Nel 1976, al tempo del
compromesso storico, le edizioni Controcorrente, di Roberto Massari,
pubblicarono il bollettino della NOI (Nuova Oposizione Italiana),
cioè del gruppo di comunisti antistalinisti che avevano aderito al
movimento di Trotsky, in primis “i tre”, Tresso, Leonetti e
Ravazzoli, espulsi dal PCI nel 1930, per essersi opposti alla
“svolta”. Riprendo qui la prefazione di Alfonso Leonetti.
(S.L.L.)
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Alfonso Leonetti |
Assumendosi l'iniziativa,
la responsabilità e l'onere gravoso di pubblicare il Bollettino
della NOI (Nuova Opposizione Italiana), "Controcorrente"
colma una vecchia lacuna; mette cioè a disposizione degli studiosi e
dei militanti operai uno strumento di conoscenza e di discussione che
da tempo e invano si attendeva.
Vi è stato, è vero,
alcuni anni fa un reprint Feltrinelli del Bollettino. Ma tirato a
pochi esemplari, esso scomparve rapidamente dalla circolazione. Esso
si presentava come l'originale ed era quindi di difficile lettura e
consultazione. Questi limiti sono ora superati con il volume di
"Controcorrente" e si potrà quindi raggiungere una massa
di lettori molto più ampia, interessata a conoscere gli sviluppi di
quei drammatici avvenimenti che portarono prima e dopo la "svolta"
a una grave degenerazione dell'Internazionale Comunista e delle sue
sezioni nazionali.
C'è oggi la tendenza a
parlare di questo periodo e di queste discussioni come di fatti
appartenenti alla "paleontologia" del movimento operaio. Si
è persino coniato il motto di "paleocomunismo" per
giustificare ogni rifiuto a fare i conti con questo passato. Eppure è
arcinoto che il presente è figlio del passato e che non si può
costruire il nostro futuro se non ci rendiamo conto di quello che
siamo, di come siamo usciti dal passato: un passato che incombe su di
noi con le sue ombre e le sue luci.
Una prima curiosità avrà
certamente il lettore sapere quanti eravamo, che tiratura aveva il
Bollettino, che consistenza aveva la nostra opposizione. Chi ragiona
con il metro del presente, resterà forse deluso. I "tre"
non furono mai tre, è vero, ma non fummo mai più di una ventina o
una trentina. Le nostre posizioni erano condivise da altri, come
Teresa Recchia, membro candidato del CC, eletta al Congresso di
Lione, unica donna operaia della direzione; da suo marito, Mario
Bavassano, operaio sellaio dirigente dei "gruppi comunisti
italiani" in Francia; da vecchi comunisti, come Giovanni Boero,
noto dirigente degli operai torinesi.
Particolare e diversa
dalla nostra, ma nettamente contraria alla linea staliniana della
"maggioranza" era pure la posizione di Ignazio Silone. La
storia ha poi mostrato che, a nostra insaputa, le nostre critiche
alla svolta erano condivise in carcere anche da Gramsci e Terracini,
almeno per quanto riguardava l'Italia e la lotta contro il fascismo.
La nostra opposizione - è
evidente - avrebbe avuto un altro peso e un altro sviluppo, nazionale
e internazionale, con il sostegno morale, politico e intellettuale di
uomini come Gramsci e Terracini. E invece dovemmo batterci da soli e
in condizioni difficilissime, ignorando che in carcere Gramsci e
Terracini condividevano le nostre posizioni. Tutte, salvo quella
della nostra andata a Trotsky. Fuori dal carcere e avendo vissuto la
nostra stessa esperienza, essi avrebbero fatto assai probabilmente
come noi.
La vita fuori dal Partito
e per giunta nell'immigrazione non fu facile, né comoda. Di tutti i
tempi, la vita dei gruppi in terra d'esilio - si raccogliessero
questi intorno a Marx ed Engels, al tempo dell'emigrazione tedesca, o
intorno a Lenin, al tempo di quella russa - è stata una vita grama,
fatta di scissioni e di liti senza fine. Anche il nostro piccolo
gruppo non sfuggì a questo destino. Gli è che, malgrado la grande
presenza di Trotsky, tutte le sezioni costituitesi intorno al
Segretariato Internazionale dell'Opposizione, di cui egli era il
capo, vivevano in uno stato di fluidità permanente. Fu così anche
per il nostro gruppo.
Blasco (Tresso), per
incominciare, si stacco da noi subito, per svolgere la sua attività
nella sezione francese, in preda, allora, a lotte interne acutissime.
Ciò spiega perché il suo nome non appaia fra i collaboratori del
Bollettino, di cui però condivideva l'orientamento politico. Questo
era in gran parte redatto da me, Pia Carena e Paolo Ravazzoli.
Quest'ultimo, in seguito - all'epoca del cosiddetto "entrismo"-
abbandonerà l'Opposizione per il Partito socialista di Nenni e di
Tasca. Sarà allora che con Blasco decideremo di far uscire “La
Verità”; ma la pubblicazione di questo giornale non andrà oltre
il secondo numero.
Quali che siano state le
vicende dei "tre" sotto l'aspetto individuale, e quello
della NOI sul piano organizzativo e politico, il Bollettino rimane un
documento da conoscere per gli avvenimenti e le discussioni
dell'epoca.
Inutile dire che la
stampa era fatta da noi medesimi. La tiratura si aggirava intorno
alle duecento-trecento copie. Distribuite ad personam, esse
venivano però spedite in tutto il mondo, in particolare alle
biblioteche con servizi di lettura. Venivano mandate delle copie
anche negli USA e persino a Mosca, oltre che alle redazioni dei vari
giornali antifascisti. Il posto dove era più difficile fare arrivare
delle copie era purtroppo l'Italia, per mancanza di contatti diretti
nel paese. Diverso è il discorso per gli ambienti dell'emigrazione
italiana in Francia. All'epoca delle guerra d'Etiopia, però,
riusciremo a fare arrivare alle truppe italiane un appello alla
fraternizzazione con gli etiopi, tramite dei sudafricani.
Ci fu chi, Claudio
Treves, ad esempio, direttore della “Libertà”, settimanale della
Concentrazione Antifascista, definì "spade di legno"
questi nostri Bollettini, rispetto alle "corazzate" della
stampa staliniana o stalinizzata.
Ed era vero. Ma è anche
vero che contro gli abusi del potere e contro un sistema di falsità
ci si batte come si può: anche con le "spade di legno", se
mancano mezzi più possenti ed efficaci.
le nostre non ci
sembravano però, "spade di legno". Avevamo con noi la
grande tradizione del pensiero e dell'azione marxista, leniniana che
si impersonava nella figura di un grande capo rivoluzionario, quale
Leone Trotsky, cacciato ormai sulla via dell'esilio. Anche il suo
esempio ci dimostrava, del resto, che importante non è l'arma con
cui ci si batte. E la nostra causa - la difesa del comunismo
internazionale - ci dava la certezza della nostra forza. Poverissimi
per i nostri mezzi di esistenza e di lotta, noi pensavamo di superare
tutte le difficoltà,oggettive e soggettive grazie alla nostra
passione rivoluzionaria e comunista.
Guardavamo con ansia ad
ogni passo in avanti del proletariato nel mondo: in Germania, in
primo luogo, dove si combatteva l'ultima battaglia contro l'avvento
di Hitler, dal cui esito dipendeva tanta parte della nostra lotta
contro il fascismo; in Spagna, dove la teoria della rivoluzione
permanente apparve in tutta la sua correttezza storica; in Austria,
negli USA. Aspettavamo anche i primi sintomi di risveglio del
movimento operaio russo, dopo la grande sconfitta rappresentata dalla
vittoria dello stalinismo.
Del nostro caro compagno
Gramsci, invece, cui dovevamo in fondo, e nonostante certi suoi
errati apprezzamenti nei riguardi di Trotsky e dell'Opposizione, il
giusto orientamento che ci aveva portato a schierarci con Trotsky e
l'Opposizione, non sapemmo più nulla fino alla sua morte. Che
incoraggiamento sarebbe stato per noi, sapere che anch'egli dal
carcere si opponeva alla linea del socialfascismo e concordava con
posizioni nostre e di Trotsky riguardo alla Costituente, al periodi
di transizione dal fascismo alla lotta per il potere operaio!
Le maggiori amarezze non
ci venivano, infatti, dalle nostre condizioni di fame, in terra
straniera, né dalla forza del nemico di classe: la borghesia. Ci
venivano invece dalla debolezza del movimento operaio italiano e
internazionale, diretto da cattivi o falsi pastori, cui spetta una
grande responsabilità e nell'avvento di Hitler prima, e nella
sconfitta subita dalla rivoluzione spagnola, poi: premesse entrambe
della Seconda guerra mondiale. È storia recente.
Sbagliando si impara,
dice un vecchio proverbio. L'esempio del riformismo sta a dimostrare
il contrario.
Si impara solo se si paga
di persona e si ha poi la forza di ricominciare da capo. A questo
punto può servire allora l'esperienza della NOI e la lettura del
Bollettino. Dopo le Tesi di Lione questo testo, grazie all'apporto
insostituibile di Trotsky, presente quasi in ogni numero, offre un
contributo notevole di elaborazione marxista in seno al movimento
operaio.
Il sistema capitalista è
nuovamente e scopertamente in crisi. Cerca appoggi nelle direzioni
riformiste del movimento operaio, ma cozza contro la volontà di
lotta delle masse lavoratrici. Chi prevarrà?
Ciò dipende da molti
fattori, ma sopratutto dalla capacità dei partiti operai a stabilire
esatti rapporti di classe, tra politica ed economia, tra la tattica e
la strategia, tra l'immediato e il futuro. Come, con quali parole
d'ordine si orientano e si conquistano le masse a una prospettiva
rivoluzionaria, comunista?
Le condizioni sociali
mutano, ma i principi restano. E sono i principi del marxismo e della
esperienza bolscevica che noi cercammo di difendere con l'ausilio di
Gramsci e l'impegno diretto a fianco di Trotsky e di quello che
all'epoca si chiamava "Movimento per la Quarta Internazionale".
Sono questi i problemi su
cui oggi sono chiamate a confrontarsi le nuove generazioni
rivoluzionarie, nella lotta per la rinascita del comunismo in Unione
Sovietica e per la vittoria del proletariato nel resto del mondo.
In questa lotta la
ripubblicazione del Bollettino è solo un modesto contributo, ma mi
pare valido.
Roma, 24 gennaio 1976