9.9.12

Uguaglianza e felicità nella Dichiarazione d'Indipendenza americana (Alessandro Portelli)

In un articolo sul “manifesto” del 2003, Indiani ribelli al cieco destino, recensione di un libro di Giorgio Mariani sugli Indiani d’America nella letteratura degli Stati Uniti, Alessandro Portelli si pone una domanda radicale che mi sembra utile conservare in questo blog e riproporre ai suoi visitatori. (S.L.L.) 


«Non a caso», scrive Mariani, la Dichiarazione d'Indipendenza, testo fondante della libertà americana, «menziona i nativi esclusivamente come quegli ‘spietati selvaggi indiani’, scatenati dalla corona inglese contro le colonie»; e aggiungerei che la sacra Costituzione degli Stati Uniti d'America menziona indiani e neri solo come «all other persons», «tutte le altre persone», conteggiate per tre quinti nella rappresentanza elettorale dei bianchi ma privi essi stessi di voto e cittadinanza.
In un discorso recente, in vista della guerra all'Iraq, citando per intero il brano della dichiarazione d'Indipendenza (che continua: «gli spietati selvaggi la cui ben nota regola di guerra è un'indiscriminata distruzione di tutte le età, sessi e condizioni»), lo scrittore indiano americano Sherman Alexie diceva: «dunque gli Stati Uniti sono stati fondati, in parte, sulla demonizzazione dei Nativi Americani, ed è dannatamente facile giustificare lo sterminio di demoni, no?»
Io aggiungerei: non è curioso che quella gloriosa Dichiarazione sia per noi «occidentali» la affermazione dell'uguaglianza e del diritto alla felicità, e sia per gli indiani l'annuncio della loro demonizzazione e sterminio? Della uguaglianza e felicità di chi andiamo parlando?

“il manifesto”, 18 aprile 2003

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