2.12.15

Cinema napoletano. Elvira Notari, una pioniera oltre la censura (Luciano Del Sette)

Elvira Notari - Una scena dal film "Rovine"
Nessuno nasce imparato, diceva Totò. E quando impari, lo devi sempre a qualcosa o a qualcuno. Il nome a te sconosciuto di Elvira Coda Notari lo senti per la prima volta dalla voce di Licio Esposito, uomo che nel mondo delle immagini ha trovato la sua ragione di vita e di lavoro. Licio, qualche anno fa, inventò animazioni fatte con la sabbia e con le mani: figure, paesaggi, simboli, segni astratti, che poi spazzava via per ricomporne subito altri. Sabbia e mani ad accompagnare musiche, versi, passi di danza; a prendere forma scenografica di spettacoli teatrali. Dissolvere, ma soprattutto ricomporre, entrando, come Esposito ha fatto di recente, anche nei sotterranei della memoria culturale legata alla sua terra. Immagini, di nuovo. In bianco e nero, graffiate dal tempo, dipinte a colori improbabili, scomparse e poi ritrovate. Sono quelle di una mostra, La filma di Elvira, allestita a fine agosto dello scorso anno ad Avellino, nell’ambito del festival internazionale del cinema di ricerca Laceno d’oro, quaranta primavere nel 2015. Tra vecchi amici inossidabili alla lontananza, con Licio è abitudine sentirsi per telefono e chiacchierare a lungo dopo l’esordio del ’Come stai’. Così, una sera, salta fuori il suo nuovo progetto: ampliare e trasporre la mostra in forma di documentario, con l’apporto di un gruppo di cui fanno parte Antonio Spagnuolo, direttore artistico del Laceno d’oro, e il regista Mario Franco, autore della trasmissione televisiva Guagliò, ciak si gira, sul cinema muto napoletano, e, con Stefano Masi, di un libro, sempre sul cinema partenopeo, Il mare, la luna e i coltelli, edito da Tullio Pironti. Alt, Licio. Ma chi diavolo era Elvira Coda Notari? Considerate il racconto che segue scritto a quattro mani. Due, anzi tre, sono di Licio Esposito.
Considerate il racconto che segue pensando alla Napoli di oggi, alle sue strade e ai suoi vicoli; al sempiterno binomio miseria e nobiltà, coniato in teatro da Eduardo Scarpetta; allo stupore senza possibilità di orientamento che la città crea in ogni straniero (stranger, termine inglese per estraneo), se appena mette il naso fuori dal Vesuvio e dalle cartoline del turismo. La seconda e definitiva vita di Elvira Giuseppa Coda comincia nel 1902, anno del suo matrimonio con Nicola Notari, professione fotografo. Alla prima si era affacciata il 13 febbraio 1875, sotto il segno dell’Acquario, in via Garibaldi 50, Salerno. Diego il nome del padre, commerciante di Cava dei Tirreni; Agnese Vignes quello della madre, salernitana. Elvira ha venticinque anni quando, con la famiglia, si trasferisce a Napoli. Il 25 agosto 1902 pronuncia il sì. A gennaio del 1903 nasce Edoardo, il futuro Gennariello. Nicola possiede grandi doti e conoscenze tecniche. Il suo laboratorio è specializzato nella colorazione delle pellicole dei brevissimi film muti che cominciano a circolare a Napoli, le «filmine», come si è preso a chiamarli dando loro genere femminile.
Ricorda Edoardo in un’intervista rilasciata alla scrittrice e documentarista Annabella Miscuglio: «In quegli anni i film erano sempre a colori. Si dicevano imbibiti, cioè il nero dell’emulsione diventava marrone o azzurro secondo i bagni colorati nei quali veniva messa la pellicola dopo lo sviluppo. Oppure era colorato il supporto, che poteva essere arancione, verde o blu. Le scene di notte, girate sempre in pieno sole perché altrimenti la pellicola non s’impressionava, si stampavano su un supporto azzurro scuro e l’effetto in proiezione era quello di una ripresa notturna… L’amore era rosso e la gelosia era verde o viola. Ma il lavoro che faceva mio padre e che poi ho fatto anch’io fino agli anni ’30 era più delicato. Coloravamo con un pennellino, guardando attraverso un contafili, ogni particolare del fotogramma». Elvira, entrata nell’attività del laboratorio, dà subito saggio delle sue capacità organizzative. Ricorda di nuovo Eduardo: «Mia madre aveva semplificato il lavoro con una piccola asse di legno sulla quale c’erano quattro chiodini per ogni fotogramma. Fissata la pellicola, lei ricaricava un mascherino di carta che veniva punzonato con una spugnetta imbevuta di colore». Risparmio di tempo e denaro.
Nel 1903, Nicola acquista una cinepresa in legno, autonomia dieci metri di pellicola. Qualche mese dopo gira una filmina che gli regala fama, La cattura del pazzo di Bagnoli. È un segno appena abbozzato della differenza tra il cinema che si farà a Torino e a Napoli, sua unica concorrente. Roma entrerà nei giochi con l’avvento del fascismo. Mentre nel capoluogo piemontese nasce il kolossal, i cui prodotti verranno comprati persino dagli Stati Uniti, Napoli sceglie il genere popolare. Storie di passioni e gelosie fatali, di crimini e morte, di drammi e tragedie, prese a prestito dalla vita di ogni giorno. Nel 1906, il sodalizio Notari inaugura il repertorio degli ’Arrivederci e Grazie’, aprendo una sala nel quartiere di San Giovanni a Teduccio. Caffè Chantant e locali di varietà erano allora considerati luoghi di divertimento plebeo, snobbati dalla Napoli Bene. A fine serata, l’orchestra suonava un brano che il pubblico accompagnava cantando «Iatevenne, iatevenne, ’o spettaculo è fernuto». Su quelle note si proiettava una filmina colorata, detta, appunto, Arrivederci e Grazie: fatti di cronaca, scenette, immagini oleografiche. Nello stesso periodo, Nicola riceve dalla Partenope Film dei fratelli Troncone l’incarico di colorare Le mille e una notte. Un incarico importante, anche sotto il profilo economico. Per i Notari è arrivato il momento di approdare ufficialmente al cinema. La Dora Films, dal nome della secondogenita della coppia, apre i battenti nel 1912. Leggenda vuole, ma molto in questa storia è circondato dall’aura di un’incertezza figlia dell’oblio, che Elvira abbia sintetizzato i suoi propositi in una frase «Simm’e Napule e avimma fa ’o cinema de’ napulitane!».
Dentro una macchina presa, questo significa attingere i soggetti dalla ’nera’ e dalla ‘bianca’ della stampa, dai fogliettoni letterari più seguiti sui giornali, dalle canzoni di maggior successo, per ambientarli nelle aule dei tribunali, nei commissariati, nelle questure, nei quartieri, nei bassi. Vicende sovente forti, di cui sono protagonisti fanciulle inguaiate e abbandonate, uomini assassini per onore, figli lasciati a se stessi sulla strada, delitti passionali, regolamenti di conti, malviventi divenuti tali giocoforza. È un teatro della povertà, tra le cui quinte la Dora Films si muove mettendo in scena il contrasto dei sentimenti e delle emozioni, la relatività del torto e della ragione; lasciando che sia lo spettatore a decidere chi sia il buono o il cattivo, il (la) colpevole e l’innocente. Elvira, con oltre cento cortometraggi e una sessantina di film, sarà la prima autrice e donna regista del cinema muto; antesignana, forse involontaria, del neorealismo, non solo per il carattere dei suoi soggetti, ma anche, ad esempio, per la scelta di veri scugnizzi come attori di molte sue opere.
La prima, Guerra italo-turca tra scugnizzi napoletani, 1912, ambientata nel quartiere Stella, sede degli studi cinematografici della Dora Films, vede la troupe assalita dalle madri dei bambini, inferocite perché i figli si sono calati troppo realisticamente nella parte. La genialità di Notari si estende alle proiezioni nelle sale. Lo conferma il figlio Edoardo «Un’altra caratteristica era la musica che accompagnava il film. Noi fummo i primi a mettere un cantante sotto lo schermo, che si sincronizzava con le immagini. Nei primi tempi il proiettore, ancora a manovella, facilitava il compito del cantante, poiché era possibile rallentare o accelerare leggermente la proiezione. L’operatore di cabina, in pratica, era come se suonasse insieme all’orchestra. Non abbiamo mai fatto ricorso all’espediente di sovrapporre i versi della canzone alle scene, come altri facevano, per dare l’attacco al cantante. I nostri film erano letteralmente misurati sul tempo della canzone».
Elvira sa indossare i panni di manager, organizzatrice, sceneggiatrice, contabile, cuoca sul set. L’impresa ha impronta familiare, ma guarda lontano. Edoardo diventa primo attore, con il nome di Gennariello, quando La Dora inaugura, nel 1919, il filone dei film — sceneggiata. Se altri si erano messi sulla stessa pista, i Notari, soprattutto Elvira, comprendono in anticipo che il film — sceneggiata può avere un florido mercato dall’altra parte dell’Oceano, terra di emigrati italiani. Il meccanismo funziona grazie a due elementi base, la ripetitività delle trame e la familiarità dei personaggi, cui si aggiunge la celebrità del brano musicale. Il primo elemento propone a turno il detenuto che torna libero, gli scontri tra bande a colpi di coltello, il furto, l’intrigo sentimentale torbido, la serenata romantica o straziata di dolore.… Il secondo si basa sui gesti, sui comportamenti, sull’aspetto fisico, insomma sullo stereotipo dell’umile figlio del Sud. Edoardo/Gennariello li incarna alla perfezione: corporatura esile, occhi neri e profondi, capelli folti e scuri. Il lieto fine è quasi sempre garantito, dopo un fiume di lacrime in cui nuota l’incertezza degli eventi. Insieme a filmine di feste popolari e matrimoni, i film-sceneggiata partono per l’America che Elvira aveva scoperto. E vendono oltre ogni aspettativa. Nel 1924 verrà fondata la Gennariello Film.
Tutto ciò potrebbe indurre a sospettare nei Notari un certo cinismo commerciale. Se non v’è dubbio che per loro il business sia obbiettivo principe, tuttavia il lavoro di Elvira regista e scrittrice la coinvolge totalmente. La sua penna sulla carta e il suo occhio dietro la macchina da presa sanno identificarsi con la realtà quotidiana della gente, la comprendono. E la gente risponde. Davanti alle sale di Napoli si formano code interminabili, i giorni di programmazione si allungano per poter soddisfare un pubblico assetato di storie nelle quali si riconosce È il caso di ’A legge, 1920. Nel periodo di massimo fulgore, la censura comincia a stringere le maglie attraverso le quali passa il nulla osta alla proiezione di un film. Quelli della Dora sono considerati offensivi nei confronti della città, poiché ne avallano un’immagine di miseria, delinquenza, sporcizia che non corrisponde, stando all’ipocrisia dei burocrati governativi, allo sforzo di emancipazione della città. I Notari vanno avanti per la loro strada, senza ascoltare i richiami sempre più duri e frequenti dopo l’avvento del regime fascista, che esercita in vari modi la censura e si arroga il diritto della lettura preventiva del copione. Per quanto riguarda i film della Dora impone didascalie in italiano al posto di quelle in dialetto; Carcere, 1923, tratto dalla canzone di Libero Bovio, viene ridotto da 1286 a 919 metri e il titolo diventa Sotto san Francesco; stessa sorte subisce Fantasia ‘e surdate, del 1927.
Nonostante questo, le sale registrano il pieno ogni volta che viene proiettato un film della Dora o della Gennariello. Nel 1928, la Commissione Censura invia ai Notari una circolare che di fatto impone la chiusura dell’attività «Considerato che siffatti film a base di posteggiatori, pezzenti, scugnizzi, di vicoli sporchi, di stracci e di gente dedita al dolce far niente, sono una calunnia per una popolazione che pur lavora e cerca di elevarsi nel tono di vita sociale e materiale che il regime imprime al paese; considerato per altro che siffatti film sono eseguiti con criteri privi di qualsivoglia senso artistico, indegni della bellezza che la natura ha prodigato alla terra di Napoli, è stato deciso di negarle in via di massima, l’approvazione dei film che persistono su circostanze che offendono la dignità di Napoli e l’intera regione».
Il 1930 è l’anno della parola fine. Qualcuno ha affermato che la scelta di Elvira e Nicola fu influenzata in parte dall’avvento del cinema sonoro. Falso, basti pensare alla ‘sonorizzazione’ del muto attraverso la musica. Il sonoro, semmai, avrebbe contribuito ad aumentare la suggestione dei film prodotti. Il nome di Elvira comparirà nel 1942, tra gli sfollati di Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale. È tornata da tempo nella casa paterna, a Cava dei Tirreni, dove la raggiungono Nicola ed Edoardo. Elvira muore il 17 luglio del 1946. Marito e figlio, dopo un periodo a Napoli, vanno a Roma. Qui, nel 1955, il cuore di Nicola si ferma, e qui Eduardo resta fino al 1963, scegliendo poi Bologna per il suo lavoro di distributore cinematografico. Saluterà il grande schermo e la vita il 27 gennaio del 1983. Soltanto tre degli oltre 160 titoli firmati dalla regista sono arrivati a noi: ’A Santanotte (1922), ‘E piccerella (1922), Fantasia ’e surdate (1927), esempi eccellenti del film-sceneggiata. La trama di 'A Santanotte ha al centro Nanninella, ostinata nel frequentare l’amante Tore, contro il parere e le minacce del padre; in ‘E piccerella, un omonimo Tore ruba alla madre malata i gioielli, e con il denaro ricavato compra regali di lusso per l’avida amante Margaretella; denaro al posto dei gioielli è il bottino del furto di Gennariello, sempre ai danni della madre, sana ma anziana assai. The end comune la vendetta finale. Tremenda, ovviamente.
A questo punto, Licio, si impone una domanda: perché un documentario su Elvira Notari? «Sono rimasto affascinato da un cinema che sapeva soddisfare la pancia della gente e se ne infischiava di risultare ostico al palato degli intellettuali. Matilde Serao si schierò contro i film di Elvira, non le importava che fosse l’unica donna in un mestiere e in un mondo appannaggio degli uomini. Elvira, poi, è stata una donna del Sud capace di affrancarsi da un ruolo sociale a dir poco secondario. Terzo sprone il desiderio di riscattare una storia e una persona dimenticate, o a dir poco sottovalutate». Principe De Curtis in arte Totò, perdoni l’incomodo, ma c’è ancora bisogno di lei per parafrasare una sua celebre battuta davanti alla macchina da presa di Mario Mattioli in Signori si nasce, 1960 «Registi si nasce, e io lo nacqui… modestamente». Parafrasi che ben si addice ad Elvira.


Alias il manifesto, 27 giugno 2015

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