5.3.10

Clelia. Il governo dei preti. Un romanzo di Giuseppe Garibaldi.


Clelia o il governo dei preti è il romanzo che Giuseppe Garibaldi scrisse nel 1868, dopo Mentana.
D’impianto feuilletonistico, pieno di retorica romantica e patriottica, esso risente fortemente del tempo in cui fu scritto ed è dunque pervaso di giustificata acredine contro Napoleone III, ironicamente chiamato “l’uomo del 2 dicembre”, con riferimento al colpo di stato con il quale “il Piccolo” aveva tentato di imitare quello che in un celebre 18 brumaio (il 2 dicembre 1804) aveva fatto imperatore il più grande zio.
Il bersaglio principale del libro è, comunque, il “pretismo”. “In esso – aveva scritto Garibaldi – ho sempre creduto di trovare il puntello d’ogni dispotismo, d’ogni vizio, d’ogni corruzione”.
Il romanzo, ambientato nella Roma papalina contemporanea, ha un intreccio complicato in cui preti assassini e cardinali abortisti si alternano con briganti buoni, fanciulle insidiate, donne traviate e redente. Le situazioni estreme talora rappresentate condussero i primi editori inglesi (l’antibonapartismo e l’anticlericalismo impedirono di trovarne in Italia e in Francia prima del 1870) a mutare il titolo in Il governo del monaco, che richiamava Il monaco, un romanzo nero anticattolico di Matthew Gregory Lewis, grande successo editoriale del primo Ottocento britannico.
Garibaldi per primo doveva essere consapevole che nel suo libro la parte propriamente romanzesca, d’invenzione, era un po’ tirata via. Nella prefazione scrisse: “Circa alla parte romantica, se non fosse adorna della storica, in cui mi credo competente, e dal merito di svelare i vizi e le nefandezze del pretismo, io non avrei tediato il pubblico, nel secolo in cui scrivono romanzi i Manzoni, i Guerrazzi, i Victor Hugo”.
L’intenzione è, perciò, quasi esplicitamente didascalica: dentro il racconto si rintracciano in abbondanza motivi autobiografici, personaggi reali, tirate oratorie, proposte politiche. Insomma si tratta di un “manifesto”, una sorta di “Garibaldi illustrato al popolo da Garibaldi”.
Le ristampe italiane del romanzo sono poche e nessuna se ne rintraccia di grandi editori. Stranamente, ma non troppo. Non crediamo che la cosa dipenda dalla qualità letteraria dell’opera, decisamente scarsa, ma ampiamente compensata dall’interesse documentario.
La cagione è probabilmente altra: nel suo libro l’Eroe si spinge troppo avanti ed osa addirittura riportare per intero una lettera di san Domenico al papa che inneggia alla carneficina degli Albigesi. Francamente troppo per un paese come l’Italia ove, si sa, con i santi non si può scherzare. Il brano che qui riporto, dopo la prefazione in foto, è tratto dal capitolo 40 e riguarda le conseguenze negative del clericalismo. (S.L.L.)

La prava istituzione pretesca
Giuseppe Garibaldi
Anche nel matrimonio la prava istituzione pretesca semina e diffonde una diabolica influenza. Il morbo pretino, si sente in tutti i matrimoni dell'orbe in ragione diretta del numero di coloro che vengono congiunti da quegli esseri maleficamente parassiti. S'immagini poi quello che deve accadere in Roma, ove i preti, sono tanti, ricchi, sovrani, onnipossenti?
Ho già detto che Roma è la città del mondo che conta più nascite illegittime, e ciò deriva naturalmente dalla prostituzione delle nubili. Su questo dato, benché non pubblico nelle conseguenze, quale sarà la prostituzione nel matrimonio?
Tiriamo un velo sulle turpitudini e mi perdoni chi legge se per avventura lo scandalizzai. Ma quando penso ad un governo, che si disse riparatore e che per interesse e per compiacere ai libidinosi capricci di un despota s'inginocchia davanti a quel corrotto e corruttore fantoccio supplicandolo quasi di non disertare la terra che desolò per tanti secoli, il popolo grande che umiliò all'ultima delle degradazioni umane, allora non so frenarmi, e voi mi potete perdonare, potete concedermi uno sfogo di rammarico al pensiero delle miserie e delle vergogne del mio povero paese!
Pur mi si dirà: voi lamentate l'intervento dei preti e lo credete dannoso; ma fino a ieri, chi consacrava il matrimonio se non il prete, ed il prete esclusivamente?
Pur troppo è vero! La nascita e la morte, ogni più importante atto della vita, l'educazione della gioventù, tutto fu monopolio dei preti, perfino il mondo futuro che offrono agli altri, tenendosi caro per sé il presente.
Dacché la società umana ebbe impostori, sorsero preti, se già i primi non furono essi. Certo però i maggiori, i più astuti, i più fortunati impostori del genere umano furono sempre i preti. Più furbi degli alchimisti e dei ciarlatani essi posarono le basi della loro scienza in parte ov'era difficile che la luce giungesse a smascherarli.
L'alchimista cercò la formazione di pietre preziose e dell'oro con elementi di poco costo e morì, lasciando l'eredità del desiderio insoddisfatto accanto al vero tesoro delle esperienze, dalle quali partendo, i moderni chimici hanno fatto portenti.
I ciarlatani, spaccianti balsami ed elisiri miracolosi sono scomparsi, ma prepararono il posto all'utile e matematica chirurgia moderna.Il prete dura e il suo nebuloso edifizio continua a star ritto. Non monta che le antiche rivelazioni tentennino all'urto del senso comune; il prete dura benché i ciechi soltanto non s'accorgono che egli è il primo a farsi beffe delle favole che spaccia.
Vuol dire che il prete è più astuto d'ogni altro e che i non-sensi e le assurdità più grandi hanno il privilegio di una più tenace resistenza.
Non indignazione ma nausea mi sento veramente nel vedere i miei concittadini inginocchiarsi davanti a quei simulacri dell'impostura! davanti a quei detrattori di Dio!

1 commento:

marco salomoni ha detto...

ho letto con piacere la sua"piccola" recensione cercata proprio per capire meglio perche'questo libro sia cosi' poco pubblicizzato...
confermano le mie supposizioni le righe di chiusura del suo pensiero

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