25.7.12

Clara Maffei. La "contessa" (di Raffaello Barbiera)

Quello che segue è l’incipit del volumetto Il salotto della Contessa Maffei e Camillo Cavour (Baldini Castoldi, 1901), scritto nel 1895 dal poeta Raffaello Barbiera.
Francisco Hajez, Ritratto di Clara Maffei
Per cinquantadue anni, fu il centro di riunione di patrioti, letterati, artisti italiani, e degli stranieri illustri che, visitando la Penisola, passavano per Milano.
L'influenza, esercitata dal salotto Maffei nel decennio dal 1848 al 1859 nei destini di Lombardia, e possiam dire d'Italia, influenza grandemente dovuta alle energiche inspirazioni di Camillo Cavour, che vegliava da Torino, non va trascurata. La sua patriottica irradiazione si diffuse oltre i limiti di Milano e della Lombardia, si diffuse in altre regioni italiane; e vi portò la parola d'ordine, la parola che ben presto divenne azione. Anche fuori d'Italia, specialmente a Parigi, che pur vanta nella sua storia politica, letteraria e galante, salotti famosissimi, il nome di Clara Maffei era conosciuto e ripetuto con reverente simpatia: le salon Maffei veniva citato alle Tuileries come ritrovo d'uomini d'alta tempra sul cui senno e sul cui aiuto il grande statista del nostro Risorgimento, Camillo Cavour, contava con fiducia. Non si tratta, adunque, d'un salotto provinciale, ma d'un salotto degno d'una metropoli [...] riunione di elevati intelletti, di forti caratteri, di cuori ardenti, devoti alla patria, al culto della letteratura, dell'arte e dell'amicizia.
Poiché è doveroso tenersi lontani da ogni esagerazione, non si creda che Clara Maffei deve essere posta nella storia delle donne notevoli a lato d'una Roland o d'una Récamier; che fosse una mente direttrice, una di quelle regine quasi imperiose di salotti, dove i frequentatori sono, più o meno, sudditi. La sua potenza consisteva nell'arte, così ardua, di ricever bene, di riunire nobili elementi; di esser centro d'un ordine d'idee civili, liberali, senza farne mostra…
Sembrava nata per ricevere, per guidare una conversazione eletta, per ispegnere subito abilmente gli attriti, che nel calore delle discussioni possono insorgere. L'arte del ricevere (diceva) è l'arte del sacrificarsi. E più volte si sacrificava agli altrui gusti. Era gentildonna nell'aspetto, nel discorso, nella delicata vivacità, nell'anima, e nella finezza colla quale sapeva porre ogni nuova persona presentatale in grado di trovare ben presto nel salotto un compagno di attitudini, di gusti, di studi, un concittadino, un amico.
A que' suoi occhi bruni, pensosi, velati spesso da mestizia, nulla, nessuno sfuggiva.... E se scorgeva qualche amico d'umore non lieto, accorreva a lui premurosa e affettuosa. Quante volte, allorché indovinava che un'amica gemeva sotto il peso d'una dolorosa preoccupazione, quante volte correva a casa a trovarla, la confortava con quelle dolci parole che penetrano nelle vie più riposte dell'animo rabbuiato, stanco,- quante volte si offriva a soccorrerla, sfidando anche i pregiudizi e le cattiverie del mondo!
Tutti la chiamavano contessa benché, quantunque, nata contessa, avesse sposato il poeta Andrea Maffei cui non ispettava il titolo di conte; ma nessuna contessa d'Europa meritava più di lei quel titolo, tributato più in omaggio alle sue qualità squisite che alla sua nascita.

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