è sfuggito il decennale della morte di Alessandro Natta. Non al mio amico compagno Eros Barone che mi ha mandato questo ricordo intenso e commosso, alla cui diffusione sono assai contento di dare, tramite questo blog, un piccolo contributo. (S.L.L.)
“L’ultimo segretario del PCI”
Non mi risulta che la stampa abbia dedicato un minimo di attenzione al decimo anniversario della sua morte: i tempi sciatti, immemori e servili in cui viviamo non lo consentono. Era, come Sandro Pertini, ‘malo adsuetus ligur’ (‘un ligure avvezzo ai mali’, secondo il classico emistichio con cui Virgilio scolpisce il carattere fiero e tenace di questa stirpe che vive fra i monti e il mare).
Nel suo testamento, dopo aver dichiarato ancora una volta la sua ferma intenzione di restare, sino all’ultimo, “un illuminista, giacobino e comunista”, dispose che il suo corpo fosse cremato “per far la natta ai vermini”, come si soleva dire, un tempo, in Toscana. Personalmente ricordo di lui, che conobbi a Genova in occasione di un comizio elettorale, la ricca e profonda cultura classica, che sapeva trasfondere in ogni momento della sua appassionata milizia politica e intellettuale, realizzando nelle aule parlamentari così come nelle manifestazioni popolari, nelle assemblee di partito così come nel dialogo diretto con i lavoratori, quella sintesi esemplare di “umanesimo e comunismo” che egli aveva appreso dal suo maestro Concetto Marchesi, dei cui scritti non a caso stese l’introduzione.
Nel 1997 la casa editrice Einaudi pubblicò, con un ritardo imperdonabile, un libro scritto cinquant’anni prima, L’altra Resistenza, in cui egli ricostruisce, quale reduce che sarebbe poi divenuto un protagonista politico dell’Italia repubblicana, il primo episodio della resistenza di massa espressa dal popolo italiano: quello cui dettero vita centinaia di migliaia di militari italiani, deportati in Germania a causa del loro rifiuto di combattere o collaborare con i nazifascisti.
È stato per sua stessa definizione, anche se non storicamente, “l’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano”, quando questo era ancora un ‘partito di gente seria’, insidiato dal tarlo del revisionismo, ma non ancora colpito dalla malattia mortale del trasformismo, che lo avrebbe condotto alla liquidazione.
Ricordo che, quando venne eletto segretario, un noto esponente milanese della cosiddetta sinistra antagonista, dando prova di uno snobismo politico-culturale inversamente proporzionale alla sua conoscenza della storia del movimento comunista, lo paragonò, per il suo aspetto e per il suo stile (indossava sempre completi grigi e portava la cravatta), ad un commesso viaggiatore.
Si spense, dopo aver consumato quantità industriali di sigarette Turmac, il 23 maggio 2001: il suo nome era Alessandro Natta, amava chiamare la sua città (non Imperia ma) Oneglia e aveva dedicato studi approfonditi all’attività politica che svolse in questo centro della riviera ligure, alla fine del ’700, il grande rivoluzionario, ‘illuminista, giacobino e protocomunista’, Filippo Buonarroti. In un altro saggio storico-biografico di notevole spessore Natta ricostruì la vita e l’attività di Giacinto Menotti Serrati, esponente di primo piano del socialismo massimalista italiano. Due figure chiave della storia del comunismo e del socialismo in cui il ‘ligur malo adsuetus’ si riconobbe e da cui attinse ispirazione per il suo personale messaggio di coerenza politica, di rigore ideale e di umana fraternità nella lotta per l’emancipazione degli sfruttati.