2.12.15

1939. Camerati non possiamo aspettare. Intervista a K.D.Bracher (Vanna Vannuccini)

L'intervista, pubblicata per i 50 anni dall'inizio della II Guerra Mondiale, utilissima nella prima parte a spiegare il consenso a Hitler perfino di settori pacifisti della società tedesca, è assai discutibile e pasticciata nella valutazione del patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop. Lo si collega artatamente con cose ancora a venire e tutt'altro che certe (la spartizione della Polonia) e ad altre antiche come i buoni rapporti tra Federico II di Prussia e Caterina nel 700, come se fosse indifferente, nel frattempo, la nascita dell'Urss. (S.L.L.)

BONN
Tra gli storici tedeschi, Karl D. Bracher è quello che si è impegnato maggiormente nello studio del Terzo Reich: notissimo, ad esempio, è il suo La dittatura tedesca. Origini, strutture, conseguenze del nazionalsocialismo in Germania, tradotto in Italia dal Mulino.

Professor Bracher, ancora oggi molti tedeschi sono convinti che Hitler sarebbe stato un grande statista, se non ci fossero stati la guerra e l'Olocausto. Ma è pensabile il nazismo senza la guerra?
Hitler ha sempre parlato, nello stesso tempo, di pace e di guerra. Questo in un certo senso era facile, perché il fine da lui proclamato la revisione del trattato di Versailles era considerato legittimo ed auspicabile da tutti i tedeschi. Tutti i tedeschi, infatti, rifiutavano Versailles: la diplomazia, l'esercito, i partiti, perfino quello comunista. Quanto invece ai mezzi per ottenere la revisione del trattato, non c'era accordo; ma quando un fine viene ritenuto giusto, è facile mettere in secondo piano la scelta dei mezzi. Specialmente perché Hitler passava da un successo all'altro. Così, fino al 1939, Hitler fa apparire ogni sua mossa come tesa alla riparazione dei torti subìti a Versailles: il ripristino dell'obbligo di leva, l'occupazione della Renania, perfino quella dell'Austria sembrano far parte di questa politica di revisione. Una politica che soltanto la diplomazia e la Wehrmacht cercavano di frenare, e non perché fossero contrarie, ma perché temevano l'isolamento internazionale della Germania.
Dunque, la politica estera di Hitler incontrava il consenso generale (compreso quello della borghesia, le cui riserve riguardavano, se mai, la sua politica interna). Il Fuhrer teneva discorsi rassicuranti, diceva: vogliamo mantenere la pace perché vengano riconosciuti i nostri diritti. E, fatta eccezione per l' occupazione della Cecoslovacchia, tutti i suoi obiettivi, in quel momento, appaiono revisionistici. Quanto ai dissensi interni, un peso decisivo per la loro liquidazione lo ebbe la conferenza di Monaco. A Monaco, infatti, Hitler dimostrò che poteva ottenere ciò che voleva senza dover ricorrere alle armi: le potenze occidentali capitolarono ancora una volta. In questo senso Monaco rappresentò, in Germania, la sconfitta definitiva di qualsiasi opposizione: per esempio, il capo di stato maggiore Beck, che aveva espresso apertamente i suoi dubbi e i suoi timori a proposito della questione cecoslovacca, si dimise. Insomma, Hitler riuscì a mescolare abilmente la politica di revisione con la politica di aggressione. Ma oggi è provato che aveva messo nel conto la guerra fin dal ' 33 e che aveva cominciato ben presto a lavorare in questa direzione.

Hitler programmava o improvvisava?
Aveva obiettivi di fondo, ma era capace di adattarsi rapidamente alle situazioni via via che queste mutavano. All'inizio mirò ad una alleanza con l'Inghilterra: per quanto oggi possa sembrarci ingenuo, aveva proposto a Londra una sorta di spartizione del mondo: lui avrebbe garantito l'integrità dell'impero britannico, e in cambio voleva mano libera in Europa. Sono del 37 i negoziati per un patto tedesco-britannico. L'Inghilterra finì per rifiutare la proposta; fu l'Urss ad accettare il piano hitleriano di spartizione dell'Europa. Questa, voglio sottolinearlo, è la differenza decisiva tra una democrazia e una dittatura: dalle democrazie non parte, di regola, una guerra di aggressione. All'inizio, comunque, gli inglesi si lasciarono coinvolgere nel negoziato, la cosiddetta politica dell'appeasement. Ancora nel 37 il ministro inglese degli Esteri, Lord Halifax, andò a Berlino. Nel 38, poi, ci fu Monaco. Tutti Halifax, Chamberlain, l'ambasciatore Henderson erano convinti che si poteva salvare la pace attraverso una soluzione negoziata con i nazisti. L'antefatto della seconda guerra mondiale risale, al più tardi, al 36. Con la guerra di Abissinia si spostano le alleanze: senza quella guerra, Mussolini non sarebbe diventato così rapidamente succube di Hitler. Non molti sanno che nel 36 Hitler inviò armi all'Etiopia: perché fossero usate contro l'Italia, evidentemente. Non è chiaro se dietro a quell'iniziativa ci fosse un disegno machiavellico, se cioè Hitler intendesse impedire una facile vittoria italiana per costringere Mussolini a ricorrere a lui per aiuto. C'è poi un'Europa divisa e sconcertata dalla guerra civile spagnola. Quella fu per Hitler una specie di prova generale, in primo luogo ideologica: rappresentava lo scontro tra le democrazie occidentali e il comunismo, da una parte, il fascismo e il nazismo dall'altra. La Francia quasi non esisteva sul piano internazionale, era paralizzata dai suoi problemi interni: cresceva il radicalismo di destra, anche Pétain svolse un suo ruolo, e crescevano le simpatie per Franco. Il Fronte Popolare di Blum doveva risolvere problemi ardui e in più era tendenzialmente pacifista, nel senso che non era disposto a controbattere la politica di riarmo di Hitler riarmandosi a sua volta. Anche l'Inghilterra all'inizio era contraria al riarmo: questo, almeno, era l'atteggiamento dei laburisti. Comunque, gli inglesi cominciarono a riarmarsi prima dei francesi. Non dimentichiamo, infine, che siamo nel mezzo dei grandi processi staliniani, i quali in pratica mettono fuori gioco l'Unione Sovietica. La isolano, perché ne screditano il prestigio anche tra i simpatizzanti (la conversione di Orwell, per esempio, risale a questo periodo); e la indeboliscono all'interno, perché tra le vittime dei processi ci furono i capi dell'esercito. Ecco perché le potenze occidentali non insistettero perché l'Urss fosse invitata a Monaco, anche se a quel tempo i russi erano alleati della Francia e della Cecoslovacchia.

Quando comincia Hitler a parlare esplicitamente di guerra?
Gli anni decisivi sono il 37 ed il 38. Il 5 novembre del 37 Hitler illustra per la prima volta il suo piano di guerra. E' il famoso Protocollo Hossbach. In realtà il termine Protocollo è improprio: Hossbach, aiutante della Wehrmacht distaccato alla Cancelleria, non stese subito quel documento, ma più tardi. Non si tratta quindi di un vero e proprio verbale; e, al pari di altre fonti (per esempio I miei colloqui con Hitler di Rauschning) va preso con cautela. Esistono anche altre versioni di quella riunione. Quando per esempio il Protocollo fu mostrato agli imputati di Norimberga, Goring ed alcuni generali ne contestarono l'esattezza. Ad ogni modo, il Procollo corrisponde sostanzialmente al vero. E la sua importanza consiste in questo: dimostra che fin dal 37 Hitler aveva enunciato, di fronte a una piccola cerchia di generali, diplomatici e funzionari, i suoi progetti di espansione. Li aveva motivati con precisi principi ideologici: il cosiddetto spazio vitale, considerazioni di natura economica e militare, idee tratte dal darwinismo sociale. Da parte di alcuni ci furono delle riserve. Segnali d' inquietudine vennero ad esempio dal ministero degli Esteri e dal vertice della Wehrmacht, cosa che spinse Hitler a silurare parecchie persone. Il ministro degli Esteri Kostantin Von Neurath dovette andar via e fu sostituito con Ribbentrop. Werner Von Blomberg dovette dimettersi e così Fritsch.

Qual era la struttura di potere del nazismo?
Hitler aveva in mano tutto il potere. Non c'erano in Germania altri centri di potere, come ne esistevano per esempio in Italia: il re, la Chiesa. Lo dimostra proprio il fatto che, nel periodo che va dal Protocollo Hossbach alla conferenza di Monaco, Hitler cambia tutti gli uomini che non lo soddisfano. Non bisogna poi dimenticare certe tradizioni tedesche, quella della Obrigkeitstaat in primo luogo: il rispetto, tutto tedesco, per l'autorità, una concezione dello Stato autoritaria. Hitler riuscì a creare e consolidare una dittatura moderna, a cominciare dalla propaganda e dall'organizzazione della sicurezza interna: uno Stato nello Stato, che agiva quando lo Stato vero e proprio non funzionava come i nazisti volevano. Per esempio, uno poteva essere assolto dal tribunale civile e poi spedito ugualmente in campo di concentramento. Questo sistema resse fino all'ultimo, talvolta perfino dopo la capitolazione. Hitler si era rifatto anche ad un'altra tradizione tedesca, quella dell'impero. La Germania non è stata solo uno Stato nazionale, è stata anche un impero, l'impero romano della nazione tedesca. Il concetto di Reich era molto importante perché portava oltre i confini dello Stato nazionale e quindi oltre la politica revisionistica.

Quando ha cominciato, Hitler, a giocare la carta sovietica?
I precedenti del patto Hitler-Stalin risalgono al 39. Ma naturalmente c'è una lunga storia di collaborazione precedente, che spiega come sia stata possibile l'intesa tra i due paesi nello spazio, per così dire, di una notte. In poche ore, dal 23 al 24 agosto del 39, la Polonia fu spartita. Il patto di non aggressione russo-tedesco fu una sorpresa solo per chi non conosceva i precedenti. Lo scopo principale di Hitler era quello di evitare una guerra su due fronti. La tradizione di collaborazione tra Germania e Russia rese possibile un accordo immediato, malgrado la propaganda antisovietica e anticomunista nel Terzo Reich. Come dicevo, la storia della collaborazione russo-tedesca è lunga. Federico il Grande venne salvato dall' intervento di Caterina; Napoleone fu sconfitto quando la Prussia si alleò alla Russia; insieme, prussiani e russi marciarono su Parigi. Solo Guglielmo II non rinnovò l'alleanza con la Russia e proprio per questo, secondo molti, la Germania perse la prima guerra mondiale. La collaborazione tra i due paesi riprese subito dopo, al tempo di Weimar, sul piano economico come su quello militare: e, si badi, con un governo conservatore, non con uno socialdemocratico. Anche dopo il 33 i contatti economici e commerciali russo-tedeschi proseguirono. Il primo contratto concluso dal Terzo Reich fu il prolungamento del Trattato commerciale con l' Unione Sovietica, nell'aprile del 33. C'erano anche rapporti tra i servizi segreti. Quelli di Hitler fornirono alla Ghepeu prove falsificate contro i generali sovietici durante i grandi processi. Ecco perché io dissento totalmente dalle tesi sostenute da Nolte: si può dimostrare che, per Hitler, il fattore determinante non era l'antibolscevismo, ma il razzismo, il darwinismo sociale. Certo, l'antibolscevismo esisteva tra i nazisti, come esisteva in tutti i movimenti di destra; ma poteva essere messo da parte in ogni momento. In verità, Hitler non fece mai una politica antibolscevica, mentre sarebbe stata per lui del tutto impensabile una collaborazione con l'ebraismo.


“la Repubblica”, 28 luglio 1989 

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