24.9.12

Verità nascoste: bocciature in prima elementare (di Sarantis Thanopulos)

C’è un forte ritorno di fiamma delle bocciature nella scuola dell’obbligo. In omaggio alla “meritocrazia”, prima della Gelmini poi dei professori e dei tecnici e nel clima di “riscossa” antiegualitaria che caratterizza l’ideologia dominante e di darwinismo sociale (“uno su mille ce la fa”). L’anno scorso a Ischia bocciarono perfino in prima elementare: è probabile che sia accaduto anche quest’anno, ma non si è saputo niente. Sul “manifesto” nel luglio 2011 ho trovato e conservato il commento che segue. L’impianto del ragionare è psico-pedagogico e l’ideologia che lo sorregge democratica e libertaria. E’ acuto e si imparano tante cose. Tuttavia – è anche questo un sintomo, per “il manifesto” se non altro – manca qualsiasi accenno di interpretazione classista. Eppure le vicende che si raccontano, le frasi che si citano si comprenderebbero meglio nel quadro della lotta di classe. (S.L.L.)

A Ischia un'alunna della prima elementare è stata bocciata e i suoi genitori denunciano la mancata assegnazione di un insegnante di sostegno. La dirigente scolastica ribatte che all'alunna, certificata da una visita psicologica sana, non spettasse un sostegno: è solo una "bambina immatura", alla quale è stato concesso del tempo per il "necessario recupero".
Delle due l'una: o le difficoltà di apprendimento sono dovute a difficoltà psicologiche, collegate o meno a un deficit intellettivo, e in questo caso il sostegno era dovuto, o la scuola ha fallito nel suo compito educativo. Gli insegnanti possono a volte fallire nel loro lavoro, spesso si trovano a operare in condizioni difficili. Dei fallimenti non devono fare una colpa, ne devono piuttosto assumere, nella parte che li riguarda, la responsabilità.
Ciò che colpisce nella reazione della scuola, così come è riportata sui giornali, è il suo lavarsene le mani, come se la bocciatura di una bambina alla prima elementare fosse un atto di gestione normale privo di implicazioni serie. Essere bocciati a sei anni è, invece, un'esperienza traumatica. I bambini si trovano in una fase di trasformazione degli impulsi e delle passioni della prima parte, poco
educabile, della loro infanzia in sentimenti e propositi che tengano conto dei principi e dei valori che regolano la convivenza nella loro comunità. I loro conflitti con l'ambiente circostante si interiorizzano, favorendo la creazione di istanze "morali", e il buon andamento di questo processo è determinante per uno sviluppo cognitivo sufficientemente sereno e equilibrato.
Un certo grado di frustrazione interiorizzata può aiutare il bambino a conoscere meglio la realtà in cui vive, ma se l'ambiente educativo non mostra disponibilità e accoglienza questa realtà non diventerà mai qualcosa da amare, qualcosa in cui riconoscersi.
La bocciatura è una frustrazione poco "intelligente", non interiorizzabile, che colpisce grossolanamente dinamiche delicate diventando un'interferenza tanto dannosa quanto illogica.
La sua presentazione come concessione benevola di recupero è la proiezione su di lei di un bisogno dei suoi insegnanti in debito di ossigeno, come si intuisce dalle affermazioni della dirigente scolastica: «Se la scuola italiana riprendesse a bocciare nelle scuole primarie, al liceo non ci sarebbero tanti bocciati, anzi in molti non arriverebbero proprio al liceo».
L'idea di bocciare bambini di sei anni per rendere meno affollati i licei, è molto più che una provocazione, probabilmente involontaria. Riflette una mentalità sempre presente, a volte dominante, che vede la scuola come luogo di formazione di soggetti efficienti, selezionati per far cose che funzionano bene, a prescindere dal significato che queste cose hanno per loro.
Una scuola che fatica a farsi carico dello sviluppo emotivo dei suoi allievi, che non li aiuta a diventare persone capaci di essere soggettivamente presenti nelle cose che fanno e di goderne. C'è più interesse autentico per la vita in alcune persone emarginate ,"fallite", che in tanti automi socialmente riusciti, impegnati come sono a funzionare, per cause non scelte da loro, nel modo più adeguato possibile.

"il manifesto" 16 luglio 2011

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