10.10.14

Borges, dov'è il tuo Nobel? (Giuseppe Pontiggia)

Pare che Giuseppe Pontiggia, nel 1995, abbandonando per stanchezza non si sa quale corso di scrittura creativa, affidasse a Laura Lepri un dattiloscritto in cui si rifletteva sul lavoro dello scrivere, con molto anticonformismo. Una parte di quelle riflessioni è stata pubblicata nel 2009 in un volume di ricordo curato da Daniela Marcheschi (Le vie dorate: con Giuseppe Pontiggia, MUP),
una parte di quella parte è stata pubblicata come anticipazione in una “Domenica” de “Il sole 24 ore”, di cui riprendo qui un pezzo, invogliato dalla qualità e dalla recente attribuzione – a sorpresa - del Nobel per la letteratura allo scrittore francese Modiano. (S.L.L.)

Mi avevano chiesto, anni fa, un articolo sullo scrittore Jorge Luis Borges. Io avevo molta resistenza a parlarne perché lo consideravo proprio un grande autore, ma c'era in Italia la cosiddetta moda di Borges. E la cosa che andavano ripetendo di lui era che meritava il premio Nobel. Ogni anno c'era questo rito amplificato dai giornali: a Borges non viene dato il Nobel. Questa era considerata un'onta, non si capiva perché avvenisse.
Vi dirò la prima idea che mi era venuta in mente. Tra l'altro, le prime idee sono in genere le più deboli. Come diceva Franz Kafka: «Le prime idee sono sbagliate». Si affronta il problema con un'eredità di luoghi comuni che si affacciano alla memoria prima di ogni altra cosa. Quindi bisogna metterli a distanza, lasciarli decantare.
L'idea che mi era venuta era, appunto banalmente, che a Borges non si consegnava mai il Nobel. Troppo ovvio. La retorica allora mi è venuta in aiuto. Scrissi: «Due sono ogni anno i premi Nobel della letteratura: uno è quello che viene assegnato al vincitore, l'altro è quello che non viene assegnato a Borges».
Ma andiamo a vedere i miei primi appunti. Come avevo cominciato? «Mi sono chiesto più volte da cosa dipenda lo straordinario successo...». Cosa c'è che non va in questo primo tentativo? «Mi sono chiesto...» non va bene perché al lettore non interessa che io mi chieda, «...più volte» è un'aggravante. E poi «...da cosa dipenda lo straordinario successo...». Qui c'è un congiuntivo, tempo che segmenta i lettori. Non per altro, il conduttore di una trasmissione televisiva mi disse: «Io non uso mai il congiuntivo perché mi diminuisce l'ascolto».
Tornando a Borges, la mia prima versione continuava con «...da che cosa dipenda lo straordinario successo...». Se avessi cominciato con una disgrazia, avrei raccolto qualche interesse. Ma «lo straordinario successo» già allontana buona parte dei lettori.
Vediamo un altro attacco che ho scartato: «La tenacia con cui ogni anno l'Accademia Svedese nega ogni anno a Borges...». Qui è una catastrofe perché inizio con «La tenacia...». In Italia è una parola infausta, soprattutto dopo che Vittorio Alfieri si legò alla sedia per imparare i classici.
«...con cui l'Accademia Svedese nega ogni anno...». Qui con una parola poco simpatica (Accademia Svedese) porto il lettore in una problematica che gli è completamente estranea.
Terzo tentativo scartato: «Da almeno 3 lustri sono 2 i premi Nobel della letteratura...». «Lustro» è una parola di derivazione classicistica che sta per 5 anni, e ha una connotazione troppo letteraria. Quindi è come una zaffata di gelido vento neoclassico che allontana incompetenti e competenti. Perché i competenti che sanno il significato di «lustro», capiscono trovarsi di fronte a un discorso di certi scrittori classicheggianti. Quelli che passano le vacanze in Sardegna sotto la tenda e dicono: «Ho trascorso un'estate con due contubernali, sodali di gioventù». Questo tipo di linguaggio piace a certe persone. È lontanissimo dai miei gusti, anche se sono innamorato dell'antichità classica. Però questo linguaggio classicheggiante lo trovo comico...


“Il Sole 24 ore domenica”, 21 giugno 2009    

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