28.10.11

Mafie in Umbria. Vengono per restare ("micropolis" - ottobre 2011)

Perugia Ponte san Giovanni. In  primo piano le costruzioni sequestrate
Un libro recente di Giuseppe Carlo Marino, un agguerrito storico siciliano, Globalmafia (Bompiani, 2010), autorevolmente spiega come la mafia e le mafie non siano solo o soprattutto “criminalità organizzata” e quanto una simile definizione sia limitativa, superficiale e deformante. La mafia è soprattutto economia e politica, è soprattutto malaffare; ed è perfettamente inserita nelle reti di potere della finanza globalizzata, come nel suo cervello.
Nel volumetto la postfazione di Antonio Ingroia, magistrato tra i più impegnati nel contrasto a Cosa nostra, racconta del “minore attaccamento alla terra” delle grandi organizzazioni criminali italiane, con “meno investimenti in case e terreni più agevolmente individuabili e quindi più facilmente soggetti a sequestri e confische”. Un po’ per una scelta legata alla globalizzazione, un po’ perché costrette a rimanere sommerse, le mafie si sarebbero finanziarizzate e fatte “liquide”, si sarebbero “deterritorializzate” con il ricorso a massicce “delocalizzazioni”.
E’ un’analisi che ha molte conferme e la cui validità appare sempre più evidente anche ai non addetti ai lavori. Ma forse, con il procedere della crisi economica, questa lettura merita un aggiornamento e il sequestro dei trecento appartamenti a Perugia può suggerire qualche ipotesi da verificare.
Da quel che si legge e apprende da fonti ufficiali, l’intervento economico delle mafie in Umbria è stato finora teso principalmente al riciclaggio dei proventi del narcotraffico e di altri lucrosi traffici illegali. L’acquisizione di imprese, supermercati ed esercizi commerciali, ristoranti, pizzerie sembrava confermare il carattere di “lavanderia” di queste operazioni, mentre la rilevazione qua e là di immobili (case e terreni) dava l’impressione di un fatto episodico, non rientrante in una precisa strategia. A Ponte San Giovanni siamo di fronte a un salto di qualità: la società ginevrina riconducibile al clan dei casalesi ha acquisito da un grande costruttore trecento appartamenti, che difficilmente avrebbe potuto rivendere in blocco, almeno in tempi brevi. Non si tratta dunque di una operazione di mera ripulitura ed è ipotizzabile che non sia l’unico affare del genere che si compie in Italia o nella piccola Umbria.
Si legge che nell’ex Terzo Mondo impazzi il lend grabbing, l’arraffamento di terre da parte di multinazionali; ma forse anche i liquidi d’origine mafiosa, come tutti gli altri, cercano oggi solidità in un reinsediamento decentrato, attraverso la durevole acquisizione di beni immobili. In Italia, come in altri paesi dell’Unione Europea, comincia insomma a funzionare l’arraffapalazzi della finanza mafiosa: conurbazioni senza identità, non luoghi della cementificazione senza qualità se ne trovano a bizzeffe e ottimamente si prestano allo scopo.
Grazie al pentito che ha parlato, ai magistrati e agli investigatori, l’inghippo della ex Margheritelli è stato - a quanto pare - sventato, ma ci sono in abbondanza nel perugino e nella regione altri stecconi e palazzoni semicostruiti e invenduti. Intorno agli appartamenti da rifinire o agli edifici da completare nasce facilmente un’economia, lavorano piccole e piccolissime imprese, girano professionisti della vendita, consulenti del riciclaggio.
Possono emergere consistenti isolotti mafiosi con capacità espansive, organizzazioni in grado di comprare consiglieri e assessori, promuovere liste, eleggere propri consiglieri e imporre propri assessori. Potrebbe accadere. Potrebbe essere già accaduto. A Perugia e altrove.
Occhio!
Salvatore Lo Leggio

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