6.9.12

Lucian Freud e il nostro decadimento (di Francesco Bonami)

Riprendo qui, da "La Stampa", un pezzo di bilancio scritto in occasione della morte di Lucian Freud, un pittore che molto amo. (S.L.L.)
Lucian Freud, L'ispettrice dei sussidi addormentata, Particolare
Addio a un altro gigante della pittura: dopo Cy Twombly, Lucian Freud. Ma non ci poteva essere pittore più lontano dall'arte di Twombly di uno come Freud. Se davanti una tela di Twombly è come ascoltare il vento, davanti a un dipinto di Freud è come guardare la pioggia cadere sul fango. Essendo questo artista nipote del padre della psicanalisi, Sigmund, per descrivere la sua arte si potrebbe prendere in prestito il titolo di un famoso libro del nonno, Al di là del principio del piacere. Non ha nessuna importanza infatti che la sua arte piaccia o non piaccia. Freud, al di là dei nostri gusti, rimarrà, insieme con Francis Bacon, un faro nella storia dell'arte britannica. Il testimone adesso passa a Damien Hirst. Vedremo.
Un faro, sicuramente, ma tuttavia un artista retrogrado, privo di qualsiasi interesse all'innovazione, vuoto di contenuti che avessero qualche appiglio con il mondo che lo circondava. Perché allora é stato un grande? Perché attraverso la pittura, la sua ossessione e ostinazione con essa, é riuscito a descrivere semplicemente e chiaramente quanto goffo il corpo umano sia in quel tragitto obbligato chiamato vita. In ogni suo quadro, come certi monaci dispettosi, ci ha sempre ricordato che s'invecchia, ci si sciupa e, alla fine, irrimediabilmente si muore. Se la sua pittura ci fa un po' schifo é perché parla dello schifo che ci facciamo guardandosi allo specchio. Scoprendo la ruga, il doppio mento e tutti quei segni inarrestabili del nostro decadimento. Lucian Freud, nonostante non abbia mai detto nulla di nuovo o di rivoluzionario con il suo pennello, è salito nell'Olimpo artistico in Gran Bretagna grazie a un mondo culturale capace di costruirsi i propri miti con quello che ha in casa, senza complessi d'inferiorità. Nelle tele di Freud il soggetto è come un ateo indeciso tra lasciarsi marcire in terra o farsi bruciare all'inferno.
In un film di parecchi anni fa, Il cattivo tenente, Harvey Keitel si spoglia completamente per dimostrare all'interlocutrice la sincerità delle sue parole e dei suoi sentimenti. Tutta la pittura di Freud è un po' come quella scena, una dimostrazione della sincerità dell'artista verso lo spettatore. Visto il successo dei suoi quadri, essere sinceri, anche in arte, paga. Di Freud comunque ne bastava uno. Ma quest'uno, se non ci fosse stato, avremmo dovuto inventarlo. 

“La Stampa”, 22-07-2011

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