Giacomo Buranello, nativo
di Meolo, fu un
giovane militante e dirigente comunista a Sampierdarena di Genova. Impegnato nella lotta di liberazione, fu condannato a morte dai
nazifascisti e fucilato nel marzo 1944 a 23 anni neanche compiuti. Un recente convegno a Sampierdarena
ne ha ricordato la figura assai ricca nonostante la brevissima vita e il compagno Eros Barone vi ha contribuito con una relazione tesa a definirne la formazione
culturale e la scelta di vita. Volentieri la propongo qui (con un
titolo più breve), perché si tratta di un percorso in qualche
modo esemplare e illuminante e perché aiuta a comprendere la dialettica interna
all'antifascismo a Genova e dintorni. (S.L.L.)
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Una rara immagine di Giacomo Buranello |
Se nella storia delle
forze antifasciste il 1938 fu l’anno della passione per la Spagna
repubblicana, della Cecoslovacchia, della conferenza di Monaco e
della fine del Fronte Popolare di Léon Blum, nonché della
promulgazione, in Italia, della legislazione razziale, nella storia
dell’amicizia tra quattro giovani, che si chiamavano Giacomo
Buranello, Walter Fillak, Ottavio Galeazzo e Orfeo Lazzaretti, il
1938 fu l’anno dei libri e della nascita delle rispettive
biblioteche.
Buranello cominciò a
scrivere il suo “Diario” nello stesso anno, facendone lo specchio
fedele, da un lato, del confronto con gli amici e con la madre e,
dall’altro, delle sue personali riflessioni sui libri che leggeva.
Al centro di tali riflessioni vi era il problema delle scelte con cui
si proponeva di dare un senso alla propria vita. «Voglio stabilire
che cosa dev’essere un comunista, come deve comportarsi nella
vita», diceva sovente ad Orfeo. Colpisce tuttavia il fatto che
Buranello, studente di 15/16 anni, avesse già una propria formazione
mentale che lo portava ad allargare la visione strettamente
scolastica della conoscenza, a renderla vasta e complessa, ricercando
in essa i motivi più universali. Quell’anno - il 1938 - fu topico
anche perché le parole “comunismo” e “classe” acquistarono
per questi giovani un significato preciso grazie alla convinzione di
appartenere ad una realtà molto più ampia di un gruppo di amici:
una realtà per designare la quale Buranello usava un’espressione
tratta del lessico risorgimentale: “compagni di fede”.
Comunque fosse, erano
ragazzi ricchi di intelligenza, di passione e di vita, e la fine
dell’anno scolastico venne festeggiata, il 25 giugno 1938, con una
gita al monte Leco. Nel “Diario” Buranello racconta che essa fu
l’occasione per discutere su tutto: i fiori, i profumi, i «paesaggi
resi più poetici dalla tenue nebbia», la religione. Nel gruppo –
rilevò Buranello – erano rappresentate tutte le “classi”,
dall’operaio, cioè lui stesso, considerando la sua origine
famigliare, al ceto impiegatizio personificato da Orfeo Lazzeretti,
dalle professioni liberali (Walter Fillak era figlio di un ingegnere)
a Galeazzo, figlio per l’appunto di piccoli commercianti. Che la
società fosse divisa in classi antagoniste questi giovani l’avevano
imparato grazie ai libri che nei mesi precedenti avevano cercato,
letto e discusso. A quella domanda sul senso della vita Buranello si
era impegnato a rispondere cercando i propri modelli nei protagonisti
dell’epopea risorgimentale e sviluppando analisi spietate, di
carattere critico e autocritico, su sé stesso, sui suoi amici, sugli
insegnanti e sul preside del liceo scientifico “Cassini”, dove si
era diplomato con voti lusinghieri. L’influenza di Antonino Rossi,
maestro di scuola elementare e fervente mazziniano di origine
calabrese, aveva radicato nel suo animo l’insegnamento più
importante del grande patriota genovese: il pensiero e l’azione
devono fare tutt’uno e la politica è una missione. Tuttavia, come
accade alle personalità caratterizzate, come quella di Buranello, da
un’intelligenza straordinaria, per quanto forte potesse essere il
prestigio educativo del suo maestro, altrettanto forte era lo spirito
critico del suo allievo, se è vero, come è vero, quanto racconta lo
stesso Rossi: «Un giorno, spiegando la geografia, dissi che
l’equatore divide la Terra in due emisferi e aggiunsi la sua
misura. Egli [cioè Buranello] mi domandò come avevano fatto a
misurarlo. Gli risposi che era tardi e che avrei continuato la stessa
lezione l’indomani». Tornando al periodo adolescenziale del liceo,
per gli altri studenti del “Cassini” Giacomo, Walter, Ottavio e
Orfeo erano “quelli di Sampierdarena”. Così, se nel centro di
Genova i loro punti di riferimento erano la libreria Tolozzi e i
banchetti dei libri usati di piazza Banchi, generatori delle
rispettive biblioteche in case che mai le avevano possedute (eccezion
fatta per quella di Fillak), a Sampierdarena, quartiere operaio per
eccellenza, la catena degli scambi dei libri e delle appassionate
discussioni sugli stessi trovava uno snodo fondamentale nella cucina
di Domenica Bondi, la madre di Giacomo, il nume indigete della
famiglia Buranello. In quella cucina umile e disadorna, senza che
protagonisti e comprimari se ne rendessero conto, fu allestita una
sorta di versione genovese del romanzo “La madre”, capolavoro
letterario di Massimo Gorki. Domenica, donna dalla forte personalità,
aveva sviluppato un rapporto talmente simbiotico con il figlio, che
era giunta ad immedesimarsi nella parabola scolastica, ideologica e
politica di Giacomo, studiando, imparando e crescendo con lui.
Dal canto suo, Buranello
traeva dalle sue letture i materiali e le idee di un progetto sempre
più preciso, la cui genesi era stata per lui, così come per i suoi
amici, del tutto endogena (l’incontro con il Partito comunista,
rappresentato dal ferroviere Emilio Guerra, avverrà
successivamente). Il progetto consisteva in questo: guidare la lotta
della classe operaia contro il potere borghese e capitalistico
rappresentato dal fascismo. Il regime mussoliniano - scriveva nel
“Diario”5 il 13 settembre 1938 - era una «enorme macchina
fondata sulla paura di perdere il posto»: una macchina che si
sarebbe «frantumata inevitabilmente» solo se qualcuno avesse alzato
la testa e avesse dato l’esempio. “Dare l’esempio”: questo
era il compito che Giacomo aveva scelto per sé e per assolvere il
quale si esercitava a temprare il suo carattere. Accadde pertanto che
nella cucina di Domenica Bondi in Buranello prendessero corpo e
forma, attraverso le discussioni e le letture di brani delle loro
opere, Jack London, Émile Zola, Antonio Labriola, Benedetto Croce,
Charles Darwin, Niccolò Machiavelli, William Shakespeare, Alessandro
Manzoni, Domenico Settembrini, Francesco De Sanctis, Anatole France e
molti altri autori, fra i quali acquisteranno una crescente
importanza, insieme con le edizioni prefasciste, le edizioni
clandestine dei testi di Marx, Engels, Lenin e Stalin, tutti
destinati ad imprimere un segno profondo nella formazione di
Buranello e del nucleo studentesco comunista di Sampierdarena che
gravitava attorno a lui. «Non ricordo che ci siano state proposte
esperienze o che vi siano stati modelli risultati poi determinanti
per la nostra formazione politica e culturale. Tutto era affidato
all’amore per le letture.» Nella sua testimonianza, resa durante
gli anni Novanta del secolo scorso, Ottavio Galeazzo confermerà ciò
che con grande stupore aveva già scoperto, su incarico dell’OVRA,
Alfredo Ingrassia, commissario dell’Ufficio politico della Questura
di Genova, il quale aveva condotto le indagini sul “gruppo
sovversivo degli studenti”: quelle indagini che, l’11 ottobre
1942, avevano portato all’arresto dello studente di ingegneria e
sottotenente di complemento presso il 15º Reggimento Genio, Giacomo
Buranello, di anni 21, figlio di Domenica Bondi, casalinga, e di
Giuseppe Buranello, operaio Ansaldo. La scoperta nasceva dalla
domanda che il commissario, incredulo e quasi esterrefatto, si era
dovuto porre a mano a mano che riannodava tra di loro i molteplici
fili della sua inchiesta: come era stato possibile che degli
sbandati, con scarsi contatti tra loro, fossero stati capaci in tempi
brevissimi di «riallacciare le fila del vecchio movimento comunista
per ricostituirlo in una efficiente organizzazione»?
Fu durante il servizio
militare prestato nel regio esercito a Chiavari, nel 1942, che
Buranello diventò il capo. Ciò significava che era giunto il
momento che egli aveva sempre intensamente voluto e ricercato: il
momento di “tradurre i pensieri in azione”, per dirla con
Mazzini, o di passare dalle “armi della critica alla critica delle
armi”, per dirla con Marx, o, per ridare la parola a Buranello, «il
momento di fare sul serio», laddove “fare sul serio” significava
costituire il partito, l’organizzazione di partito». A questo
proposito, vi è un aneddoto che illustra bene la determinazione e la
sicurezza che Buranello aveva progressivamente maturato grazie alla
sua formazione politica e ideale. L’aneddoto, che ci mostra i due
amici e compagni nel corso del trasferimento da un carcere ad un
altro carcere, è riferito ancora una volta da Ottavio Galeazzo. «Sul
treno che ci portava ad Apuania successe che un brigadiere dei
carabinieri, di quelli che si piccano un po’ di essere aperti,
venne lì nel vagone e cominciò a chiacchierare. A me, che ero
incatenato a Giacomo e testimone del colloquio, fece l’impressione
di essere un uomo discretamente preparato. Uno dei carabinieri che
aveva sentito dei brani di questa conversazione, quando il brigadiere
andò via, venne da noi e disse: “Eh, ha studiato il brigadiere…”.
E Giacomo: “Sì, ma non abbastanza”».
Date queste premesse, non
è difficile comprendere che era praticamente inevitabile che si
aprisse uno scontro, che non fu solo di carattere organizzativo, ma
anche di carattere politico e strategico, fra il nucleo studentesco
comunista di Buranello, sorto in modo autonomo, e le cellule
clandestine del partito comunista, i cui rappresentanti storici
erano, oltre ad Arturo Dellepiane, Emilio Guerra e Raffaele Paoletti.
Per misurare la differenza tra le due compagini, è sufficiente
considerare che il progetto di Buranello muoveva dall’assunto, dato
per ovvio, che la guerra avrebbe segnato la fine del fascismo e dato
origine in tempi brevi ad una situazione rivoluzionaria. Se la
premessa era questa, la conseguenza che ne derivava logicamente era
che occorreva creare subito una organizzazione di tipo militare. Nel
giugno del 1942 Buranello scrive: «Premettiamo che la nostra
organizzazione illegale è costruita per l’azione rivoluzionaria,
violenta, militare. Perciò dev’essere un’organizzazione
dinamica, un esercito di giovani pronti alla lotta. L’esperienza ci
insegna che i vecchi comunisti immobilizzati dalla sorveglianza della
polizia politica, o accasciati dalle persecuzioni, o demoralizzati e
arrugginiti nell’inazione forzata, o fossilizzati nella vecchia
mentalità del partito legale non potrebbero svolgere una attività
adeguata nell’organizzazione illegale che si sta formando. Essi
perciò devono raggrupparsi in margine all’organizzazione illegale,
uniformarsi alle direttive di questa, aiutarla nella sua opera,
svolgere una attiva propaganda individuale, cercare di formare dei
nuovi comunisti, segnalarli ai compagni più giovani, dare il proprio
contributo finanziario al Partito, ma non partecipare al lavoro
illegale entro le organizzazioni del partito. Al momento dell’azione,
quando la battaglia sarà in corso, quando attaccheremo direttamente
e apertamente la polizia fascista, i vecchi comunisti potranno
intervenire a fianco dei giovani e dare a questi l’aiuto prezioso
della loro esperienza e della loro saggezza». Si potrebbe essere
indotti a pensare, sulla base di un’analogia grossolana con
l’attualità politica, che Buranello intendesse ‘rottamare’ la
vecchia organizzazione di partito con una nuova organizzazione, ma in
realtà non era in gioco un semplice avvicendamento anagrafico, ma un
progetto rivoluzionario e un’egemonia ideologica. «Un uomo -
chiariva Buranello – può essere giovane a cinquant’anni e
vecchio a quaranta. Un uomo è giovane quando vuole esserlo». Il suo
progetto evocava i requisiti anagrafici per escludere dalla nuova
organizzazione il settore ‘storico’ dei militanti comunisti, ma
era pronta ad accogliere quanti, al di là dell’età, si fossero
pronunciati a favore della linea degli ‘studenti’, cioè della
linea rivoluzionaria di Buranello. La divaricazione politica e
strategica era evidente e il suggello fu posto con la gragnola di
domande retoriche punteggianti la “Circolare sull’organizzazione”
redatta da Buranello all’inizio dell’estate del 1942. Perché
cercare complicate alleanze quando bastava rendersi «coscienti (…)
di queste forze che sono in noi (…)» e usarle «con intelligenza
rivoluzionaria» per l’unico scopo praticabile: «la dittatura del
proletariato (…) la Repubblica dei Consigli di operai, contadini e
soldati»? Per conseguire questo scopo, occorreva una organizzazione
«composta esclusivamente di comunisti, diretta esclusivamente da
comunisti, non inceppata da elementi estranei che all’ultimo
momento paralizzino l’azione e compromettano le vittorie ottenute».
Il momento favorevole era finalmente arrivato, anzi – prevedeva
leninisticamente Buranello - «non ci sarà mai una occasione
migliore». In conclusione, se Ruggero Zangrandi ci ha descritto “il
lungo viaggio attraverso il fascismo” compiuto da una parte della
sua generazione, si può dire che lo “studente Buranello” e i
suoi compagni, che pure appartenevano alla stessa generazione,
furono, in un ambiente proletario e popolare come quello del Ponente
genovese, i protagonisti di un “breve viaggio attraverso il
fascismo” che sfociò ben presto nell’adesione al comunismo e nel
rifiuto globale e radicale del fascismo e delle sue mistificazioni.
L’adesione al comunismo era nata dall’amore per la realtà, per
la cultura e per l’umanità ed era maturata come espressione
intellettuale e morale di un piccolo gruppo. Gli ‘studenti’
avevano infatti ricercato sia i comunisti che il comunismo, poiché
ai loro occhi entrambi apparivano come la manifestazione concreta e
più alta di quei sentimenti e di quegli ideali. Se il comunismo era
stato scoperto sui libri e aveva preso forma attraverso la
costruzione, faticosa non meno che appassionata, delle loro
biblioteche, i comunisti avevano rivelato non solo il volto umano e
cordiale della fraternità, ma anche quello settario e rinunciatario
degli sconfitti. Ecco perché Buranello scoprì l’antidoto più
potente a questi limiti e a queste deviazioni nella forma che al
comunismo era stata data dal leninismo. La teoria del materialismo
storico e la soggettività politica del ‘partito’ si saldarono
così senza residui, nella sua personalità intellettuale, con
l’ispirazione etica di stampo mazziniano e con la critica spietata
della mancanza di spirito rivoluzionario da lui ravvisata in alcuni
dei suoi compagni di cospirazione. Il “breve viaggio attraverso il
fascismo” aveva dato luogo all’esperienza dell’antifascismo
militante, sorta in modo del tutto autonomo, e quest’ultimo avrebbe
costituito il prologo di quella lotta armata contro il fascismo che
solo nella classe operaia poteva trovare la sua naturale avanguardia
e nel socialismo il suo logico compimento, se si voleva evitare che,
come disse Antonio Labriola del Risorgimento, anche la Resistenza
restasse «una rivoluzione democratica non compiuta che ha lasciato
il paese nella corruttela e nel pericolo permanente».
Dicembre 2014