La storia della
stregoneria e della caccia alle streghe affascina e attrae numerosi
lettori in Italia, pur non essendo molto praticata a livello
scientifico nel nostro paese: nel mondo tedesco come in quello
anglosassone le cose vanno diversamente e l’aggiornamento
storiografico appare più avanzato. Da noi, per esempio, continua a
circolare l’idea che la stregoneria sia un fenomeno scaturito
dall’ignoranza dell’oscuro medioevo e non, com’è più
corretto, dalla piena età moderna. Lo si evince anche dalla
presentazione proposta per due opere recenti che pure presentano
spunti di notevole interesse.
«Mentre in Occidente
fiorivano Umanesimo e Rinascimento, nei Balcani e nei tenitori
dell’Impero bizantino ormai al tramonto si diffondeva il timore dei
morti che uscivano dai sepolcri per perseguitare i vivi»: così
comincia la quarta di copertina di Prima di Dracula. Archeologia
del vampiro di Tommaso Braccini (Il Mulino 2011, pp. 270, euro
18). «Un ricco affresco di microstoria, che illustra le
contraddizioni tra il sorgere del pensiero moderno e le superstizioni
medievali», commenta invece il «New Yorker» a proposito del libro
dello statunitense Thomas Willard Robisheaux, ora tradotto in
italiano con il titolo L'ultima strega (Bruno Mondadori 2011,
pp. 346, euro 28).
Difficile pensare ad
affermazioni più fuorvianti: proprio durante il fiorire del
Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le
streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le
condanne più gravi e numerose; mentre intellettuali di prestigio,
come il teorico dello stato assoluto Jean Bodin, scrivevano opere a
sostegno della teologia «moderna» in tema di stregoneria: quella
cioè nella quale si affermava la realtà del volo magico e del
Sabba, dove invece la teologia medievale si era sempre mostrata
estremamente scettica e prudente.
Uno sviluppo in tre
fasi
In linea generale, per la
caccia alle streghe si può schematicamente delineare uno sviluppo in
tre fasi differenti: un diffondersi sporadico di processi e condanne
capitali che terminò intorno al 1550-1560; un incremento notevole
tra quest’epoca e il 1660, fase che costituì l’apice della
caccia in Europa; dopo questa data e fino alla metà del XVIII secolo
si ebbe una diminuzione generalizzata dei processi, ma anche il loro
arrivo in aree precedentemente risparmiate. Se è ovviamente
impossibile una stima precisa del numero di vittime in Europa, ormai
la storiografia è in grado di propone dati probabili: nell’intero
periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla
pena capitale oscillano tra le 40mila e le 60mila, nonostante la
pubblicistica in materia dia spesso cifre palesamente assurde, che
arrivano addirittura a parlare di milioni di vittime.
Lo studio di Robisheaux
prende in considerazione la regione del Langenburg e propone
un’analisi dettagliata, condotta alla luce della ricca
documentazione processuale, dell’ultimo processo celebratovi e
terminato nel 1672 con due condanne al rogo. Siamo dunque all’inizio
della fase calante, ma in un’area, quella tedesca del Sacro Romano
Impero, comprendente territori cattolici quanto protestanti, in cui
la caccia alle streghe mietè il numero maggiore di vittime. È una
disparità che colpiva anche i contemporanei, se il gesuita Friedrich
Spee poteva scrivere, nella serrata critica alle modalità dei
processi tedeschi espressa nella Cautio criminalis del 1631, che la
Germania sembrava essere «tot sagarum mater»: «madre di così
tante streghe». Circa la metà delle condanne capitali europee
furono comminate in Germania.
Sono soprattutto due i
fattori che pesarono maggiormente sulla storia della stregoneria
nella Germania del Sacro Romano Impero: la Riforma - con il
conseguente conflitto tra cattolici e protestanti - e l’estrema
frammentazione del potere politico. Entrambe queste situazioni,
seppur in modo diverso, finirono per incrementare e aggravare il
fenomeno. Lutero e Calvino non sembrano aver dato molto peso alla
stregoneria e nessuno dei due riformatori elaborò una forma di
demonologia innovativa, ma il Diavolo esercitava a loro avviso un
potere reale nel mondo; i riformatori facevano dunque dell’impegno
contro Satana quasi un’ossessione.
È indubbio che, essendo
le streghe emissarie del diavolo e complici nei suoi misfatti, nel
mondo riformato si ponevano le premesse per una «caccia» intensa e
determinata. Inoltre la frequente compresenza in molte aree di gruppi
cattolici e riformati creava gravi situazioni di tensione, e l’accusa
di stregoneria poteva esser la conseguenza - cosciente o meno - di
tali situazioni, spingendo membri di una comunità a scagliare accuse
contro gli esponenti dell’altra.
L'influenza del
clima
Tuttavia, non è il caso
di stabilire un nesso troppo rigido tra l’affermarsi della Riforma,
con i conseguenti conflitti, e l’incremento della caccia alle
streghe. Per esempio, nella Germania meridionale cattolica il
fenomeno fu più intenso rispetto all’area settentrionale
protestante; bisogna quindi considerare il secondo fattore, e cioè
l’estrema frammentazione politico-amministrativa, per l’appunto
più presente a Sud che a Nord.
La scarsa concentrazione
del potere ne causava la debolezza, e questo faceva sì che ogni
città potesse comportarsi verso il problema con un certo grado di
autonomia, e soprattutto con la quasi assoluta certezza di non dover
poi render conto del proprio operato, dando luogo ad abusi e all’uso
di procedure di coercizione e di tortura sovente smodate, tali da non
consentire altro se non confessioni e denunce a catena. Inoltre, un
incremento dei processi si avverte in occasione di peggioramenti
climatici e cattivi raccolti o carestie come quelli della cosiddetta
«piccola era glaciale» del Seicento: per esempio in molte aree in
cui la viticultura era un elemento importante per l’economia, ma
era allo stesso tempo praticata in condizioni di difficoltà
climatica, grandinate e gelate improvvise portavano alla ricerca di
capri espiatori, e streghe e stregoni accusati di magia tempestaria
ne facevano le spese.
Il caso studiato da
Robisheaux presenta molte di queste caratteristiche standard: la
crisi economica che colpiva l’area, un uso della coercizione fisica
molto pesante, la marginalità dell’imputata emergono quali fattori
essenziali per comprendere come si potesse passare da un’accusa
iniziale di avvelenamento alla costruzione di un’accusa di
stregoneria con il suo corollario di patti con Satana e di volo
magico.
Il paragone tra la
Germania e la Spagna è istruttivo: nella penisola iberica, vittima
di ima secolare «leggenda nera», si ebbe in realtà un uso
giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto
basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale; i tribunali
erano infatti restii a comminare la pena capitale, preferendo
generalmente condanne più blande. Inoltre, le accuse erano più
simili a quelle tradizionali di magia, piuttosto che di stregoneria
per così dire «moderna», doè corredata di patti e omaggi
demoniaci, volo magico, infanticidi e via dicendo.
Nel 1526 un concilio
svoltosi a Granada dichiarò impossibile il volo magico e affermò
che secondo la maggior parte dei giuristi le streghe non esistono.
Quando a Barcellona, nel 1549, l’inquisizione locale e le autorità
civili condannarono al rogo alcune streghe, la Suprema (ossia il
supremo concilio dell’Inquisizione, che dipendeva dalla Corona)
reagì punendo i giudici. La Catalogna, tuttavia, in diversi periodi
mostrò un’attitudine indipendente e pronunciò condanne alla pena
capitale: una recrudescenza si ebbe tra 1618 e 1622, in concomitanza
con una sequenza di cattivi raccolti. Quante furono le streghe
condannate a morte in Spagna? Non è possibile una stima complessiva;
più di cento in Catalogna nei soli anni 1610-1625, ma venti-trenta
sotto l’Inquisizione negli oltre cento tra 1498 e 1610. In totale
le condanne a morte dovrebbero aggirarsi intorno alle 300.
Linciaggi e ordalie
La presenza di
un’autorità centralizzata e in grado di incidere sulle realtà
locali sembra essere stata spesso, come si è detto, il deterrente al
proliferare di persecuzioni antistregoniche. Tribunali e comunità
locali chiedevano sovente a gran voce la messa a morte di streghe e
stregoni, e quando l’autorità si mostrava tenera, succedeva che
provvedessero da soli.
In Danimarca, dopo un
periodo di tumulti politici e di guerre civili, a partire dal 1540
diversi testimoni danno notizia di violente persecuzioni organizzate
dai contadini, impegnati a cacciare le streghe «come se fossero
lupi», secondo le parole di un consigliere del sovrano; nello
Jutland, nel solo anno 1543, i contadini linciarono 52 donne per la
stessa ragione; tre anni dopo, in seguito ad altri casi, il sovrano
decise di intervenire per porre fine alla mattanza. Quando il
Parlamento di Parigi rifiutava di approvare le condanne a morte,
capitava che nelle campagne i linciaggi ponessero fine al dibattito.
Nell’Olanda che dal 1608 non celebrava più processi per
stregoneria, linciaggi di streghe sono segnalati persino nelle città.
Nell’Ungheria sotto il dominio ottomano, che non prevedeva processi
per stregoneria, i linciaggi ovviavano al problema. Senza contare che
alcune pratiche come l’ordalia, comune in diverse regioni europee,
che consisteva nell’immergere le presunte streghe nell’acqua (se
colpevoli, l’elemento le avrebbe rifiutate, se innocenti sarebbero
rimaste sott’acqua), erano generalmente ritenute illegali dalle
autorità, ma attestate a livello popolare.
Sete di sangue
Le credenze popolari
hanno dunque avuto un ruolo importante, non solo per quanto concerne
le persecuzioni, ma anche perché ad esse ci si deve volgere per
comprendere alcune fra le tradizioni che tra tardo medioevo ed età
moderna confluirono nell’elaborazione del fenomeno stregonico. È a
queste che guarda Prima di Dracula di Tommaso Braccini: più
che di una Archeologia del vampiro, però, si tratta di un
ricco assemblaggio di notizie inerenti un tema molto più ampio,
quello dei revenants, ossia dei nonmorti, che si intreccia
spesso con la questione stregonica.
C’è infatti un curioso
errore di logica nel chiamare «vampiri» tutte queste creature, dal
momento che, come lo stesso Braccini nota, a esse manca la
caratteristica fondamentale del vampiro «letterario»: l’ematofagia,
che deriva proprio da una commistione con le tradizioni stregoniche,
nelle quali il dissanguamento delle vittime e in particolar modo dei
bambini era invece tratto comune. Ulteriore conferma di quanto il
tema della stregoneria sia stato importante nell’immaginario e
nella storia europei.
“il manifesto”, 31
dicembre 2011