22.10.11

Uccelli. Una poesia di Rabindranath Tagore.

L'uccello prigioniero nella gabbia,
l'uccello libero nella foresta:
quando venne il tempo s'incontrarono,
questo era il decreto del destino.
L'uccello libero grida al compagno:
«Amore mio, voliamo nel bosco!»
L'uccello prigioniero gli sussurra:
«Vieni, viviamo entrambi nella gabbia».
Dice l'uccello libero: «Tra sbarre,
dove c'è spazio per stendere l'ali?»
«Ahimé», grida l'uccello nella gabbia,
Non so dove appollaiarmi nel cielo».

L'uccello libero grida:
«Amore mio, canta le canzoni delle foreste».
L'uccello in gabbia dice:
« Siedi al mio fianco,
t'insegnerò il linguaggio dei sapienti».
L'uccello libero grida: « No, oh no!
I canti non si possono insegnare».
L'uccello nella gabbia dice: «Ahimé,
non conosco i canti delle foreste».

Il loro amore è intenso e struggente,
ma non possono mai volare assieme.
Attraverso le sbarre della gabbia
si guardano e si guardano, ma è vano
il loro desiderio di conoscersi.
Scuotono ansiosamente le ali e cantano:
«Vieni vicino a me, amore mio!».
L'uccello libero grida:
«E' impossibile, temo le porte chiuse della gabbia».
L'uccello in gabbia sussurra: «Ahimé,
le mie ali sono morte e impotenti».

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