Cuore di siciliano e
occhio d'artista. Un articolo di Renato Guttuso sulla Sicilia dei
Florio, sul mito di donna Franca, su un disegno segreto del pittore
Giovanni Boldini.
Un breve passaggio
accenna al ponte sullo Stretto, di cui allora (1986) si parlava come
realizzazione imminente. Guttuso era favorevole e so che è
favorevole anche Camilleri. Anch'io lo sarei se vedessi la
possibilità e la volontà di farlo davvero e in tempi rapidi, otto o dieci anni. Ma nelle condizioni attuali il progetto del ponte non può
che essere ciò che è sempre stato, un pozzo in cui vanno a morire
ingenti risorse che non producono progresso e sviluppo, con un canale
interno che ne dirotta una parte consistente verso le mafie. (S.L.L.)
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Donna Franca Florio in un ritratto di Giovanni Boldini |
Ho sempre cercato di
capire come e perché le grandi famiglie di coraggiosi imprenditori,
sorte a cavallo tra il XIX secolo e il XX, in Lombardia, in Piemonte,
in Veneto, e cioè gli Agnelli, i Pirelli, i Volpi, i Marzotto,
abbiano continuato a essere «capitane», mantenuto e accresciuto
ricchezza e potere, mentre nel Mezzogiorno, e specie in Sicilia, le
grandi famiglie, il cui potere era esploso più o meno negli stessi
anni, e forse con maggiore impeto e risonanza, esse si siano
dissolte, e ne sia rimasta solo una memoria che sconfina nel mito.
I Florio: un mito, una
leggenda. Eppure tanto prossimo a noi e con il quale sentiamo un
contatto quasi diretto, personale. Mio padre, che morì nel ’40 a
settantacinque anni, li aveva conosciuti al tempo del loro massimo
splendore. Io stesso, negli anni trenta, ho incontrato Vincenzo
Florio (il creatore della famosa «Targa Florio»), ultimo rampollo
della famiglie e incarnazione della decadenza dei Florio.
E avrei anche fatto a
tempo a conoscere la famosissima «Donna Franca», negli anni in cui
si disfaceva la sua bellezza. La casa amica che frequentavo a
Palermo, alla fine degli anni 20, abitata da Guglielmo e Lia
Pasqualino, amici ai quali ancora oggi sono legato da grande affetto,
sorge all'interno di quello spazio che, lungo la via Dante,
dall’Olivuzza fino a viale Regina Margherita, ancora oggi si chiama
«Villa Florio».
Sull’altra riva di via
Dante, fronteggiante la Villa Florio, sorge la Villa Whitaker, una
famiglia inglese che assieme ad altre famiglie inglesi (gli Ingham, i
Woodhouse) aveva già messo piede a Marsala per la lavorazione del
vino. Agli «inglesi», i Florio si collegarono, portando nuovo
slancio imprenditoriale, e dando vita a una delle più grandi imprese
vinicole d’Europa. Ma le fortune degli «inglesi» si svilupparono,
e il lascito Whitaker con la relativa operante fondazione ne è
prova, mentre la fortuna dei Florio si sgretolò totalmente nello
spazio di pochi decenni.
Sciascia scrive che
Franca Florio e il suo mito furono elemento fondamentale del
prestigio della famiglia. Al centro della mondanità europea, ne fu
certamente lo specchio, la punta di diamante; ma fu il peso economico
e sociale della famiglia, la molteplicità delle imprese, lo sfarzo
nel modo di vivere, il rapporto con la cultura del tempo a creare un
potere che marcò un’epoca. Franca fu il blasone, la «stella» dei
Florio; il legame con gli ambienti più esclusivi, con le Corti
europee.
Si dovrebbe indagare più
a fondo sulle ragioni di tanta disparità tra Nord e Sud, ragioni che
vanno assai oltre le facili considerazioni sullo «spagnolismo» dei
siciliani, sul loro senso fastoso e regale di vivere la ricchezza, e
forse anche al di là della «questione meridionale» che pure è, a
mio avviso, alla base di ogni ulteriore riflessione. E forse varrebbe
la pena di guardare al «continente Sicilia», alla sua forza
interiore di espansione, al suo sapersi proiettare oltre gli oceani,
scavalcando ben altri spazi che non quello del piccolo stretto di
Messina, oltre le Alpi, verso Nord e verso Occidente; e come sia
potuto accadere che, attraverso note manovre bancarie, si sia
arrivati alla progressiva esclusione dei Florio dal reparto guida
dell'imprenditoria italiana.
Questo «continente» che
si chiama Sicilia, pare e me lo auguro, sarà collegato allo stivale
da un ponte. Ma già i Florio avevano gettato un ponte sull’Oceano,
attraverso la grande Compagnia di navigazione e una serie di attività
che si espandevano nel mondo, con la cultura che alimentavano.
Non è un caso che
dell’architettura detta «Liberty» a Palermo esistano esempi
altissimi, per merito soprattutto di Ernesto Basile, che a Palermo
esista, a Villa Igea, il «salone Basile» dove ogni pezzo, ogni
maniglia, ogni minimo dettaglio è «disegnato», con spirito
creativo, di bellezza, e non soltanto «funzionale». Non era,
insomma, «design».
Dietro tutto questo ci
sono i Florio, la propulsione, il coraggio, le intuizioni, la
generosità dei Florio. Opportunamente il Banco di Sicilia ha
affidato ad alcuni illustri studiosi e all’Editore Sellerio, che ne
ha curato la splendida veste grafica, la realizzazione di un libro su
«L’età dei Florio».
Io spero che questo libro
abbia la dovuta risonanza e aiuti a guardare alla Sicilia e alle sue
capacità con un occhio più giusto e meno prevenuto. Certamente
gettare Io sguardo su un periodo di eccezionale prosperità e
splendore quale fu «l’età dei Florio», non va disgiunto da una
generale riconsiderazione della Sicilia, delle sue capacità,
imprenditoriali e culturali, nel passato e nel presente.
Vorrei che di Sicilia non
si parlasse, come suole accadere in questi ultimi tempi, come di un
paese sul quale grava un marchio indelebile di infamia, e che
null’altro di questa terra sia da ricordare se non i suoi mali e le
sue vergogne. Anche al tempo dei Florio c’era la mafia, sebbene
fosse una altra mafia, legata a condizioni politiche, sociali e
persino geològiche, obiettive. E certo, benché piaga fosse, e
grave, anche allora, non si era ancora ingrassata sfruttando, oltre
che la situazione regionale antica, i nuovi mali che dilagano nel
mondo moderno.
Ma lo slancio progressivo
della Sicilia (i Florio in prima persona) era riuscito a contare, a
pesare, sulla vita economica e politica della nazione. Questo dato di
fatto trascinava, costringeva a guardare alla Sicilia, alle sue
capacità, al peso della sua cultura. I Verga, i Capuana, i De
Roberto, ma anche i Basile, i Lojacono, e tanti altri contavano nella
vita italiana. Oggi, per esempio, persino il cinquantenario della
morte di Luigi Pirandello viene celebrato tiepidamente, come si
trattasse di un anniversario qualsiasi.
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Perché la Sicilia non
deve essere ricordata e discussa, e la stampa italiana non deve
sentirsi coinvolta e interessata su questioni come queste del nostro
recente passato, come la potenza dei Florio, o la grandezza di
Pirandello, fatti siciliani che non sono mafia, ma gloria della
Sicilia?
Sfogliando il libro in
questione sullo splendore e decadenza di questa straordinaria
famiglia, pensavo a quante cose si potrebbero dire e mettere in luce
e fare conoscere, in positivo, su questa isola-continente che ha
vissuto e vive grandi fermenti, e che fa dono anche di tutto quel che
ha di bene, accanto a ciò che ha di male.
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Quanto sopra annotato,
con orgoglio e amarezza di siciliano, è solo una premessa, e vuole
richiamare l'attenzione sulla scena siciliana, in particolare su come
si configurò tra la seconda metà del XIX secolo e gli inizi del XX.
E prende spunto dal libro che documenta la marcia trionfale della
famiglia Florio che partendo da una modesta drogheria, in Palermo,
diventa tra l'altro promotrice della più grande flotta mercantile
d'Europa.
I Florio possedevano
novantanove navi in mare, il massimo consentito dallo Stato italiano
a una società privata. Ma in uno dei saloni della loro palazzina,
all’Olivuzza, si racconta che Ignazio Florio tenesse un modellino
di bastimento in oro, il cui valore era equivalente al costo di un
bastimento in mare.
La fortuna dei Florio ha
anche direi un senso di ribellione allo stato semicoloniale a cui era
stato ridotto il Mezzogiorno dopo l’unità d'Italia. Ma «Hic
sunt Leones». E «Noi fummo i gattopardi i leoni», come diceva
il Principe di Lampedusa. (A quel tempo, avrebbe potuto dire «siamo»
e non «fummo»). Ex leoni, ma purtuttavia leoni. L’esplosione dei
«Florio» ha anche il senso di un impressionante risveglio del
leone.
II suo potente ruggito si
fa sentire sempre con maggiore potenza, almeno fino agli anni
precedenti la prima guerra mondiale. Si trascina ancora attraverso la
grande gara automobilistica del circuito delle Madonie, la Targa
Florio: la prima competizione automobilistica internazionale, creata
nel 1906 da Vincenzo Fiorio. Ma anche per la personalità eccezionale
di Franca Florio, moglie di Ignazio Florio, donna bellissima, famosa
in tutto il mondo per eleganza fascino e stile.
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Ma il motivo che ha
provocato queste note, che non intendono essere né un commento, né
una recensione, al bellissimo libro di Sellerio, è un disegno a
matita grassa di Giovanni Boldini, autore di un famoso ritratto di
Donna Franca, eseguito a Palermo nel 1900, disegno che trovo
riprodotto nel libro, sulla pagina accanto a quella che riproduce, in
tutta la sua maestà, il grande ritratto di Donna Franca. Un disegno
sconosciuto, credo non soltanto a me, singolare sotto molti aspetti.
Nell’epoca in cui i
giovanotti spiavano le signore che scendevano dalle carrozze, per
vedere il lampo di una caviglia, la donna più famosa ed elegante del
tempo solleva sottane e sottovesti, e scopre le sue gambe inguauinate
di calze nere, fino a metà della coscia, e consente al pittore che
nello stesso periodo la ritraeva in tutta la maestà della persona,
nel lungo vestito da «gran sera», di posare il suo sguardo, di
osservare con intensità di disegnatore e di artista una parte
segreta delle sue bellezze.
Il disegno rileva un
Boldini al pieno della sua abilità, sciolto e veloce d’occhio e di
mano, e, credo, emozionato, come raramente gli deve essere accaduto
nella sua carriera di pittore di belle donne. Come forse mai era
accaduto al suo pennello sempre avvolgente, guizzante, quasi
fischiante sulla tela.
Boldini firma il disegno
e lo data, 10 novembre (1900, data del ritratto di Franca Florio), e
aggiunge «Giornata memorabile». E non stento a crederlo. Nel
disegno ci sono varie cose da notare: la mano di Franca Florio che
sorregge la veste (ma accarezza anche la coscia), e le scarpine
(qualche accento della matita appena più nera). L’intervento,
discreto e opportuno, della gomma da cancellare: sulla mano, e un
tocco su una coscia per accentuare il lucido della calza di seta.
Non è il caso di far
congetture.Il disegno è indizio solo del rapporto particolare che si
era generato tra il pittore e il suo modello. Data la personalità,
il carattere del modello, una donna conscia della sua bellezza e che
vuol mostrare come tale bellezza si riveli anche in una parte del suo
corpo solitamente privata e segreta. Una parte che in pubblico non
era lecito esibire, come lo erano invece le audaci scollature che
scoprivano le spalle e l’inizio dei seni.
Boldini, che all’epoca
del ritratto aveva 58 anni, benché buon conversatore e uomo di
spirito, non era quel che si dice un «bell'uomo». Piccolo di
statura, le sue gambette reggevano una iniziale pinguedine, come può
vedersi in una caricatara di Sam.
Vengono in mente Paolina
Borghese che posa nuda per Antonio Canova, e la duchessa d’Alba che
posa nuda per Goja. Altri tempi, altri costumi! Gli anni che vanno
dalla seconda metà dell’800 alla prima guerra mondiale, sono sotto
il segno del moralismo vittoriano (la Regina Vittoria faceva
ricoprire persino le gambe dei tavoli!). Mentre è noto che l’epoca
napoleonica era stata un’epoca libertina; che Canova era un uomo
bello, mondano, elegante; e Goja un famoso seduttore che morì di
sifilide.
Se mi lascio andare a
queste divagazioni è per sottolineare il tipo di rapporto che si era
creato tra Boldini e la splendida Donna Franca. Un rapporto fondato
sulla «bellezza». Sulla voglia, da parte di Donna Franca, di
rendere partecipe il famoso pittore (e c’è anche, forse, un
pensiero ai posteri) di una parte non conosciuta, né conoscibile,
della sua bellezza. Donna Franca fu una moglie e una madre esemplare.
Su di lei, sul suo comportamento non circolò mai la pur minima
dicerìa. Soltanto questo foglietto di carta — sconosciuto anche ai
suoi più intimi e, ritengo, anche al marito Ignazio, ritrovato tra
le sue carte segrete, così come la richiesta a Boldini da parte del
marito di ridurre una scollatura considerata troppo audace, sono i
segni «anomali» di una vita ineccepibile
Alla base di tutto ciò
sta il patto che Franca Florio aveva fatto con la bellezza. Un patto
che non poteva tradire, ma che non poteva sostenersi che con una vita
privata esemplare. Come seppero tanti suoi adoratori e corteggiatori.
Primo fra tutti D’Annunzio.
“l'Unità”, 11 marzo 1986