5.12.14

L'Universo a spicchi di Babilonia (Carlo Zaccagnini)

La tavoletta di cui qui si parla, rinvenuta nella pianura mesopotamica e a lungo conservata nel museo di Baghdad (chissà dov'è adesso), non è il più antico esempio di cartografia pervenutoci: un papiro del tempo del faraone Sethos I (3000 circa a.C.) riguarda la zona di Hammarat e le sue miniere d'oro, questa d'età assira sembra invece essere la più antica rappresentazione del mondo conosciuto e l'interpretazione dei segni in essa contenuti mi pare affascinante. (S.L.L.)

La più antica rappresentazione grafica del mondo 
è una tavoletta cuneiforme 
del IX-VIII secolo a.C. 

La visione orizzontale 
dell'orbe terracqueo mesopotamico 
trova compimento in quella verticale c
he comprende il cielo, la terra, gli abissi 
e, con essi, gli dei, gli umani, i defunti.

Una tavoletta cuneiforme proveniente dalla regione babilonese, e databile al IX-VIII secolo a.C., fornisce la più antica rappresentazione grafica dell'intera superficie terrestre, nei limiti delle conoscenze dell'epoca. Il disegno, accuratamente inciso con lo stilo sull'argilla fresca, e corredato da varie didascalie esplicative, localizza una serie di città (Babilonia. Der, Susa, ecc. paesi stranieri (Assiria, Urartu) e strutture geo-topografiche (montagna, palude, canale, città innominate), visualizzati da un punto di osservazione centrale la città di Babilonia, correttamente posta a cavallo delle rive destra e sinistra dell'Eufrate: il nome del fiume non è menzionato, ma non c'è dubbio che ad esso si riferiscano le due lunghe linee parallele tracciate al centro della mappa. L'orientamento geografico è sorprendentemente corrispondente alle moderne convenzioni cartografiche, con il nord situato in alto e gli altri tre punti di riferimento cardinali disposti sequenzialmente in senso orario. Due cerchi concentrici, all'interno dei quali è collocato l'oceano, circondano per intero il continente. Al di là della distesa oceanica, sono disegnate varie aree triangolari, di sposte a mo' di raggi di stella e definite «distretto, regione»: con ogni probabilità la mappa allude a isole o regioni remote, situate oltre i limiti estremi del mondo conosciuto. Spazi vuoti, privi di segni grafici e di didascalie esplicative, segnano gli intervalli tra i vari triangoli: è l'ignoto assoluto.
Indipendentemente dalla sua antichità, questa mappa - unica nel suo genere - fornisce notevoli spunti di riflessione agli esperti delle antiche civiltà mesopotamiche, ma non solo. Quello che immediatamente colpisce è la realizzazione cartografica di una conoscenza sintetica e al tempo stesso marcatamente selettiva dell'universo terrestre entro i limiti immaginativi e in accordo concettuale con una più vasta «mappa mentale» del mondo - per motivi che in gran parte sfuggono, nella mappa non c'è traccia e realtà importanti e ben note quali ad esempio il Tigri, il Nilo e l'intero paese d'Egitto. La circolarità senza entrata e uscita della frontiera oceanica è una straordinaria e potente astrazione, per altri versi ereditata (?) o riflessa in analoghe visioni globali realizzate da geografi greci intorno alla metà del I millennio. Nello scenario specifico dell'antica Mesopotamia, sumeri, accadi e poi assiri e babilonesi - a partire dalla seconda metà del III millennio - avevano prima raggiunto, agli estremi opposti, le sponde del Golfo Persico e del Mare Mediterraneo; in seguito quelle del Mar Nero e del Mar Rosso: e dunque, completando i vuoti e l'incognito, è un oceano, ininterrotto nel suo circuito avvolgente, a marcare i confini ultimi della «Terra dei due Fiumi» (anche se nella mappa di fiumi ne compaia uno solo, ma tant'è).
Vale la pena sottolineare il notevole livello di astrazione figurativa che soprassiede alla stesura della mappa babilonese: la corona circolare (= l'oceano), i triangoli isosceli (= regioni o isole remote), la sagoma rettangolare dello stampo d'un mattone d'argilla (= la città di Babilonia), il profilo ovoidale dell'occhio d'un bue (= le montagne del nord), le due linee parallele (= il corso dell'Eufrate), i vari cerchietti disposti a raggiera entro il limite interno dell'oceano (= città e paesi vari): una sofisticata e in parte enigmatica combinazione di realtà concrete, convenzioni figurative e simbologie iconografiche, al servizio di precisi ma non sempre decifrabili paradigmi mentali.
La circolarità dell'orizzonte visibile - quale che sia il suo punto di osservazione - è certo all'origine dell'analoga circolarità che delimita l'estensione del mondo nella nostra mappa. Su scala più ridotta, e con riferimento ad altrettante circonferenze «regionali» (Babilonia, Assiria, Siria, Palestina, Egitto, ecc.), l'ordinamento cosmologico dei vari segmenti continui di realtà geografiche è assicurato da una quadripartizione spaziale, marcata dalla proiezione piana del percorso ascendente e discendente del sole (est-ovest), intersecata da un'altra linea ideale posta a 90° (nord-sud). E' appena il caso di ricordare che tale partizione in quadranti è tuttora di impiego comune, a circa 4500 anni dalle sue prime formulazioni vicino-orientali.
Un interessante e consequenziale risvolto della suddivisione del globo, ordinato secondo i quattro punti cardinali, è riscontrabile nella titolatura reale di vari sovrani mesopotamici, a partire da Naram-Sin di Ak-kad (2254-2218), che si definiscono «re dei quattro spicchi», vale a dire: del mondo intero. In modo non dissimile, Carlo V - re di Spagna e di quant'altro, nonché imperatore del Sacro Romano Impero - sintetizzava la globalità dei suoi domini con la ben nota affermazione: «Sul mio impero non tramonta mai il sole»: a differenza dei monarchi mesopotamici, l'asse nord-sud non è menzionato, ma in compenso i limiti geografici segnati dal sorgere e dal tramonto dell'astro si erano nel frattempo estesi dalle Fiandre sino al Nuovo Mondo.
La visione orizzontale dell'orbe terracqueo, schematicamente organizzata in forma radiale, trova il suo necessario complemento in una visione verticale che comprende sequenzialmente il cielo, la superficie terrestre e il mondo sotterraneo. Le conoscenze astronomiche degli esperti assiro-babilonesi – frutto di millenaria esperienza diretta, sottoposta ad altissimo livello di elaborazione matematica e sistemazione organica dei dati registrati con maniacale accuratezza, giorno dopo giorno, notte dopo nette rappresentano uno dei più vistosi lasciti del sapere mesopotamico, la cui fama (ma non i contenuti specifici) si è largamente diffusa nel mondo greco-romano: «Non farti tentare dai calcoli astrali babilonesi», ammoniva Orazio (Carmi 111), suggerendo in alternativa una prospettiva di vita ispirata al «carpe diem». Della terra si è già detto. Il mondo sotterraneo è ovviamente uno spazio inesplorato e dunque ignoto nella sua precisa configurazione fisica. Come che sia, la ripartizione su un asse verticale dei tre settori corrisponde a una collocazione rigidamente definita dei soggetti che, a diverso titolo, operano nell'insieme cosmico: gli dei immortali nel cielo; gli esseri umani, finché in vita, sulla superficie terrestre; i defunti sotto terra.
Cielo, terra e abisso sono il risultato di un'originaria creazione, operata dalla divinità attraverso fasi successive di separazione e ordinamento, a partire da una realtà caotica e informe. Non desta certo meraviglia che i numerosi miti cosmogonici tramandati dalla letteratura mesopotamica trovino significativo riscontro nella narrazione biblica del primo capitolo della Genesi: dettagli a parte, un'unica visione fortemente strutturata accomuna, nell'arco di tre millenni, le varie culture vicino-orientali.
Dalla messe di documentazione cuneiforme relativa al mito primordiale della creazione merita di essere citato un singolare - o meglio, straordinario - testo babilonese: un incantesimo da utilizzare come rimedio contro un violento mal di denti (vedi l'articolo di Cristiano Grottanelli, su “il manifesto” di ieri): «Quando il dio Anu ebbe creato il cielo, e il cielo ebbe creato la terra, e la terra ebbe creato i fiumi, e i fiumi ebbero creato i ruscelli, e i ruscelli ebbero creato il fango, e il fango ebbe creato il verme, il verme se ne andò a piangere davanti al dio Shamash, e le sue lacrime scendevano davanti al dio Ea: 'Che mi darai da mangiare? Che mi darai da succhiare?'. 'Ti darò il fico maturo, o il frutto dell'albicocco'. 'E che me ne importa del fico maturo o del frutto dell'albicocco? Mettimi piuttosto e sistemami tra il dente e la gengiva: che io possa succhiare il sangue del dente e corrodere, a poco a poco, la gengiva!'». Seguono a questo punto le istruzioni per neutralizzare l'azione del verme ed eliminare il mal di denti.
Una linea unica e consequenziale collega l'evento della creazione con una diagnosi e una terapia odontoiatrica. Il verme, creato dal fango, è la visualizzazione del nervo dentario, causa del dolore fisico. Un altro verme, segpo inconfondibile della morte e del disfacimento corporeo, è quello che Gilgamesh vede uscire dal naso del suo amato compagno Enkidu, sette giorni dopo il suo decesso. Il simulacro corporeo dell'uomo torna ad essere il fango indistinto e senza tempo, lo stesso fango con il quale gli dei avevano deciso di plasmare la vita dell'uomo.


“il manifesto”, 30 agosto 2000

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