23.8.09

Per Dubcek e la Primavera di Praga (S.L.L.)


Nell'anniversario dell'invasione. Il passato che non passa.

1.
L’altro ieri, il 21 agosto, ricorreva l’anniversario dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia che nel 1968 stroncò la primavera di Praga. Finiva così il più coraggioso tentativo di autoriforma del cosiddetto “socialismo reale”. Ho visto un telegiornale importante, ho sfogliato un paio di giornali (qui dove mi trovo, come in mezza Sicilia, “il manifesto” non arriva), ma non ho trovato il ricordo dell’evento. Forse dipende dalla cifra che non è tonda (gli anni trascorsi sono 41), ma credo di indovinare una ragione più profonda. Quella vicenda, infatti, non può essere letta come una pagina della “guerra fredda”, dello scontro tra blocco sovietico e Occidente, ma è una tragedia tutta interna al movimento operaio, socialista e comunista, e colpì soprattutto coloro che lottavano per superare il capitalismo e le sue ingiustizie. Non può stupire che i vincitori (che mi ostino a ritenere provvisori), non tanto della guerra fredda quanto di una secolare lotta di classe, non abbiano alcun interesse a riflettere su quella pagina di storia. La loro presunzione è di aver sepolto insieme all’Urss ogni possibile alternativa di classe e di sistema.

2.
L’anniversario me lo sono celebrato da solo, occupando la mattinata campagnola a leggere l’Autobiografia di un rivoluzionario di Alexander Dubcek che “l’Unità” di Padellaro ha ristampato l'anno scorso. Mi sono soffermato sul resoconto del 68 praghese.
Dubcek è narratore senza fronzoli, di quelli che registrano detti e fatti lasciando al lettore la gioia o il fastidio di ricostruirne il senso e ricavarne la “morale”; sono perciò rarissime le intrusioni soggettive. In uno di questi commenti, solenni perché eccezionali, Dubcek così si esprime: “Come moltissimi altri rifletto spesso sulle cause che hanno portato l’Unione Sovietica al collasso. Una potenza così gigantesca come è potuta rovinare con tanta rapidità e fino alle fondamenta? In proposito sono state avanzate non poche sagge teorie, che, a mio parere, dovrebbero avere tutte, alla base, una spiegazione elementare: il sistema inibiva i cambiamenti, vegetava su una dottrina morta, impediva il ricambio naturale dei dirigenti. Alla fine, quando tentarono di correre ai ripari era ormai troppo tardi per qualsiasi rimedio”.
La modestia impedisce a Dubcek di andare oltre, ma le sue parole possono orientare una riflessione che riguarda da vicino anche noi superstiti occidentali del grande movimento che Dubcek tentò invano di rinnovare e rilanciare. Il fatto è che con l’Urss è collassato anche il Pci, il partito comunista che più di ogni altro in Europa aveva marcato la sua autonomia dal Pcus, non limitandosi a cercare una propria via al socialismo, ma riprovando e condannando il sistema sovietico in momenti cruciali e in aspetti essenziali fino a quello che fu definito lo strappo. E ancor più sorprende che, dopo il crollo dell’Urss, sia entrata in crisi in tutta Europa l’altra grande famiglia politica del movimento operaio, quella socialdemocratica, che a buon diritto poteva dichiararsi vincitrice nella lunga competizione con il comunismo.

3.
Socialismo e comunismo non sono scaturiti dalla testa di Marx o di altri teorici e politici, ma dalle lotte degli operai che nel loro agitarsi, rivendicare, organizzarsi, mettevano davanti agli occhi più acuti un grande potenziale di trasformazione sociale. Il socialismo e il comunismo moderni hanno le radici nel movimento operaio, non viceversa, per questo oggi, specie in Italia ove l'autonomia di classe degli operai sembra un ricordo, noi ci sentiamo e siamo dei “deracinés”, degli sradicati. Né ci può consolare il fatto che nel mondo del lavoro, specie tra i lavoratori pubblici, la sinistra politica abbia ancora un suo vigore: una sinistra senza operai è una sinistra senza radici.
Quando riflettiamo sulle ragioni della odierna distanza della grande maggioranza del mondo operaio dalla sinistra nessuna delle teorie in voga, la globalizzazione, la precarizzazione, la vita liquida, il capitalismo cognitivo eccetera eccetera ci soddisfa pienamente. La domanda chiave è: perché nonostante la generalizzata perdita di salario, di diritti, di poteri da parte delle classi operaie in gran parte del mondo esse sembrano aver abbandonato la scelta politica socialista o comunista che li aveva sorretti nel processo di acquisizione di grandi obiettivi di riscatto economico e sociale? E in Italia, perché gli operai sembrano aver perso insieme con l’orgoglio di “classe generale” la “coscienza di classe”? Perché sembrano aver accettato la divisione e la competizione tra settori, specializzazioni, etnie, territori, perfino tra individui?

4.
Io credo che tra le ragioni di questa separazione tra operai e sinistra ci sia la parabola dell’Urss. La sua nascita e la sua crescita avevano dato forza a tutto il movimento operaio, a quella parte che si riconosceva nel modello quanto si vuole corretto, a quella, maggioritaria in Europa, che appoggiava il compromesso socialdemocratico o laburista, e perfino a quella che negli Stati uniti, da Roosevelt in poi, era divenuta componente essenziale del “blocco” democratico. Trotzkij aveva acutamente intravisto l’irriformabilità di quello stato operaio che era degenerato e per rigenerarlo riteneva necessaria una “seconda rivoluzione”, eppure affermava il valore emblematico che quella presenza ormai spuria continuava ad avere. In Italia, agli inizi degli anni venti, cantavano: “Non siam più la Comune di Parigi/ che tu, borghese, schiacciasti nel sangue;/ non più gruppi isolati e divisi/ ma la gran classe dei lavorator/ che uniti e compatti marciamo/ sotto il rosso vessillo dei Soviet”. Ma anche dove i lavoratori non marciavano sotto il vessillo dei Soviet, la Rivoluzione d’Ottobre e il suo “farsi stato” aiutarono gli operai a “farsi classe” e ad assumere un ruolo politico. Pochi ad esempio riflettono sul fatto che è solo dopo la Rivoluzione russa che nell’imperiale e bipolare Gran Bretagna gli antagonisti dei Tories cessano di essere i wighs liberal-borghesi ma i laburisti, i rappresentanti di un partito che nel nome e nel legame organico con le Trade Unions si richiama al mondo operaio. Vale anche il contrario. L’Ungheria e la Cecoslovacchia furono colpi durissimi non solo per il comunismo internazionale, ma per tutto il movimento operaio a partire dai paesi europei. La fine ignominiosa dell’Urss, con la miseria dilagante in primo luogo nel mondo operaio e coi gerarchi del Pcus che si appropriavano dei beni statali, pesa pertanto come un macigno nella coscienza degli operai e li rende sordi a ragionamenti politici di impianto classista.

5.
Il discorso fin qui svolto è un po’ tagliato con l’accetta e andrebbe articolato nel tempo e nello spazio, ma basta a motivare una tesi che da molti anni, con i compagni di “micropolis” e Segno Critico, vado sostenendo. Non ci sarà sinistra vincente in Italia e nel Europa finché la sinistra non riaffonderà le radici tra gli operai e non sarà in grado di esprimere un nuovo “classismo”. Ma questa operazione sarà estremamente difficile fino a quando sulla vicenda del “socialismo reale” perdurerà l'attuale colpevole rimozione. E’ duro farlo, ma necessario: quella storia va studiata, quella vicenda va elaborata in teoria. Se non si farà tutto sarà più difficile. Non pochi pensano il contrario, s'infastidiscono quando si parla della storia, dicono: “Basta con Marx e Lenin, con Stalin e Trotzkji, con Brezhnev e Dubcek! Parliamo dei precari, del razzismo, dell’ambiente!”. Sono temi nuovi e importanti, certamente da affrontare, ma io resto persuaso che il concretismo e il movimentismo cieco siano forieri di disastri. Anche per questo viva la Primavera di Praga.
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Campobello di Licata, 23 agosto 2009
(S.L.L.)

10 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, Totò,
il tuo intervento mi commuove, mi rimanda indietro nel tempo, allorché, fu proprio la primavera di Praga ad avvicinarmi al comunismo, e allorché i "compagni" della prima ora mi insultavano per le mie simpatie Dubceckiane, bollandomi come anticomunista! Ricordo che, un compagno poi passato al Manifesto, mi chiamava con sarcastico disprezzo, Alex. Comunque non c'è dubbio che quella storia va riletta, va riletto Trotsky.
Ciao
Santo

Anonimo ha detto...

E' da un pò di tempo che mi viene da pensare a quello che fu la Primavera di Praga. L'ho sempre considerata un grande tentativo di unire il socialismo con la democrazia, come fu il tentativo di Allende in Cile. Ma oggi ho dei dubbi. Leggendo infatti per la prima volta il "Programma d'azione del partito comunista di Cecoslovacchia" dell' Aprile 1968 ci ho trovato scritto che "bisogna eliminare l'egualitarismo, abolire il livellamento dei redditi, perchè l'uguaglianza favorisce i pigri, gli inetti, i non qualificati. Ecco, mi sembra un linguaggio violento e sprezzante nei confronti del popolo e dei lavoartori, mentre le concenzioni antiugualitarie sono non soltanto anticomuniste, ma addirittura antidemocratiche. Forse il 68 praghese non può essere ridotto al programma d'azione, ma comunque mi appare ridimensionato nel suo significato.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Caro compagno anonimo,
il linguaggio di questo "programma d'azione", che non conoscevo nel suo testo, sorprende negativamente anche me. Vorrò leggerlo direttamente e per intero. E tuttavia è noto che il livellamento sul basso è stato tra i fattori di implosione dei paesi a collettivismo burocratico, origine tra l'altro di una illegalità diffusa (il doppio lavoro, la doppia economia e il doppio mercato), e che - anche in un quadro di socializzazione integrale dei mezzi di produzione e di garanzie universali - il tema degli incentivi materiali all'attività produttiva ha diverse declinazioni possibili. Bisogna ragionarne senza pregiudizi.

Aliquis ha detto...

Si, è vero, senza pregiudizi.

Aliquis-Vinicio-Anonimo ha detto...

Volevo aggiungere che forse io ho effettivamente dei pregiudizi. Quella storia è poco conosciuta e si svolse in un contesto molto diverso da quello in cui siamo abituati a vivere. Per questo mi piacerebbe conoscere l'opinione di qualcuno più obiettivo di me.
Di sicuro quel programma è un documento di alto livello.

Aliquis-Anonimo. ha detto...

Sono di nuovo io. Ho riletto il documento con più attenzione. E, benchè abbia l'impressione che sia la sintesi di tendenze diverse e che alcuni elementi non mi convincano del tutto (ma non sono convinto di avere ragione) devo dire che "Il Programma d'azione del partito comunista di Cecoslovacchia" è, nel complesso,
molto serio e affascinante. Come ogni prodotto umano non è perfetto, ma è sicuramente uno dei migliori progetti che la mente umana abbia partorito nel corso della storia. Nè la primavera di praga è riducibile solo a quel documento. Vi si dice chiaramente che l'obiettivo è la rinascita del socialismo, creare un' alternativa valida per i paesi industriali avanzati. E in una parte particolarmente affascinante, in cui si afferma che il progresso della scienza e quello dei lavoratori sono la stessa cosa, si dice chiaramente che la propspettiva futura è "la vittoria del socialismo sul capitalismo". Purtroppo la storia è andata diversamente, proprio a causa di quello che successe il 21
Agosto.E' passato quasi mezzo secolo ma ci sono cose che restano valide per l'eternità e io credo che quella primavera vada riscoperta. Peccato che ci siano pochi studi su quella vicenda e che non siano diffusi.
Se ci riesco voglio procurarmi i seguenti libri di Francesco Leoncini: "Che cosa fu la primavera di praga", Cafoscarina editrice, e "L' Europa del disincanto. Dal 68 praghese alla crisi del neoliberismo. La seconda sconfitta della primavera di praga" Rubbettino editore.

Il Cosmista. ha detto...

Intervengo nella discussione per dire che a mio modo di vedere quella vicenda ormai appartiene alla storia; oggi viviamo nel neoliberismo globalizzato in crisi catastrofica sia sul piano economico che ambientale. Comunque, io voglio dire che la primavera di praga è uno di quei fatti storici ambigui, che possono essere interpretati in modi opposti, molto rari e perciò stuzzicanti. Può essere interpreatata come una controrivoluzione capitalistica mascherata oppure come un rilancio e una rinascita del socialismo. Mentre su altre crisi del socialismo reale di quel periodo (Ungheria 1956 e Polonia 1980) la matrice di destra è indubbia, la Cecoslovacchia del 1968 ci fa rimanere nel dubbio. Ma questo la rende forse ancora più affascinante: c'è lavoro per gli storici del futuro.

Anonimo ha detto...

Caro compagno Lo Leggio, mi piacerebbe sapere, senza impegno da parte tua s'intende, se poi sei riuscito a farti un'opinione sul Programma d'azione: sono il compagno anonimo che aveva sollevato il famoso dubbio. In ogni caso, cordiali saluti e Buone Feste.

Salvatore Lo Leggio ha detto...

Mi sono procurato ed ho riguardato il Programma d'Azione. Credo anch'io che vi confluiscano tendenze diverse, per esempio suggestioni tecnocratiche, ma l'impianto complessivo mi pare limpidamente socialista. I libri di approfondimento che tu citi hanno titoli suggestivi: proverò a cercarli. Intanto ho riletto i verbali dell'incontro Dubcek- Longo e, superato l'impatto di un formulario linguistico e diplomatico molto invecchiato, mi sono commosso, anche perché ricordavo che in quegli stessi giorni Longo incontrava Scalzone e altri rappresentanti del movimento studentesco e sottolineava il carattere rivoluzionario e socialista dei fermenti e delle lotte nell'università . Forse, quando sarà il tempo di ricostruire insieme a un orizzonte anche la memoria perduta, i compagni che verranno guarderanno a quella primavera come a un pagina esemplare. E, forse, quando in Italia si tornerà a cercare dentro la storia comunista, acquisterà il grande rilievo che merita la figura cristallina di Luigi Longo.

Anonimo ha detto...

Condivido tutto compagno Lo Leggio. E' vero, nella Primavera di Praga c'erano anche suggestioni tecnocratiche, ma credo che il progetto di allargamento della democrazia e la partecipazione popolare, che era grande, avrebbe finito per eclissarle. Luigi Longo era una persona luminosa, ma io rileggendo gli scritti dell'ultimo Togliatti mi sembra di vedere anche in lui un precursore della Primavera di Praga (es. "Il memoriale di Yalta").

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