17.9.12

La Costituzione applicata a casaccio (di Giovanni Nuscis)

Trovo in un sito letterario (“La poesia e lo spirito”) questo breve articolo di Giovanni Nuscis pubblicato il 12 settembre scorso. Mi pare apprezzabile non solo per la chiarezza del dettato, ma anche per quella delle idee. Vi si suggerisce implicitamente un punto di partenza possibile per una sinistra decente. (S.L.L.)
1948. Enrico De Nicola firma la Costituzione della Repubblica Italiana
Il Parlamento italiano – giunto quasi alla scadenza di mandato, già eletto con una legge elettorale a dir poco scandalosa – forte di un consenso di circa due terzi dell’aula ha modificato qualche mese fa  il testo della Costituzione inserendo all’art. 81 l’obbligo del pareggio di bilancio, come imposto dall’Europa sulla base del Fiscal compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria, noto anche come Patto di bilancio). Da subito, ciò ha comportato tagli di spesa che hanno dato il colpo di grazia ai servizi pubblici e ad un’economia già in forte sofferenza, togliendo risorse preziose per gli investimenti e la ripresa, con un effetto depressivo che si ripercuote nella parte più debole della popolazione, rimasta senza lavoro e senza possibilità di trovare nuove alternative. La modifica dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori e l’art. 8 del 14.9.2011 hanno aperto inoltre, come se non bastasse, le porte delle aziende per la fuoriuscita incontrastata dei lavoratori e per la deroga ai contratti collettivi. L’accumularsi negli anni del debito pubblico, giunto a quasi 2000 miliardi di euro, e i relativi interessi  di circa 100 miliardi annui a carico sempre del contribuente, costituiscono una forte ipoteca per l’economia italiana; debito pubblico, è bene ricordarlo, dovuto soprattutto al foraggiamento di una vasta nomenclatura politica, manageriale pubblica, finanziaria e  imprenditoriale. Il permanere del debito pubblico costituirà una seria ipoteca per la tutela del diritto al lavoro e dei diritti essenziali, considerato il numero crescente di persone rimaste prive di mezzi di sostentamento. Sempre per effetto del patto di bilancio, l’Italia, che ha un debito pubblico superiore al 60% del PIL, sarà obbligata ad accantonare circa 45 miliardi l’anno per vent’anni.
Una scelta di questo genere impone che vada valutato seriamente se le conseguenze economiche debbano o meno ricadere prevalentemente su coloro che più di altri hanno potuto accumulare ricchezza, in questi anni, con un grado di concentrazione direttamente proporzionale all’impoverimento della restante parte della comunità. Recenti dati statistici indicano che il 10% della popolazione possiede circa il 45% della ricchezza complessiva del Paese; il 40% ne possiederebbe invece il 45%, mentre il restante 50% della popolazione appena il 10% della ricchezza. Il peso dell’indebitamento andrebbe dunque fatto gravare tenendo conto della distribuzione reale della ricchezza, piuttosto che continuare ad affamare i soliti noti. In conseguenza di ciò, andrebbe in misura adeguata ridotta la pressione fiscale, per la ripresa (sostenibile) dei consumi e la competitività delle imprese. Si ricorda che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il Sistema tributario è informato a criteri di progressività” (Art. 53 Cost.). O c’è qualcuno, al di sopra della Costituzione, che decide a piacimento la parte da applicare e quella da disattendere? 

“La poesia e lo spirito”, 12 settembre 2012

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