7.4.10

Giovanni Raboni collaboratore de "L'Europeo". Libere scorie.

Giovanni Raboni con Carlo Manzoni in una foto di Mario Dondero
La collaborazione di Giovanni Raboni al settimanale “L’Europeo”, con la parentesi nel 1987 di un infarto e della conseguente convalescenza, fu regolare dal 1986 al 1991. Non mancarono tuttavia nel quinquennio momenti di tensione e di scontro esterno ed interno alla redazione del periodico. Il volumetto Cento romanzi italiani del Novecento, uscito come allegato a “L’Europeo” del 15 novembre 1986, a cagione delle scelte da Raboni stesso definite “personalissime”, suscitò un “vespaio spaventoso” e gli procurò l’appellativo di «re censore», affibbiatogli da Mario Fortunato in un articolo su “L’Espresso”. Una velenosa polemica con la poetessa Annalisa Cima a proposito di Montale cominciò nel 1986 con un suo articolo (Il poeta innamorato fa il verso dimezzato) e riesplose virulenta nel 1991 con un suo nuovo articolo e con un intervento assai aspro della Cima.
Per “L’Europeo” Raboni cura una rubrica, dal titolo Diario, in cui dà sostanza al suo “manzonismo”, al più volte dichiarato “lombardismo” (niente a che vedere con le fregnacce del “senatùr” Bossi e dei suoi ancora pochi seguaci), inteso come attribuzione di responsabilità etica e civile alla letteratura. La sua intransigenza lo porta al limite della rottura con la direzione di Lanfranco Vaccari. Così gli scrive: “Il mio “Diario”, uscito nel numero dell’«Europeo» in edicola da stamattina, comprende un pezzetto – intitolato redazionalmente Un omaggio – che si concludeva originariamente con un accenno all’ «anticomunismo consumistico-professionale di un Vertone o di un Giuliano Ferrara». Nella versione pubblicata il nome di Vertone è stato soppresso. Francamente, non so come avrei reagito se tu o Serra mi aveste chiesto di eliminare il nome di Vertone. So soltanto che, a quel punto, avrei potuto scegliere fra varie soluzioni: provvedere io stesso all’eliminazione; togliere del tutto il pezzetto in questione; ritirare questa puntata del “Diario”; rinunciare alla mia collaborazione con l’«Europeo». Ma nessuno mi ha chiesto niente, e si è provveduto d’imperio, senza consultarmi né avvisarmi, a modificare (o forse, meno eufemisticamente, dovrei dire: a censurare) il mio testo; e a questo punto non ho a mia disposizione alcuna alternativa all’ultima e, almeno per me, più spiacevole delle soluzioni”. Gli fu chiesta scusa e le dimissioni furono respinte. Vittorio Feltri (al tempo mostrava idee di sinistra laica), che del settimanale assunse la direzione sul finire del 1989, rispettò sempre i pezzi di Raboni, ma alla fine del ’91 non rinnovò il contratto.
Raboni, finché poté, proseguì il suo impegno civico sulle pagine del “Corriere della Sera”, mentre collaborava sporadicamente con “l’Unità”. Nel 1994 si schierò pubblicamente con Rifondazione Comunista. Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi così si espresse in una intervista alla rivista letteraria francese “Po&sie”: “Da qualche tempo sento con una urgenza particolare di testimoniare fin nel cuore della mia poesia le mie riflessioni, le mie preoccupazioni, le mie indignazioni di cittadino, probabilmente perché io vivo in un paese ove di nuovo si fanno sentire odiose tentazioni antidemocratiche ed antisociali”. (S.L.L.)

LIBERE SCORIE

Mai si è tanto parlato come ora dei trionfi del liberismo, unico sistema economico ritenuto capace, a quanto pare, di produrre ricchezza collettiva, benessere individuale e libertà politica. Persino il senso e il destino della perestrojka si misurano con questo metro: ce la farà, non ce la farà, come diavolo farà il volenteroso Gorbaciov a convertire l’economia sovietica ai meccanismi e ai fasti del libero mercato? Contemporaneamente, ma senza la stessa enfasi, anzi con una sorta di dignitosa e contenuta malinconia, i mass media ci informano del fatto che la distruzione del nostro pianeta, la sua riduzione a uno stato di totale inabitabilità, è ormai una prospettiva concreta e irreversibile.
Ma fra le due cose – trionfo del libero mercato e distruzione della Terra – nessuno mostra di ravvisare quello che a me sembra un nesso abbastanza lampante di causa ed effetto, ma nemmeno una coincidenza curiosa e un tantino sospetta. Niente. Silenzio. Chi – che cosa - ha trasformato le città in cui viviamo in immense camere a gas? Chi – che cosa – ha raso al suolo le foreste, prosciugato i fiumi, avvelenato i mari? Silenzio. Acqua in bocca, come dicevamo da bambini. Oppure, se si parla, è per tentare, alquanto comicamente, di circoscrivere i problemi a un ambito nazionale o addirittura municipale: è colpa dei governi democristiani che hanno lasciato franare le montagne, è colpa delle giunte rosse che non hanno costruito, o hanno costruito in ritardo, metropolitane e parcheggi…
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse invece, o innanzitutto, da tremare d’orrore. Vorrei sapere quale governo, quale giunta di quale nazione o città dell’Occidente industrializzato sono mai stati realmente in grado di “dettar legge” al potere economico, mettendo un argine all’enorme ondata di beni di consumo prodotti, venduti e comprati per poter produrre, vendere e comprare altri beni di consumo, regolando la mostruosa piena di ricchezza e scorie di ricchezza che ci ha sommersi e che presto (un millennio, un secolo, qualche decennio?) ci cancellerà. L’importante, nell’attesa, è non trasgredire la consegna del silenzio. Moriremo di iniziativa privata con il sorriso sulle labbra e l’inconsapevolezza nel cuore, inneggiando ai nostri assassini come a dei benefattori.

Nota
Il pezzo qui postato,e vigoroso e perfino profetico, è contenuto nella rubrica Diario de “L’Europeo” del 3 marzo 1989. (S.L.L.)

1 commento:

Anonimo ha detto...

grande Raboni...

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